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Può una donna single accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita?
Ad oggi no! Ma il Tribunale di Firenze con l’ordinanza datata 11 settembre 2024 ha ritenuta rilevante la questione di legittimità dell’art. 5 della Legge n. 40 del 2004 nella parte in cui nega alle donne single di accedere alle tecniche di procreazione assistita e ha disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
➡️ La vicenda ha avuto inizio a seguito del rifiuto di una clinica specializzata in PMA a permettere l’inizio del percorso ad una donna single.
➡️ La donna ricorreva quindi avanti il Tribunale di Firenze chiedendo in via principale la disapplicazione dell’articolo 5 legge 40/2004, la dichiarazione del di lei diritto a ricorrere alla PMA e l’emissione di un ordine diretto al Centro di procreazione assistita da lei contattato di accogliere la richiesta di accesso al percorso di tipo eterologo con l’utilizzo di gamete maschile proveniente da un donatore terzo e anonimo. In via subordinata la donna chiedeva di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 L. 40/2004 per contrasto con gli artt. 2,3,13,32 e 117 Cost.
➡️ Letto il ricorso, il Giudice fiorentino riteneva la questione di legittimità fondata e rilevante, concordando con la donna circa l’irragionevolezza del divieto sancito all’art. 5 l. 40/2004.
Ad oggi, infatti, la normativa prevede la possibilità di accesso alle tecniche di PMA solo alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, senza che tale disparità possa essere giustificata da alcun interesse costituzionalmente rilevante. Concordando pertanto, con la ricorrente circa il contrasto tra la suddetta norma e gli articoli della Costituzione indicati dalla donna, il Giudice disponeva l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.
E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
#donna #single #fecondazione #eterologa
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La diffusione ed il consumo di sostanze stupefacenti e psicotrope in Italia è in aumento: in rapporto sia ai consumi, sia ai reati penali connessi, sia alla domanda di trattamento.
In particolare è aumentata la crescita del consumo di sostanze psicoattive tra i giovani tra i 15 e i 19 anni: quasi 960mila studenti (39%) riferiscono di aver consumato una sostanza illegale almeno una volta nella vita e oltre 680mila (28%) nel corso dell’ultimo anno (2023). Le percentuali di studenti che riferiscono di aver usato almeno una volta nel corso dell’anno sono: cocaina dall’1,8% al 2,2%, stimolanti dal 2,1% al 2,9%, allucinogeni dall’1,6% al 2% e nuove sostanze psicoattive dal 5,8% al 6,4%.

La cannabis rimane la sostanza più usata dai giovani ma anche in Italia nel 2023 è arrivato l’uso del Fentanyl, un oppioide sintetico con una potenza oltre 80 volte superiore a quella della morfina, e della Xilazina, un potente sedativo impiegato in veterinaria.

Oltre all’aumento dei consumi tra i minorenni, si osserva anche quello del coinvolgimento dei minorenni nell’ambito della produzione, del traffico e della detenzione illecita di sostanze stupefacenti: il numero di minorenni denunciati all’Autorità Giudiziaria per reati penali droga-correlati ha visto un aumento del 10%.
Anche gli accessi in Pronto Soccorso droga-correlati, 8.596 in tutto, sono aumentati del 5%  e il 12% di questi accessi ha esito in ricovero.

Sono, però, anche aumentati i progetti di prevenzione, un lavoro di informazione, comunicazione e sensibilizzazione dei minorenni: sono stati realizzati 289 progetti nelle secondarie di I e II grado, mirati all’incremento di conoscenze e competenze sociali per prevenire l’uso di droghe.

Il 49% delle scuole ha organizzato attività di prevenzione delle sostanze e la maggioranza degli studenti ha partecipato a tali programmi, mostrando una crescente consapevolezza sui rischi e minor propensione all’uso di sostanze.

(Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024)
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Una recente sentenza della Cassazione chiarisce quale reato debba essere contestato nei confronti dell’ex coniuge e dell’ex convivente, quando persistono atti violenti dopo la cessazione della convivenza (sent. 31178/24).
 
La Cassazione fa una premessa sui concetti di “famiglia” e di “convivenza”: vanno intesi come “comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continuativa”.
 
Quindi va contestato lo stalking aggravato e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dopo la cessazione della convivenza more uxorio.
 
