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➡️ Il caso: due ex coniugi con due separati ricorsi chiedevano la modifica delle condizioni di divorzio concordate in sede di negoziazione assistita nel giugno del 2019: sia in merito al calendario di visita delle minori (il papà) sis in merito alla revisione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento delle minori (la mamma). I ricorsi venivano riuniti.
➡️ Il Tribunale di Bologna disponeva CTU e, in parziale modifica delle condizioni di divorzio, modificava il calendario di visita e ammoniva la ex moglie ai sensi dell’art. 709 ter cpc e respingeva la domanda della donna di aumento del gli importi per le figlie.
➡️La ex moglie proponeva reclamo.
➡️ La Corte d’Appello, però, dichiarava il ricorso inammissibile poiché ritenevano che le parti avevano liberamente concordato la misura e le modalità del mantenimento della prole in sede di negoziazione assistita.
➡️Avverso tale decisione la ex moglie proponeva ricorso per Cassazione.
➡️ La Suprema Corte, nelle motivazioni, evidenzia come il contributo al mantenimento delle minori era stato concordemente individuato dai genitori in sede di negoziazione assistita e in tale ambito l’equilibrio tra l’autonomia privata e la tutela delle situazioni soggettive meritevoli di protezione è garantito dalla previsione dell’intervento del Procuratore della Repubblica.
Pertanto, il Giudice, chiamato a pronunciarsi in merito alla revisione delle condizioni di mantenimento della prole stabilite con accordo di negoziazione assistita, non può effettuare una nuova e autonoma valutazione dei presupposti dell’entità dell’assegno di mantenimento, né può prendere in esame fatti anteriori all’accordo stesso, dovendosi limitare a verificare se e in quale misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato la situazione, adeguando l’importo alla nuova situazione patrimoniale.
➡️Alla luce delle suddette motivazioni la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
E tu che ne pensi?
Vuoi leggere l’approfondimento dell`Avv. Maria Zaccara? Un click sul link in bio ed uno su Blog.
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E’ stato recentemente pubblicato un Report - “Le traiettorie della devianza giovanile” - risultato di uno studio esplorativo condotto da Transcrime, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica; le conclusioni dello studio sono state presentate durante la conferenza “La devianza giovanile in Italia: episodi o trasformazione?”, organizzata in collaborazione con la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica.
 
In base allo studio condotto aumenta la violenza dei minorenni e si abbassa l’età di commissione del primo reato.
 
Lo studio segue una mappatura del 2022 del fenomeno delle cosiddette gang giovanili, fornisce statistiche ufficiali e analizza informazioni riferite a un campione di 100 ragazzi presi in carico dall’USSM di Milano per provvedimenti di natura penale nei bienni 2015-2016 e 2022-2023.
 
Vediamo insieme qualche informazione fornita.
 
Il numero dei casi è stabile, ma i reati commessi sono più gravi. Più precisamente il numero dei reati gravi è quasi il doppio rispetto al 2015-16 e il 72% dei giovani considerati ha commesso come primo reato una rapina o un reato violento.  L’eccesso di aggressività è, quindi, il dato più allarmante.
 
L’altro riguarda l’età: più della metà dei giovani (52 %) ha commesso il primo reato a 15 anni e mezzo.
 
Aumenta la violenza in famiglia, i NEET e il numero di ragazzi autori di reati con problemi di dipendenza o uso di stupefacenti. La quasi totalità di ragazzi delinquenti ha, o ha avuto, problemi a scuola.
 
La metà dei ragazzi sono di nazionalità italiana; in un caso su 4 si tratta di stranieri, provenienti principalmente dal Nord Africa.
 
Si registra anche un aumento dei casi di disagio psicologico e psichiatrico che si traducono spesso in aggressività.
 
In sostanza, non aumentano i reati, ma cresce la violenza e si abbassa l’età di chi li commette.
 
Secondo voi cosa si può fare per prevenire la delinquenza minorile?
 
Post scritto da @avvcrespi
 
#avvocato #minori #minorenni #reati
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Dopo dieci anni di matrimonio abbastanza sereno e stabile anche economicamente, un uomo iniziava a fare uso di alcol e sostanze stupefacenti e ad assentarsi da casa.
Neppure i bambini riuscivano più ad interessarlo tanto che evitava di condividere qualunque momento con la moglie e i figli, anche solo di cenare e pranzare insieme.

