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diritto assegno divorzile

La moglie ha diritto all’assegno divorzile anche se rifiuta una proposta di lavoro procuratale dal marito

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

La Cassazione ancora una volta interviene in tema dell’assegno divorzile ritenendo incolpevole lo stato di disoccupazione di una donna che rifiutava la proposta di lavoro e confermando il di lei diritto all’assegno avendo valorizzato il lungo matrimonio, la nascita di due figli e l’indubbio apporto lavorativo della donna nelle aziende di famiglia (Cass. Ord. 1643 del 19 gennaio 2022)

Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’ex coniuge economicamente più debole ha diritto all’assegno divorzile quando l’incapacità di mantenersi da sé sia oggettiva e incolpevole, e dunque lo stato di disoccupazione non dipenda da inerzia, pigrizia o altre forme di cattiva volontà.

Così stabilisce l’art. 5 della Legge sul divorzio allorquando prevede che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio il Tribunale può prevedere l’obbligo di versare un contributo periodo in favore dell’ex coniuge che «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

In parole povere, per il riconoscimento dell’assegno di divorzio oggi non basta più il semplice stato di disoccupazione: la parte deve provare di versare nell’impossibilità oggettiva di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento e se è giovane di età e possiede una formazione o un titolo professionale che potenzialmente potrebbero quindi assicurarle un reddito, secondo la Cassazione – per ritenere colpevole lo stato di incapacità economica –  non basta che la richiedente documenti l’iscrizione al centro per l’impiego e la candidatura per qualche posto di lavoro, ma deve dare rigorosa prova di aver proposto la propria candidatura a datori di lavoro privati, di aver sostenuto colloqui ovvero di aver partecipato a bandi di concorso indetti da pubbliche amministrazioni (Trib. Crotone 1041/2019).

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità l’incapacità di procurarsi redditi propri è ritenuta incolpevole quando l’ex coniuge:

  • ha un’età avanzata che gli preclude un efficace inserimento nel mondo del lavoro (è considerata tale un’età maggiore 50 anni);
  • è affetto da gravi malattie invalidanti, o da altre forme di disabilità e inabilità, che impediscono la possibilità di trovare un’occupazione lavorativa remunerata;
  • è privo di titoli di studio o professionali e vive in una zona economicamente depressa, in cui le condizioni occupazionali sono particolarmente sfavorevoli.

Coerentemente a tali principi la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1643 notificata in data 19 gennaio 2022, ha rigettato il ricorso di un uomo avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino che lo aveva condannato a corrispondere all’ex coniuge un assegno divorzile di Euro 1.200,00 mensili.

Secondo l’uomo i Giudici non avevano dato importanza alla circostanza che la ex moglie aveva rifiutato una proposta di lavoro da lui procuratale, ritenendo che la donna non fosse in colpa per non avere trovato un lavoro non potendo ipotizzarsi che la stessa si potesse trasferire lontano dalla propria residenza per svolgere l’attività di addetta alle pulizie procuratagli dall’ex marito.

Inoltre, secondo l’uomo doveva essere valutata anche la circostanza “colpevole” che la donna aveva ceduto ai figli le quote delle società di famiglia abbandonando il lavoro che la stessa per anni aveva svolto in quelle società di famiglia della donna.

Di diverso avviso la Cassazione che confermava l’assegno divorzile in favore della donna nonostante avesse rifiutato un’offerta lavorativa proveniente dall’ex coniuge tenuto conto della lunga durata del matrimonio (28 anni), valorizzando la durata del rapporto matrimoniale di 28 anni, la nascita di due figli e l’attività lavorativa e di coordinamento svolta dalla donna all’interno delle società familiari.

La Corte d’Appello, infatti, aveva  ritenuto inadeguati i mezzi della donna che chiedeva l’assegno divorzile avendo appurato che la cessione delle quote delle società di famiglia ai figli era stata concordata con il marito a fronte del riconoscimento dì un contributo al mantenimento in sede di separazione; il rifiuto dell’offerta lavorativa della donna pervenuta dall’ex coniuge, avrebbe comportato un reddito di 600,00 Euro mensili, a fronte del contributo al mantenimento di 1200,00 Euro; il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa offertale (di pulizie) era lontano dalla residenza e quindi per poter lavorare la donna avrebbe dovuto trovare una diversa sistemazione abitativa lasciando l’abitazione presso la madre.

Per tutti questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile e l’uomo condannato alle spese di lite essendo stata esclusa una inerzia colpevole in capo alla donna. L’incapacità economica e lavorativa è, infatti, avvenuta a causa del sacrificio professionale dell’ex coniuge, che aveva rinunciato ad un’occupazione esterna per dedicarsi alle società di famiglia a casa, alla cura e crescita di due figli, favorendo l’arricchimento del marito.

La citata sentenza di legittimità si pone in evoluzione con quanto deciso sempre dalla Cassazione con ordinanza n. 5932 del 4 marzo 2021 che accoglieva il ricorso di un uomo che accusava la Corte di Appello di Trieste di non aver dato valore alla circostanza che la moglie, laureata in lingue, avesse rifiutato molteplici proposte lavorative, confermando un importante assegno di mantenimento a favore della donna.

La Cassazione, infatti, richiamando i principi di cui all’art. 156 c.c. chiariva che il Giudice, nell’accertare l’”effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale” deve rilevare “la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione (cfr., fra le altre, Cass. 19 giugno 2019, n. 16405; Cass. 9 marzo 2018, n. 5817; Cass. 13 gennaio 2017, n. 789; Cass. 13 gennaio 2017, n. 789)”.

In definitiva il coniuge che richiede l’assegno deve anche prendere in considerazione proposte di lavoro con professionalità differenti da quelle acquisire prima ma le proposte devono essere oggettivamente possibili e dignitose.

Author Profile

È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).