Se invece è avvenuta la separazione fra persone sposate, è configurabile il reato di maltrattamenti: se le condotte vessatorie nei confronti del coniuge, sorte in ambito domestico, proseguono dopo la separazione di fatto o legale, il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza.
 
La separazione è, infatti, condizione che non cancella lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto,
assistenza morale e materiale, e collaborazione (art. 143 comma 2, cod. civ.).
 
Dunque, la condotta di minaccia non poteva essere ricondotta al reato di maltrattamenti, essendo stati l’indagato e la parte offesa legati da un rapporto more uxorio, non più in essere al momento dei fatti.
 
Questa sentenza pone su due diversi piani la violenza commessa dopo la separazione da quella realizzata dopo la cessazione della convivenza: secondo voi è corretta questa differenziazione?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
Se volete leggere l’articolo completo, un click su link in bio e poi su blog.
 
#maltrattamenti #avvocato #reati
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Rigettata il ricorso di un uomo che invocando l’azione di ingiustificato arricchimento, pretendeva dalla ex moglie il rimborso delle somme spese per l’acquisto e la ristrutturazione di immobili acquistati durante il matrimonio, oltre ai costi per i mobili di arredo della casa coniugale intestata alla moglie.

Anche il Tribunale di Forlì e la Corte d’Appello di Bologna avevano rigettato la domanda dell’uomo che insisteva fino in Cassazione ma si vedeva ribadire che, per invocare l’azione di ingiustificato arricchimento ex. art. 2041 c.c., è necessario che il beneficio ottenuto da una parte a danno dell’altra sia privo di “giusta causa”.

Non si può invocare l’ingiustizia o mancanza della causa quando l`arricchimento sia conseguenza di un atto di liberalità o dell`adempimento di un’obbligazione naturale, come di regola accade in costanza di matrimonio.

L’acquisto e la ristrutturazione degli immobili non potevano essere concepiti stante come un’operazione negoziale immobiliare ma vista la "spontaneità" della prestazione, che trova la sua giustificazione nella comunione di vita tra le parti, e la "proporzionalità" tra il contributo versato, il patrimonio di cui l’uomo dispone e l’interesse da soddisfare, la dazione delle somme alla moglie era da qualificare come adempimento di un’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. poiché espressione della solidarietà tra i coniugi. Sentenza commentata da @giorgiabelluschi
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L’immagine di un minore è un elemento altamente caratterizzante l`individuo! Per tale motivo, in casi di abuso dell`immagine di un minore, l`accertamento della illiceità della diffusione del ritratto del bambino per fini di pubblicità commerciale, effettuata senza il consenso di uno dei genitori, comporta il diritto al risarcimento del danno anche se non è stato pubblicato il nome o le generalità del minore o dei suoi genitori.

Questo quanto chiarito dalla Cassazione con l’ordinanza n. n. 23018 del 21 agosto 2025 al termine di un procedimento iniziato avanti il Tribunale di Milano.

Un papà attore, infatti, chiedeva la rimozione immediata da un catalogo di moda per bambini delle foto riproducenti il figlio, perché la pubblicazione era avvenuta senza il suo consenso, e la condanna della madre al risarcimento dei danni.

La madre del minore si difendeva affermando che, in più di una occasione, l`ex marito aveva prestato il proprio consenso e che in ogni caso non era necessario il consenso paterno perché il consenso alla pubblicazione era atto di ordinaria amministrazione.

Il Tribunale di Milano dava ragione al padre e inibiva alla madre l’utilizzo delle foto ma non accoglieva la domanda di risarcimento dei danni perché non era stato indicato il nome del minore.

Anche la Corte d’Appello adita dal padre rigettava la richiesta di risarcimento del danno ma il padre andava in Cassazione e qui “trovava giustizia”: gli Ermellini ribadivano che l`immagine della persona costituisce in sé un elemento altamente caratterizzante l`identità dell`individuo, che lo rende unico e originale, come tale riconoscibile e come tale non può ritenersi che l`abuso dell`immagine altrui non abbia provocato alcun danno per il solo fatto che, insieme all`immagine, non sia stato pubblicato il nome!

Il bene protetto è la riservatezza dell`immagine stessa e non del nome o di altra informazione personale dell`interessato.