Ben presto la moglie trovava messaggi inequivocabili da parte di una giovane donna e decideva di avviare la separazione.
L’uomo rifiutava ogni accordo ma continuava la relazione e arrivava a portare a casa a dormire la sua amante in presenza dei figli.

Chiamati i Carabinieri, la donna riusciva ad allontanare il marito ma dopo qualche mese l’uomo veniva lasciato dalla giovane amante e pretendeva di essere perdonato; l’uomo quindi iniziava a perseguitare la moglie agendo minacce e intimidazioni e alternando fasi di vicinanza alla moglie a fasi di pedinamento e controllo stretto tipiche del partner maltrattante.

Sempre più spaventata anche da foto inquietanti che il marito le recapitava, la donna chiedeva aiuto ai Carabinieri che la proteggevano insieme ai figli in un luogo sicuro, previa concertazione con il PM di turno presso il Tribunale per i Minorenni di Milano.
Visti i gravi comportamenti agiti, su denuncia della moglie l’uomo veniva ammonito dal Questore ma nonostante ciò perseverava nelle intimidazioni alla donna cercandola sul luogo di lavoro e inviandole messaggi sconnessi e minacciosi.
Con decreto del 10 luglio 2024, pertanto, il Tribunale dei Minorenni di Milano confermava il provvedimento assunto ex art 403 cc dai Carabinieri a tutela di due minori che erano stati collocati con la madre in un luogo protetto ed emetteva un provvedimento indifferibile ai sensi e agli effetti di cui agli articoli 473bis 69 comma II e 473bis 70 cpc.
Il Tribunale, infatti, come previsto dalla riforma Cartabia ordinava al padre dei minori di non avvicinarsi alla casa familiare, né ai luoghi abitualmente frequentati dalla madre e dai minori (scuole dei figli e luogo di lavoro della madre) per la durata di un anno.
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Scoprire che il proprio coniuge è omosessuale può essere una “sorpresa” sconvolgente e nella maggior parte dei casi quando accade, colui che lo scopre, si rivolge ad un legale per cessare ogni rapporto con il partner ed dolore e la sensazione di tradimento prevale su bene che c’è stato.

Ma cosa prevede la legge in questi casi?
La scoperta è sicuramente una causa di nullità del matrimonio celebrato in Chiesa: la nullità di tale matrimonio viene dichiarata attraverso una sentenza ecclesiastica.

Ma perché tale nullità abbia anche valore anche nell’ordinamento italiano l’attivazione deve essere tempestiva. Se nonostante la scoperta la coppia prosegue nel matrimonio, l’ordinamento italiano potrebbe non riconoscere la nullità del matrimonio.

In ogni caso, la scoperta omosessualità del coniuge è causa della separazione ma non può essere considerata di per sé motivo di addebito.
La “scoperta” della propria omosessualità da parte del coniuge, è stato in proposito affermato, costituisce una circostanza non ascrivibile alla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio quanto piuttosto una, non addebitabile, “evoluzione” del rapporto matrimoniale.

In presenza invece di una relazione omosessuale si riscontra violazione dell’obbligo di fedeltà, previsto dall’articolo 143 c.c., e dunque causa di addebito a carico del coniuge che vi è incorso, sempre che sia accertato il nesso causale tra l’adulterio e l’intollerabilità della convivenza.

