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Testamento biologico: la libertà di poter decidere come morire

(A cura dell’Avv. Anna Rossi Scarpa Gregorj)

“L’interesse per la malattia e la morte è sempre e soltanto un’altra espressione dell’interesse per la vita” (Thomas Mann).

La Corte Costituzionale pochi giorni addietro ha dichiarato non ammissibile il referendum sull’eutanasia e, nonostante, su tale importante aspetto ci siano ancora molti passi da compiere, nel nostro Paese è, tuttavia, possibile richiedere, tramite la redazione di un testamento biologico, la sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiali nell’eventualità futura in cui ci si trovi ad essere malati cronici e terminali.

A livello europeo già nel 1997 era stata sottoscritta la Convenzione di bioetica, ratificata dal Parlamento italiano con L. n. 145 del 2001, proprio sul tema “fine-vita”, che affermava per ogni medico il dovere di tenere conto delle precedenti volontà del paziente, in assenza di un’esplicita manifestazione di scelta del paziente. Ma a livello nazionale si è dovuto attendere la Legge n. 219 del 2 dicembre 2017 intitolata: “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, per avere una legislazione specifica ed articolata, che desse legittimità anche a tutte le disposizioni anticipate di trattamento comunque redatte negli anni precedenti. La Legge istitutiva del Testamento Biologico, di seguito “DAT” (disposizione anticipata di trattamento), infatti, ha previsto che tutte le disposizioni precedentemente redatte fossero acquisite nella Banca dati nazionale.

Il nostro Studio già nel lontano 2011 aveva coadiuvato un cliente nella redazione di tale testamento ma nonostante siano passati 4 anni dall’entrata in vigore della Legge (31/1/2018), ancora oggi il Testamento Biologico risulta uno strumento troppo poco utilizzato. Al 31 dicembre 2020 ne risultavano depositati solo 156.000. Da un’inchiesta Vidas, a fine 2019 solo il 20% degli intervistati conosceva la normativa mentre il 28% non ne aveva mai sentito parlare!

Vediamo quindi in cosa consiste.

Il testamento biologico c.d. DAT (disposizione anticipata di trattamento) è una dichiarazione anticipata che qualunque soggetto maggiorenne, capace di intendere e di volere al momento della redazione, può esprimere per iscritto le proprie volontà riguardo a quali trattamenti sanitari essere sottoposto o indicare il proprio rifiuto riguardo a determinate scelte mediche e terapeutiche.

La DAT è l’espressione degli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea a tutela della salute, al diritto alla vita, alla dignità e autodeterminazione della persona.

Il provvedimento consta di 8 articoli e, in particolare, prevede che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

La forma del Testamento richiesta è quella scritta dell’atto pubblico, della scrittura privata autenticata ovvero della scrittura privata semplice consegnata all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza per l’annotazione in un apposito registro.

Nel caso in cui la persona non sia in grado di sottoscrivere l’atto, può compiere la sua manifestazione di volontà anche attraverso una videoregistrazione o un altro dispositivo che consenta di comunicare la sua volontà.

Le scelte indicate in DAT possono essere sempre modificate o rinnovate, come un normale testamento il quale è sempre revocabile; la revoca deve essere compiuta nella medesima forma dell’atto.

Ma quanto costa? Importante è ricordare che la DAT è esente dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, ad eccezione delle spese  nei confronti del notaio.

La legge prescrive la possibilità, ma non l’obbligo di nominare un fiduciario che sostituisca il soggetto che sia divenuto incapace nei rapporti con i medici e la struttura sanitaria al fine di indicare le volontà del testatore.

Nonostante la presenza della DAT la legge sancisce il diritto di ogni persona a conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo esauriente e con termini comprensibili riguardo la diagnosi e i possibili trattamenti medici con possibile rinuncia agli stessi.

Il medico deve fare quanto nelle sue possibilità per alleviare le sofferenze del paziente, anche se questo abbia rifiutato il trattamento sanitario o abbia revocato il proprio consenso, garantendo l’adeguata terapia del dolore. Come anche affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 12998 del 2019 “Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale.

Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico. Né il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, (omicidio del consenziente, art. 579 c.p., o aiuto al suicidio, art. 580 c.p.), ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, giacché tale rifiuto esprime piuttosto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale.

Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”.

Un bel morir, tutta la vita onora.

(Francesco Petrarca)

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