E VOI COSA NE PENSATE? BASTA UNA PUBBLICAZIONE DI UNA FOTO PER CREARE UN DANNO ?
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Ancora una volta al centro dei pensieri dei ragazzi c’è l’esigenza di dare voce ai propri bisogni.
Nonostante vivano un periodo caratterizzato dalla possibilità di comunicare in mille modi diversi, urlano. Urlano per essere ascoltati da noi genitori.

Ma noi dove siamo?

Perché non siamo capaci di ascoltarli?

Forse i problemi che ci portano ci spaventano al punto che preferiamo tenerci occupati in mille impegni piuttosto che tornare a casa e affrontarli?

Abbiamo paura forse di non essere in grado di dar loro risposte?

Ecco.. oggi la riflessione che vi porto è questa.
Come possiamo indignarci per le tragedie che leggiamo sui giornali, se nel nostro piccolo non riusciamo a trovare tempo e coraggio di guardare i nostri ragazzi negli occhi? Se non riusciamo a fare pace con la nostra imperfezione e ad accogliere la loro?

Che paura la famiglia perfetta, quadrata e delineata…
Le domande non devono per forza trovare risposte. Le domande però esigono che qualcuno le ascolti
Buona serata!
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👉due minori, cittadini moldavi, figli di cittadini moldavi vivono in Moldavia affidati in via esclusiva alla loro madre. Durante le vacanze estive, la donna acconsente a che il padre trascorra con loro qualche tempo con l’accordo che i minori sarebbero rientrati a casa una volta terminate le vacanze.
👉il padre, però, alla fine del periodo concordato, non li riporta a casa e anzi li porta in Italia.
👉durante i giorni trascorsi col padre, infatti, il padre si accorge che il figlio più piccolo era stato circonciso. I figli iniziano a raccontare episodi di umiliazioni e violenze subite da parte del nuovo marito della madre.
👉i due minori, di anni 13 e 9, sentiti dal Tribunale per i Minorenni nell’ambito del procedimento introdotto dal PM su istanza della donna per il rimpatrio in Moldavia, si oppongono al rientro.
👉il Tribunale, ascoltati i minori ritenuti capaci di discernimento, rigettano la richiesta di rimpatrio temendo anche che un ritorno in Moldavia potesse far correre il rischio ai minori di subire nuovamente le violenze.
👉La Corte di Cassazione adita dalla madre respingeva il ricorso confermando il mancato rientro in patria affermando che la volontà contraria al rientro manifestata dal minore in un procedimento di sottrazione internazionale può costituire una ragione ostativa al rientro ex art. 13, secondo comma, della Convenzione Aja 25 ottobre 1980.

🔗 Trovate l`approfondimento a cura dell`Avv Alice di Lallo sul nostro Blog!
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Accolto il ricorso in Cassazione di un padre che richiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento per la figlia 25enne.

La Cassazione, infatti, ha chiarito che in base alla normativa vigente e in ragione del principio di autoresponsabilità, incombe sul figlio maggiorenne, e non sul genitore, l’onere di dimostrare di aver curato, con ogni possibile impegno, la propria formazione professionale o di essersi attivato nella ricerca di un’occupazione lavorativa.

Nel caso in questione, la figlia maggiorenne dopo aver conseguito la maturità non aveva continuato gli studi e per 5 anni preferiva lavori saltuari e precari. All’età di 24 anni, decideva di riprendere a studiare iscrivendosi ad un corso non in linea con gli studi fatti e il padre agiva per la revoca del mantenimento e dell’obbligo di contribuire alle spese straordinarie.

Il Tribunale di Pordenone revocava il mantenimento mentre la Corte d’Appello adita dalla madre, riaffermava l’obbligo a carico del padre di mantenere la figlia e contribuire ai di lei studi ritenendo che l’inizio tardivo degli studi potesse essere dovuto a vari fattori, anche ad un disagio psicologico, e che, secondo le consuetudini sociali in voga, un venticinquenne non fosse obbligato a trovarsi un lavoro!!

Al padre non rimaneva che adire la Cassazione che ha osservato come la questione dell’età non costituisca fatto notorio, che l’onere della prova incombe al figlio beneficiario del mantenimento e che pertanto è necessario effettuare una valutazione caso per caso, idonea a declinare il principio di autoresponsabilità alla fattispecie concreta del "figlio adulto".