Ad incidere dunque sulla stabilità del matrimonio è, in una simile ipotesi, non tanto l’omosessualità in sé quanto il tradimento del coniuge.
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Dichiarato decaduto il padre che si disinteressa del figlio e non è in grado di mostrare affetto neppure dopo la morte della ex. La Corte di Cassazione, con la decisione n. 8911/2024, ha affermato che “qualora venga accertata l’incapacità di un genitore di stabilire una valida relazione affettiva con il figlio, minando il di lui regolare sviluppo psicofisico, già reso particolarmente vulnerabile dal decesso della madre, sussistono i presupposti per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale”.
Il caso di specie si svolge a Napoli a seguito di ricorso proposto avanti il Tribunale per i Minorenni dalla sorella di un minore contro il padre per la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale dell’uomo.
Con il divorzio dei genitori, il minore era stato affidato congiuntamente agli ex coniugi ma collocato presso la madre, che purtroppo, si ammalava e decedeva nel 2019.
Morta la madre, poiché non vi era alcuna relazione tra il figlio e il padre, il minore veniva affidato temporaneamente alla sorella maggiore, la quale proponeva poi ricorso avanti il Tribunale per i Minorenni a tutela del fratellino.
Disposta CTU veniva accertato che il padre era figura affettivamente lontana e sostanzialmente indifferente alle sorti del figlio. Per tale motivo, inizialmente sospeso dall’esercizio della responsabilità genitoriale, l’uomo veniva dichiarato decaduto.
Avverso tale decisione l’uomo proponeva reclamo avanti la Corte di Appello di Napoli che, tuttavia, confermava la decisione del Tribunale di primo grado.
L’uomo, insoddisfatto, impugnava il provvedimento con ricorso per cassazione, ma il proprio ricorso veniva dichiarato inammissibile per genericità e mancata specificità dell’unico motivo di impugnazione.
🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento della Dott.ssa Elisa Cazzaniga un click sul link in bio ed uno su Blog.
❓E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
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Due coniugi depositavano congiuntamente un ricorso per divorzio contenente, tra le altre statuizioni, anche la previsione di un assegno divorzile in favore della moglie di €3.500 oltre ad un importo annuo di € 16.000 per il menage familiare. A latere e in aggiunta, sottoscrivevano una scrittura privata in cui, ad integrazione dell’assegno divorzile, si prevedeva che il marito avrebbe mensilmente versato in favore della moglie un’altra somma di €2.500.
Mutata la situazione (nuova convivenza della donna con un uomo), l’ex marito chiedeva al Tribunale di Milano rivedere le condizioni di divorzio riducendo l’importo mensile che l’uomo versava alla ex: il Tribunale, ritenendo di non poter modificare i patti a latere perché rientranti nella disciplina dei contratti, non interveniva sulla scrittura privata e si limitava a ridurre solo l’importo contenuto nella sentenza di divorzio.

Ma l’uomo non può accettare la decisione posto che il patto aggiuntivo all’accordo congiunto era espressamente qualificato come patto «ad integrazione del contributo al mantenimento” e come tale rientrava a pieno titolo nell’oggetto del giudizio divorzile.

La Cassazione, finalmente ribalta almeno in parte le decisioni di merito chiarendo che il giudice non può intervenire su tali accordi “a latere” perché rientranti nell’autonomia delle parti ma il giudice ne deve tenere conto per la valutazione delle condizioni patrimoniali ai fini di esprimersi sulla domanda di modifica degli accordi.
A questo punto la palla ritornerà alla Corte d’Appello di Milano.

E voi cosa ne pensate di accordi presi fuori dalle aule dei Tribunali?
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Anche se inserito in una Comunità terapeutica, va disposta la misura dell’amministratore di sostegno al giovane che si trova nell`impossibilità di provvedere
a se stesso e ai propri interessi a causa di disturbo dell’umore NAS, disturbo di
personalità NAS e pregressi episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio.

Così ha deciso il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Alessandria dopo aver sentito personalmente in udienza il giovane trovandolo palesemente bisognoso della misura dell’amministratore di
sostegno: il ragazzo infatti non aveva coscienza della propria malattia psichiatrica, rifiutava le cure e, di conseguenza, manifestava incapacità di provvedere a vari aspetti della cura di sé.

L’art. 404 cc prevede, infatti, che indipendentemente dall’età “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.

Dal momento che non c’erano famigliari disponibili ad assumere l’incarico, il Giudice Tutelare nominava un avvocato con il compito di avere cura del ragazzo, facendo i suoi interessi personali e patrimoniali nonché assistendolo nelle attività quotidiane e nei trattamenti sanitari al fine di rendergli la vita più confortevole, esprimendo a tal fine il consenso informato all’attuazione degli interventi medici chirurgici, cure, terapie, trattamenti e ricoveri previa adeguata informazione, consultazione e confronto con il ragazzo tranne nei casi di urgenza.