Vale a dire.. una volta raggiunta la maggiore età, si presume l`idoneità al reddito e quando non lo si ha occorre che sia provato dal richiedente li suo impegno rivolto al reperimento di un`occupazione nel mercato del lavoro e la concreta assenza di personale responsabilità nel ritardo a conseguirla.
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➡️ A seguito dello scioglimento dell’unione civile, il partner più debole ha diritto a percepire un assegno di mantenimento? La risposta è sì.
A stabilirlo è la legge Cirinnà 76/2016 ove ai sensi dell’art. 1 comma 25 vi è espresso rimando alle norme sull’assegno divorzile.

Sul punto la Corte di Cassazione con la pronuncia 24930/2024 ha quindi chiarito che in caso di scioglimento dell’unione civile, all’assegno mensile “deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa”.

➡️ Inadeguatezza dei mezzi dell’ex partner richiedente e impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, comparazione delle condizioni economiche patrimoniali delle parti, contributo offerto da ciascuno all’interno della famiglia e per la formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio ed età del richiedente, dovranno pertanto essere i principi su cui fondare la valutazione giudiziale. Nel caso di specie, tuttavia, dopo un iniziale riconoscimento da parte del Tribunale di Pisa, la Corte d’Appello di Firenze ritenendo assenti i requisiti fondanti il diritto a ricevere l’assegno, lo revocava.

➡️ Di fronte la revoca, la donna originariamente beneficiaria proponeva ricorso per Cassazione per mezzo del quale lamentava che la Corte territoriale non aveva tenuto conto della di lei condizione di inabilità al lavoro né della disparità delle condizioni economiche con la ex partner, che aveva un lavoro e un immobile di proprietà.

➡️ La Corte di Cassazione però considerava i motivi del ricorso inammissibili: nel caso di specie la Corte territoriale che aveva correttamente applicato i parametri legislativi e giurisprudenziali, aveva revocato il diritto originariamente riconosciutole per non aver la donna provato l’addotta disparità economica con la ex partner, ed avendo al contrario quest’ultima provato la di lei assenza di qualsivoglia reddito.

Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, confermando la revoca dell’assegno e condannando la ricorrente alla rifusione delle spese legali.

Trovate l`approfondimento sul Blog a cura dell`Avv. Angela Brancati
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Il decreto Caivano, introdotto per contrastare il disagio giovanile, la povertà educativa e la criminalità minorile, contiene norme per combattere la dispersione scolastica “assoluta” - quando un minore non è mai stato iscritto a scuola - e l’abbandono scolastico.
 
Secondo dati Eurostat, l’Italia nel 2022 era il quinto Paese europeo con più abbandoni (11,5%), dopo Romania, Spagna, Ungheria e Germania. Secondo un’indagine dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza le cause di abbandono scolastico sono esclusione sociale, povertà, disagi personali o familiari, ansia.
 
Vediamo il nuovo art. 570 ter cp: “Il responsabile dell’adempimento dell’obbligo di istruzione che, ammonito ai sensi dell’articolo 114, comma 1 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, non prova di procurare altrimenti l’istruzione del minore o non giustifica con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, la mancata iscrizione del minore presso una scuola del sistema nazionale di istruzione, o non ve lo presenta entro una settimana dall’ammonizione, è punito con la reclusione fino a due anni. Il responsabile dell’adempimento dell’obbligo di istruzione che, ammonito ai sensi dell’articolo 114, comma 4, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 per assenze ingiustificate del minore durante il corso dell’anno scolastico tali da costituire elusione dell’obbligo di istruzione, non prova di procurare altrimenti l’istruzione del minore o non giustifica con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l’assenza del minore dalla scuola, o non ve lo presenta entro una settimana dall’ammonizione, è punito con la reclusione fino a un anno”.
 
L’art. 114 del decreto legislativo 297/94 citato stabilisce l’istruzione obbligatoria per almeno 10 anni (6-16), fino al conseguimento di un titolo di studio secondario superiore o di una qualifica professionale.
 
Come reagireste se vostr* figli* vi dicesse che non vuole più andare a scuola?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
#scuola #minori #reato #avvocato
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HO AVUTO UN TUMORE: POTRO’ MAI ADOTTARE ?
È possibile per chi ha avuto un cancro presentare domanda per adottare un bambino?
La Legge Adozioni n. 183/1984 all’art. 22 prevede che all’interno del percorso avanti il Tribunale per i Minorenni per ottenere il decreto di idoneità all’adozione, le valutazioni riportino anche informazioni relative allo stato di salute attuale e pregresso della coppia fatte alla luce di un certificato rilasciato dal medico curante contenente l’anamnesi della persona e l’attestazione che la coppia sia esente da patologie fisiche e psichiche invalidanti.
Ma quanto tempo deve passare dalla guarigione?
Dopo anni di vuoto normativo, è stata approvata la Legge 7 dicembre 2023, n. 193 che - in punto adozione - stabilisce il divieto di richiedere alle coppie che depositano richiesta di adozione di minori, informazioni sullo stato di salute relative a patologie oncologiche pregresse se sono ormai trascorsi dieci anni dal trattamento e non ci sono state recidive o ricadute della malattia, ovvero cinque anni se la patologia era insorta prima del ventunesimo anno di età.
Mancavano, però, ancora le modalità attuative e i modelli per la richiesta del certificato e il modello di certificato di oblio oncologico, finalmente disciplinato con il Decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 2024 .
Il Decreto chiarisce che il certificato di oblio è rilasciato dietro apposita istanza, debitamente documentata, da una struttura sanitaria pubblica o privata o da un medico del Servizio sanitario nazionale.
Oltre ai dati anagrafici, la persona dovrà fornire la documentazione medica relativa alla richiesta di oblio; il certificato di oblio oncologico deve contenere l’indicazione del nome, del cognome, del luogo e della data di nascita, del codice fiscale e della residenza dell’interessato, senza ulteriori informazioni relative alla tipologia di patologia sofferta o ai trattamenti clinici effettuati e dovrà essere rilasciato entro trenta giorni dalla richiesta.
Chissà mai che queste novità siano nuovo impulso alle adozioni, decisamente in calo negli ultimi anni!
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La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una donna alla quale la Corte d’Appello di Catanzaro aveva revocato l’assegno divorzile di €2000,00 che il Tribunale di Cosenza le aveva riconosciuto dopo diciotto anni di matrimonio.

Secondo gli Ermellini, infatti, la Corte d’Appello nel revocare all’ex moglie l’assegno di divorzio, avrebbe impropriamente circoscritto la funzione dell’assegno a quella “strettamente assistenziale”, ignorando invece la funzione compensativa e perequativa che esso è chiamato a soddisfare.

Per i giudici di Catanzaro la donna, per il solo fatto che aveva due immobili messi a reddito, non avrebbe versato in una condizione di inadeguatezza dei mezzi di sostentamento e per questo motivo, senza compiere un accertamento circa lo squilibrio effettivo di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi,

In realtà il reddito della donna era di circa 500€ netti al mese contro i €8000,00 del marito; il matrimonio era durato 18 anni; la donna aveva rinunciato a terminare la facoltà di Farmacia (mancavano solo 2 esami e la tesi) perché in attesa del primo figlio; da allora si era esclusivamente dedicata alla cura della famiglia consentendo al marito di dedicarsi alla sua realizzazione professionale col conseguente costante aumento dei propri redditi.

Inoltre l’ipoteca iscritta sui propri immobili a favore della società del marito era da valorizzare come contributo offerto nel corso del matrimonio, non come indice della sua autosufficienza economica, tenuto conto che la donna aveva una minima di partecipazione alle società dell’ex marito.

Tutta da rifare quindi! La Cassazione rinvia gli atti alla Corte di Catanzaro che dovrà rivalutare la situazione della coppia valorizzando la dedizione esclusiva alla cura della famiglia, anche a prescindere dalle rinunce di studio o professionali che andranno provate. Sentenza commentata da @giorgiabelluschi
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Lo Studio Legale Di Nella è anche in Abruzzo grazie all’interazione con lo Studio legale Ucci!

Sono molto felice di presentarvi i professionisti dello Studio Legale di Lanciano (CH) con i quali abbiamo avviato da qualche mese una partnership!