E voi cosa ne pensate? Questa misura può essere una buona soluzione per tutti i ragazzi che compiuti i 18 anni dimostrano una grave incapacità di prendersi cura di loro ?
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Ai fini del diritto a ricevere l’assegno divorzile hanno rilevanza le motivazioni che hanno portato il coniuge economicamente più debole a rinunciare ad occasioni lavorative?
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 18506/2024 del 08.07.20247 confermando che ai fini del diritto all’assegno divorzile non è attribuito rilievo specifico alle motivazioni delle rinunce professionali per la dedizione alla famiglia. Non è richiesto infatti, che la rinuncia da parte dell’ex coniuge sia espressamente motivata in funzione dell’impegno per la famiglia, essendo sufficiente che vi sia il rapporto causale tra tale rinuncia e l’impegno familiare, che la scelta sia condivisa tra i coniugi e che, grazie ad essa, il patrimonio comune o dell’altro coniuge si sia incrementato in ragione della dedizione esclusiva al lavoro del coniuge, indipendentemente dalle motivazioni che hanno indotto alla stessa scelta.
➡️ La vicenda ha avuto inizio avanti il Tribunale di Lodi che in un procedimento di divorzio disponeva in capo all’ex marito l’obbligo di versare alla moglie un assegno divorzile.
➡️ L’uomo ricorreva in appello che però rigettava le domande.
➡️ L’ex marito ricorreva quindi, avanti la Corte di Cassazione che però dichiarava il ricorso inammissibile. Gli Ermellini ricordavano che la funzione dell’assegno divorzile, nello specifico quella perequativa-compensativa, presuppone la rinuncia da parte del coniuge più debole della propria professionalità, ossia la rinuncia di opportunità lavorative o di crescita professionale al fine di dedicarsi alla cura della famiglia. Considerato pertanto, che il sacrificio della donna era stato provato anche tramite CTU e che in ogni caso le motivazioni di detta scelta sono irrilevanti ai fini della decisione, la Corte confermava la sussistenza in capo alla donna del diritto a percepire un assegno divorzile.

🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.
❓E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
#marito #moglie #divorzio #assegno
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Le domande di oggi ci dimostrano che già a 14 anni è forte il desiderio di ragazzi e ragazze di avere uno spazio per sè lontano da una situazione familiare difficile e iniziare a vivere le proprie esperienze in maggiore libertà.

❓Forse questi stessi adolescenti sono stati sovraccaricati del conflitto in corso tra i genitori.

❓Forse si sentono contesi tra i genitori e temono che trascorrere più tempo con l’uno piuttosto che con l’altro genitore possa inasprire gli animi.

❓Forse faticano a trovare all’interno della famiglia una dimensione di serenità e soprattutto nel periodo estivo desiderano ritrovare la spensieratezza tipica dell’età fuori dalle mura domestiche giovando della compagnia degli amici.

👉E voi genitori, siete riusciti a tenere i vostri ragazzi lontani dal conflitto e a garantire loro serenità?
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Due donne, il desiderio di genitorialità, il ricorso all’estero alla procreazione medicalmente assistita, la nascita di tre figli, l’unione civile e poi ancora la separazione, ma la voglia da parte della madre intenzionale di non spezzare il legame con i figli che sentiva anche propri e la richiesta di poterli adottare.

È questa la vicenda che da cui traeva origine il procedimento iniziato dalla madre intenzionale dopo la separazione e conclusosi con la pronuncia favorevole all’adozione speciale!

La ricorrente depositava istanza ex art. 44 lett. d) legge 184/1983 chiedendo che venisse formalizzato il legame instaurato fin dalla nascita con i tutti e tre i figli della ex partner nati mediante il ricorso all’estero alla PMA, non essendo stato possibile riconoscerli in Italia.

La donna a sostegno della propria richiesta riferiva di aver intrapreso già nel 2008 insieme alla compagna, che sarebbe divenuta poi madre biologica dei loro tre figli, un percorso di PMA all’estero. Dalla nascita dei figli, pur in assenza di riconoscimento, la ricorrente al pari della madre biologica si era sempre occupata dei minori sotto ogni punto di vista, istruendoli, educandoli, mantenendoli. La situazione rimaneva la medesima anche dopo la separazione delle donne che nel frattempo si erano unite civilmente.