L’Avv Alfonso Ucci da sempre attento alle problematiche sociali vanta una consolidata esperienza nel diritto penale anche minorile, civile ed amministrativo mentre l’Avv Francesca Ciarelli si è nel tempo specializzata nel diritto di famiglia e minorile ricoprendo anche incarichi come curatore del minore.

📞Per fissare un appuntamento a Lanciano chiamateci allo 0243982209 oppure allo 087242699 direttamente sul posto.

#studiolegaledinella #avvdinella #avvucci
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La situazione dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti va valutata in concreto e nell’attualità alla luce del principio di autoresponsabilità, tenendo dell`età e del percorso formativo (che sia terminato o in corso di esecuzione) della loro situazione personale e familiare, della loro personalità, delle comprovate attitudini, aspirazioni e attuali esigenze, ai sensi dell`art. 337 ter, comma 4, c.c. che hanno la massima rilevanza quando si tratta di giovani che hanno da poco raggiunto la maggiore età.
➡ La Cassazione con l’ordinanza n. 24391/2024 torna ad affrontare il tema dell’obbligo del contributo al mantenimento dei figli maggiorenni con specifico riferimento al concetto di autosufficienza economica.
Il caso di specie trae origine dal decreto della Corte d’Appello di Trento che aveva accolto il reclamo di un padre revocando l`obbligo di mantenimento nei confronti delle due figlie maggiorenni:
La primogenita perché, dopo aver ottenuto la maturità nel 2018, si era iscritta a vari corsi universitari in Germania, senza però sostenere esami rilevanti.
La secondogenita perché, pur avendo completato la scuola professionale in ritardo, aveva iniziato a lavorare come apprendista, conseguendo un proprio reddito, seppur modesto.
️La madre propone ricorso per Cassazione e vince.
La Corte d`Appello non aveva tenuto conto del contesto personale e delle difficoltà delle figlie, come i problemi di salute e le problematiche legate alla pandemia. Inoltre, non era stato considerato l’impegno nel percorso formativo successivo della primogenita e lo scarso reddito della secondogenita ma era stato applicato in modo troppo rigido il concetto di autosufficienza economica, basandosi solo sull`età e sul reddito minimo, senza considerare che le figlie non avevano raggiunto una reale indipendenza economica.

Alla luce delle suddette motivazioni, pertanto, il ricorso è stato accolto e il decreto impugnato cassato e rinviato alla Corte d`appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione.

E tu che ne pensi?
Vuoi leggere l`approfondimento dell`Avv. Maria Zaccara?
Un click sul link in bio ed uno su Blog.
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In tema di separazione personale dei coniugi, l`allontanamento infrasettimanale della casa familiare per cinque giorni lavorativi, ove determinato da ragioni di lavoro e di accudimento di un figlio minore, non è connotato dal carattere di stabilità che integra la condizione essenziale per la revoca dell`assegnazione della casa familiare.
Questo quanto ribadito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 22726 pubblicata in data 12 agosto 2024.
Il caso traeva origine da una decisione del Tribunale di Lecce che collocava il minore presso la madre e le assegnava la casa di proprietà del padre nonostante da tempo la donna se ne fosse allontanata.
L’uomo impugnava la decisione avanti la Corte di Appello leccese che revocava l’assegnazione poiché aveva appurato che il bambino aveva vissuto pochissimo presso l’abitazione con i genitori e comunque anche in quei periodi nei giorni infrasettimanali madre e figlio si trasferivano presso la casa dei nonni materni, lavorando il padre fuori sede e necessitando di continue cure il bambino.
La donna naturalmente proponeva ricorso in cassazione ove vedeva accolte le proprie doglianze: la Corte di Cassazione infatti ribadiva che la casa di proprietà del padre era sicuramente da considerarsi quale habitat del minore da tutelare con l’assegnazione poiché:

👉I genitori avevano adibito la casa ad abitazione coniugale;
👉Il bambino ivi era nato ed ivi aveva vissuto per 10 mesi da parametrarsi con la sua tenera età;
👉L’allontanamento infrasettimanale era dovuto alle peculiari esigenze di cura e accudimento del minore che non potevano essere fornite da un solo adulto;
👉A nulla valeva l’allontanamento del bambino da casa con l’insorgere della crisi familiare e la revoca dell’assegnazione disposta dalla Corte di Appello.

Ora la palla torna a Lecce. Cosa farà??
Approfondisce la decisione sul blog la Dott.ssa Elisa Cazzaniga
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È motivo di addebito della separazione l’accertata infedeltà anche se negli anni addietro è incontestato che la coppia avesse attraversato momenti di crisi e la moglie avesse “perdonato” le precedenti storie extraconiugali.

Fatto: durante il matrimonio durato quasi 30 anni, un marito cadeva più volte in tentazione l’ultima delle quali avveniva nel 2014. La moglie cosciente delle diverse infedeltà decideva però di andare oltre e i coniugi continuavano il matrimonio condividendo la vita sia come genitori sia come coppia, trascorrendo anche le vacanze da soli sino all’estate del 2022.

Nel 2023 però la donna aveva sentore di una nuova relazione extraconiugale del marito e questa volta incaricava un investigatore che lo seguiva e accertava che avesse trascorso due fine settimana insieme all’amante in un hotel. Avuto contezza dell’ennesimo tradimento la donna questa volta chiedeva la separazione e anche l’addebito.

Il marito si difendeva affermando che la presunta relazione era in realtà una profonda amicizia in cui ”aveva trovato conforto" vista la lunga crisi matrimoniale in atto da anni; il matrimonio era continuato per le figlie; la moglie sapeva e non si era “lamentata” delle precedenti amanti e in ogni caso il report dell’investigatore non aveva evidenziato effusioni tra lui e la donna.

Ma Tribunale non ha dubbi: l’uomo non ha smentito le affermazioni della moglie, anzi ha confermato i due fine settimana con l’”amica” senza dare alcuna diversa ricostruzione (es. presenza per un convegno, rapporto di lavoro), la crisi è stata chiaramente superata visto il tempo passato insieme nonostante le figlie fossero maggiorenni da diversi anni e le parti ancora nel 2022 erano andate in vacanza assieme da sole, condividendo esperienze all`evidenza non necessarie rispetto alla mera crescita delle figlie.

Il comportamento del marito integra un grave inadempimento dei doveri coniugali.

E voi? Riuscireste mai a perdonare un’infedeltà?
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La rinuncia a lavori di prestigio da diritto a ricevere un assegno divorzile?
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 23323/2024 del 29.08.20247 confermando che il coniuge che nel corso della vita matrimoniale ha rinunciato ad incarichi lavorativi prestigiosi per occuparsi dei figli e che a seguito della separazione ha cercato incarichi part time per continuare a prendersi cura della famiglia, ha diritto a ricevere l’assegno divorzile.
➡️ La vicenda ha avuto inizio avanti il Tribunale di Roma che in un procedimento di divorzio respingeva la domanda della ex moglie di ricevere un assegno divorzile.
➡️ La donna ricorreva in appello che, ritenendo provato che l’allontanamento del mondo del lavoro della signora era stato determinato dalla scelta di dedicarsi alla famiglia rinunciando alla propria realizzazione professionale e perdendo concrete occasioni di lavoro, accoglieva l’appello e disponeva un assegno divorzile.
➡️ L’ex marito ricorreva quindi, avanti la Corte di Cassazione che però respingeva il ricorso. Gli Ermellini affermavano che la Corte territoriale aveva dato corretta applicazione dei principi giurisprudenziali avendo accertato che i redditi dell’ex marito erano di gran lunga superiori a quelli della donna, che quest’ultima aveva svolto lavori di prestigio prima del matrimonio che erano poi cessati a causa della nascita dei figli e che a seguito della separazione la signora aveva trovato un nuovo lavoro part time che le permetteva di continuare a dedicarsi alla famiglia. A fronte di ciò la Corte aveva, correttamente, ritenuto provato sia la rinuncia alla carriera professionale da parte della donna sia la di lei dedizione esclusiva alla casa e ai figli durante il matrimonio e pertanto il ricorso doveva essere rigettato.
🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.
❓E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
#marito #moglie #divorzio #assegno
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Posso scegliere con chi vivere? Come faccio a proteggermi dalle liti tra i miei genitori? Vorrei andare a vivere con dei parenti per allontanarmi da mamma e papà che discutono, è possibile?