Il Tribunale non aveva dubbi: sentiti i minori emergeva da tutti loro il legame profondo che continuava ad essere forte e significativo anche dopo la separazione. Tutti i minori consideravano entrambe e allo stesso modo loro madri, tanto che il primogenito continuava a vivere con la madre intenzionale, che si alternava invece nel collocamento degli altri figli con la madre biologica.

L’Autorità minorile, pertanto, accoglieva il ricorso della donna ritenendo che la continuità dei rapporti rispondesse al supremo interesse dei minori, e pronunciava l’adozione da parte della madre intenzionale.

Trovate l’approfondimento a cura dell’Avv. Angela Brancati sul nostro blog!
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Il collocamento alternato paritario (50/50) è una soluzione educativa di limitata applicazione perché per il buon esito dello stesso è fondamentale l’accordo tra i genitori e di tutti i soggetti coinvolti, figlio compreso.

Nel caso di oggi il Tribunale di Bari, in fase di adozione dei provvedimenti
provvisori ed urgenti ex art. 473-bis.22 c.p.c, ha rigettato la richiesta di
una madre di “collocamento alternato paritario” confermando il padre genitore prevalente per il collocamento del ragazzo con relativa assegnazione della casa familiare.

La donna infatti si era allontanata da casa lasciando il figlio con il padre da oltre 9 mesi, all’esito di un intervento dei Carabinieri chiamati dalla donna che riferiva di aver commesso un omicidio.

A causa delle condizioni di fragilità psichica della moglie - a
causa dei quali era stata ricoverata in passato non remoto, e che necessitava di cura farmacologica - l’uomo si era opposto al collocamento alternato ritenendo che, ove disposto, avrebbe determinato nel minore ”uno stato di
palese confusione e lo porrebbe a rischio di condotte inconsulte della
madre”.

In accoglimento della posizione paterna, ritenendo non trascurabile la fragilità emotiva materna, il Tribunale disponeva l’affidamento condiviso del ragazzo, il collocamento dal padre e visite madre/figlio alla presenza costante di almeno uno dei genitori della moglie.

Inoltre, vista l’impossibilità per la donna di svolgere attività lavorativa proprio per questa sua condizione, prevedeva a sua favore un contributo al suo mantenimento a carico del marito al quale poneva l’integrale onere ordinario e straordinario del figlio collocato.
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È stata una giornata incredibile, trascorsa tra congratulazioni e interviste.
L’articolo uscito questa mattina sul Corriere della Sera ha suscitato molto interesse e diviso gli animi.
@alicedl8 ed io siamo molto onorate di tutto questo perché il provvedimento ottenuto a Siena è il frutto di tanto studio, impegno e tanta passione.
Inutile nasconderlo… siamo felici per il risultato ottenuto ma siamo soprattutto soddisfatte per aver portato all’attenzione la necessità di intervenire sulla legge n. 40 che dal 2004 disciplina la PMA, in riferimento al consenso prestato in origine.
Si parla tanto di maternità consapevole, ma senza anche una paternità consapevole e voluta, rischiamo solo scatenare un conflitto genitoriale prima ancora della venuta alla luce della vita.
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Un uomo veniva condannato per maltrattamenti ai danni della moglie, aggravato dalla presenza del figlio minorenne, per condotte dal 2013 al 6 agosto 2020 e per il lesioni aggravate. La Corte d’Appello riteneva interrotta la condotta nel febbraio 2019 (per la separazione) ed applicava la sanzione meno grave prevista antecedentemente alla Legge n. 69 del 2019 (codice rosso). A seguito del ricorso da parte del Procuratore Generale, la Suprema Corte cassa con rinvio.
 
La Cassazione  precisa che il reato di maltrattamento in famiglia è di durata
(nel senso che si sviluppa nel tempo) e abituale, perché richiede più condotte violente: vi è una serie di atti, anche non delittuosi, riconoscibili solo a posteriori come idonei a perfezionare il fatto tipico
nei suoi elementi costitutivi (realizzazione); quelli ulteriori avranno la funzione di spostare in avanti la sua consumazione, che andrà a coincidere con il compimento dell’ultimo atto della sequenza criminosa (consumazione).
 