Queste sono solo alcune delle domande che ci sono arrivate nella giornata di oggi e che sempre più spesso ci vengono poste.
Ragazzi, è importante che sappiate che non siete soli e che avete il diritto di farvi sentire. La separazione dei genitori è un momento difficile per tutti, ma ricordate che la vostra voce conta. Se avete bisogno di parlare con qualcuno, non esitate a chiedere aiuto a un adulto di fiducia, ad un insegnante o ad uno psicologo. E se la situazione a casa è troppo difficile, esiste anche la figura del curatore speciale, una persona che può rappresentare i vostri interessi in tribunale.

E voi genitori, durante la separazione, siete o siete stati in grado di dare spazio alla voce e ai desideri dei vostri figli?

#figli #genz #avvdinella
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Cosa accade se i coniugi dopo la separazione ma prima del divorzio sottoscrivono accordi negoziali con cui vengono divisi i beni e riconosciute somme al coniuge economicamente più debole?

Durante la vita matrimoniale la donna, più debole economicamente, collaborava e supportava il marito nelle sue società che vedeva così accrescere il proprio patrimonio anche grazie ai sacrifici della moglie

Proprio per ricompensare tale sacrificio, i coniugi, due anni dopo la separazione ma prima del divorzio, firmavano un accordo con cui il marito riconosceva alla moglie l’esclusiva titolarità di una società e a conguaglio una somma di €106.000,00

Il Tribunale durante il procedimento di divorzio ritenuto esistente ancora lo squilibrio tra i coniugi e considerato il sacrificio della donna che aveva contribuito di gran lunga alla formazione del patrimonio familiare e personale del marito, riconosceva alla moglie il diritto di percepire l’assegno divorzile

Il marito ricorreva in Appello ma Trieste confermava ma la Corte di Cassazione, invece, dava ragione all’uomo.

Il giudice avrebbe dovuto tenere in considerazione l’accordo transattivo raggiunto tra le parti e valutare se la donna, a fronte della divisione delle società e la ricezione di una somma a conguaglio, aveva riequilibrato la propria condizione economica rispetto a quella dell’ex coniuge.

In caso positivo, infatti, l’assegno non è dovuto perché la funzione perequativa è già stata soddisfatta da detto accordo privato.
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La dichiarazione di adottabilitá di un minore richiede un accertamento in concreto e nell’attualità dello stato di abbandono materiale e morale; devono, pertanto, essere valutate sia le figure genitoriali sia i parenti entro il quarto grado, al fine di stabile se il best interest del minore sia quello di crescere nella famiglia di origine o altrove.

La dichiarazione di adottabilitá è una extrema ratio e pertanto occorre valutare anche la possibilità di procedere ad un’adozione mite ovvero se vi sono comunque le condizioni per mantenere incontri con i familiari, pur a seguito della dichiarazione di adottabilità.

La vicenda di cui parliamo oggi iniziava avanti il Tribunale per i Minorenni di Milano che dichiarava lo stato di adottabilità di un minore figlio di due tossicodipendenti, nonostante la nonna materna avesse chiesto l’affido del nipotino.

Tale decisione veniva impugnata dalla nonna materna, ma la Corte d’Appello di Milano confermava lo stato di abbandono morale e materiale del minore all’esito della disposta CTU.

La nonna materna non si dava per vinta e proponeva ricorso avanti la Corte di Cassazione affermando che fin dalla nascita il piccolo era sempre stato circondato dall’amore e dall’affetto della famiglia d’origine e che la Corte d’Appello aveva deciso sulla base di vecchie relazioni dei Servizi Sociali e sulla base di una CTU che non aveva valutato in concreto il rapporto del piccolo con lei.

E finalmente la nonna veniva ascoltata! La Corte di Cassazione, infatti, ricorda che la valutazione dell’abbandono morale e materiale deve essere rigorosa e fatta su dati attuali e che la dichiarazione di adottabilità non esclude a priori la possibilità per il giudice di mantenere vive talune positive relazioni socio affettive con componenti della famiglia d’origine.

La corte d’Appello di Milano, pertanto, dovrà rivalutare la figura vicariante della nonna e stabilire se mantenere i rapporti con il nipote anche in caso venisse confermata l’adottabilitá!
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