Se un nuovo atto, anche non costituente reato, si manifesta a distanza di tempo rispetto alla condotta violenta già realizzata, occorrerà valutare se questo sia riconducibile al “solito” maltrattamento”; inoltre, solo un significativo intervallo temporale può escludere
l’abitualità.
 
Spesso le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche - poste in essere nei confronti del coniuge nell’ambito domestico - proseguono nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare. Anzi si aggravano proprio in conseguenza della scelta della persona offesa di compiere un atto (la separazione) che rappresenta l’affermazione di autonomia e libertà, negate nella relazione di coppia.
 
La separazione non esclude, quindi, la sussistenza del reato di maltrattamenti e il coniuge separato resta “persona della famiglia”.
 
Un applauso alla Cassazione per aver detto a chiare lettere che non sempre la separazione interrompe la violenza domestica.
 
Post scritto da @avvcrespi
Per leggere l’articolo completo, un click su link in bio e poi su Blog.
 
#maltrattamenti #avvocato #cassazione
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I “grandi” minori scelgono con quale genitore vivere - anche se questo vuol dire separarsi dagli altri fratelli - e quando incontrare l’altro genitore senza bisogno di un calendario di visita.

Lo ha chiarito il Tribunale scaligero al termine di una lunga crisi coniugale confermando l’affido condiviso dei minori, nonostante i tre figli della coppia avessero scelto di dividersi tra i due genitori.

In sede di separazione, i minori erano stati collocati dal padre al quale era stato anche riconosciuto l’affido esclusivo mentre alla madre era stato riconosciuto un diritto di visita piuttosto limitato.

In sede di divorzio, però, uno dei figli fuggiva dalla casa del padre trasferendosi dalla madre. Di fronte al rifiuto a tornare dal padre e dai fratelli, il ragazzo veniva sentito dal Giudice e spiegava che la sua decisione era dovuta alle difficoltà che intercorrevano nel rapporto che lo legava al padre.

Il Giudice disponeva la CTU che rilevava numerose criticità nei figli esposti per anni alla conflittualità dei genitori ma confermava che il minore fuggito dalla casa del padre sembrava aver trovato nella madre quell`accudimento e quell`attenzione esclusiva, quasi da figlio unico, di cui evidentemente aveva estremamente bisogno.

In accoglimento delle conclusioni del CTU, con sentenza n. 1144/2024, il Tribunale di Verona decideva l’affido condiviso ad entrambi i genitori e, in ragione dell’età dei tre figli, il collocamento dei ragazzi dal genitore rispettivamente “scelto” pur se questo comportava la divisione della fratria.

Con riguardo al diritto-dovere di visita, invece, il Tribunale disponeva visite libere tra i figli ed i genitori, così da garantire il più possibile la contemporanea presenza dei tre fratelli presso ciascuno dei genitori, al fine di assicurarsi una stabile alleanza fraterna.

In punto mantenimento, il Tribunale riteneva equo prevedere che ogni genitore fosse chiamato a contribuire al mantenimento diretto dei figli collocati preso di sè.

E voi separereste mai i vostri figli?

Sentenza commentata da @giorgiabelluschi
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➡️ Negata l’autorizzazione al trasferimento di figli minori in una località distante parecchi chilometri (850 Km) da quella di residenza ove vive l’altro genitore, perché questo lede il diritto alla bigenitorialità. (Ordinanza Cassazione n. 12282/2024 del 7 maggio 2024)

➡️Il caso: la madre di tre minori chiedeva al Tribunale di Napoli l’autorizzazione a trasferirsi con i figli da Napoli a Pordenone per motivi di lavoro. Il Tribunale di Napoli, disponeva l’audizione dei minori e  autorizzava il trasferimento al Nord.

➡️Il padre dei minori proponeva reclamo, ma la Corte d’Appello lo rigettava.

➡️Il padre allora ricorreva per Cassazione lamentando che il Giudice di merito non aveva tenuto conto degli elementi espressi dallo stesso per opporsi al trasferimento dei figli e non aveva adeguatamente motivato la decisione limitandosi a chiarire di essere pervenuto alla decisione tenendo in considerazione le volontà espresse dai minori, favorevoli al trasferimento.

➡️ Gli Ermellini ritengono il ricorso del padre fondato in quanto il trasferimento dei tre figli in una località molto lontana da quella di residenza del padre non potrà che essere di ostacolo alla frequentazione del genitore con i figli nonostante allo stesso sia stata riconosciuta la facoltà di vedere e tenere con sé i minori “quando desidera”.

➡️La Corte di merito non ha valutato la distanza tra le due città di oltre 850Km - che non consente frequentazioni giornaliere - e non ha tenuto conto del fatto che i figli frequentando la scuola, corsi sportivi, palestra, etc., non possono certo assentarsi troppo tempo dalla città di residenza, quantomeno nel lungo periodo scolastico, senza individuare idonee compensazioni.

➡️ Alla luce di quanto sopra il ricorso è stato accolto, il provvedimento è stato cassato e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli che dovrà decidere nuovamente.
E tu che ne pensi?

🔗 Vuoi leggere l’approfondimento dell’Avv. Maria Zaccara?  un click sul link in bio ed uno su Blog.
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Una donna veniva accusata di stalking per essersi recata frequentemente e senza preavviso presso lo studio legale della ex suocera,  urlando in presenza dei clienti, minacciando di farle chiudere l’attività, così determinando nella vittima un perdurante stato di ansia e di agitazione e cambiamento delle abitudini di vita.
 
La donna veniva prima condannata dal Tribunale e poi assolta dalla Corte d’Appello che riconosceva gli atti persecutori, ma li “giustificava” con la scriminante dell’esercizio di un diritto. Ed infatti riteneva che la donna avesse agito al solo fine di esercitare i suoi diritti (e doveri) di madre, ostacolati dall’ex suocera presso la cui abitazione era stato collocato il figlio.
 
L’assoluzione veniva impugnata dal Procuratore Generale, che contestava l’esclusione della sussistenza del reato di stalking (viste le numerose minacce e molestie) e il riconoscimento della scriminante dell’esercizio del diritto.
 
La Cassazione conferma l’assoluzione: in tutte le occasioni in cui l’imputata aveva minacciato e molestato la ex suocera voleva vedere e portare con sé il figlio per qualche tempo, oltretutto nei giorni in cui il Tribunale civile aveva previsto che lei potesse fargli visita (Cass. sent. n. 19550/24).
 
Questo era un suo diritto e non era garantito dal padre del bambino e dalla suocera, che creavano un clima di conflittualità: essi erano ostili e ridicolizzavano la donna al fine di squalificarla come madre.
 
Per gli Ermellini la Corte d’Appello ha giustamente escluso che le condotte dell’imputata in confronti della suocera avessero un contenuto persecutorio e le ha interpretate come rivendicazioni del proprio diritto a vedere il figlio e di tenerlo con sé: se la donna avesse visto il figlio nell’abitazione in cui si trovava, non avrebbe avuto motivo di recarsi presso lo studio della ex suocera.
 
Quindi la Cassazione ha “giustificato” la donna. E voi, la giustificate?
 
Post scritto da @avvcrespi

#stalking #madre #padre #figli
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In caso di affido del minore in via condivisa tra i genitori, le scelte di maggior importanza devono essere assunte da entrambi di comune accordo.

La scelta della residenza è una di quelle decisioni da prendere insieme: e se si è in disaccordo?
Se il genitore collocatario vuole trasferirsi col minore altrove per rifarsi una vita?
Motivazioni di tipo personale (nuova convivenza o secondo matrimonio) o lavorativo (reperimento di nuova attività lavorativa migliorativa) sono sufficienti per giustificare la richiesta di mutamento della residenza del minore ?

Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1710 pubblicata il 29 maggio 2024, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e ha anche autorizzato il trasferimento di una minore con la madre dalla Toscana alla Svizzera italiana. All’esito di una CTU disposta perché la madre aveva chiesto l’affidamento super-esclusivo e la riduzione delle visite paterne riferendo il di lui comportamento molto conflittuale, il Tribunale confermava comunque l’affidamento condiviso ma, privilegiando la necessità di mantenere fermo il collocamento prevalente della bambina presso la madre anche in caso di trasferimento di quest’ultima, autorizzava la donna a trasferirsi a Lungano.
A seguito della separazione, infatti, la donna aveva intrapreso una nuova relazione con un uomo in Svizzera e concretizzatosi un progetto di vita insieme aveva anche trovato lavoro a Lugano.
Se il Giudice aveva nel corso del procedimento negato tale trasferimento, con sentenza il Collegio lo autorizzava ma regolamentava un ampio diritto di visita paterno a garanzia della continuità del legame con l’altro genitore e la famiglia paterna.
Trovate l`approfondimento dell`Avv. Alice di Lallo sul blog.
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Non possono essere tutelati i poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede: potranno essere quindi essere impediti i vantaggi ottenuti!

Nel caso di specie la casa familiare sarà comunque assegnata alla moglie che l’abiterà sino all’indipendenza economica del figlio.

Ma iniziamo.. dall’inizio! Un marito appurata l’intenzione della moglie di procedere con la separazione, si “organizzava” per limitare i danni! Sperando di evitare l’assegnazione alla moglie della casa familiare, la alienava al proprio padre e, subito dopo, il padre stipulava a suo favore un contratto di comodato della durata di sei mesi.

Senza mai rivelare alla moglie tali “magheggi”, l’uomo raggiungeva un accordo di separazione ed, in seguito, di divorzio , prevedendo l’assegnazione dell’immobile alla moglie, in quanto collocataria del figlio.

Dopo il divorzio però il nonno paterno rivendicava la proprietà dell’immobile assegnato e ne richiedeva alla ex nuora il rilascio per scadenza del contratto di comodato.

Si opponeva al rilascio la donna, rilevando in giudizio il comportamento illecito dell’ex marito - che nulla le aveva detto - e la palese natura elusiva delle operazioni poste in essere mediante il contratto di compravendita e quello successivo di comodato, attuate con lo scopo di avere la garanzia del godimento dell’immobile.

Arrivata la questione fino in Cassazione, gli Ermellini qualificavano il comportamento dell’uomo attuato in violazione della buona fede come “un abuso del diritto” che si configura quando ci si avvale di una o più azioni astrattamente lecite, per perseguire un obiettivo ingiusto!

Ne consegue che - ferma la validità del contratto di compravendita e quello di comodato - la casa familiare rimaneva comunque assegnata alla donna e veniva chiarito il di lei diritto a rimanervi sino al venir meno delle esigenze familiari.

E voi cosa ne pensate della “furbata” del maritino?

Avv Maria Grazia Di Nella
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L’assegnazione della casa familiare comprende anche i mobili che la arredano? E se il figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente studia fuori sede, c’è il rischio che venga revocata l’assegnazione?
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16691/2024 pubblicata il 17 giugno 2024.
Nel caso di specie, con sentenza di divorzio, il Tribunale di Trieste riconosceva la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile alla moglie, quantificato in € 1.200,00, e condannava il padre a contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni ma non economicamente autosufficiente nella misura di € 2.000,00 per la figlia e di € 1.700,00 per il figlio.
L’uomo impugnava la decisione e la Corte di Appello revocava tutto quanto stabilito in primo grado: il figlio veniva ritenuto economicamente autosufficiente; la donna veniva riconosciuta titolare di “redditi adeguati” al proprio sostentamento e quindi non legittimata a vedersi riconosciuto l’assegno divorzile; veniva revocata l’assegnazione della casa familiare e definita “legislativamente non prevista” l’assegnazione degli arredi.
La Corte di Cassazione, adita dalla donna, accoglieva invece tutti i motivi di impugnazione e con particolare riferimento alla casa familiare confermava che l’assegnazione della casa familiare si estende anche ai mobili e agli arredi poiché i figli – minori o maggiorenni non autosufficienti – hanno diritto a conservare l’habitat familiare in cui sono cresciuti composto delle mura, degli arredi, dei comfort e dei servizi che durante la convivenza hanno caratterizzato lo standard di vita familiare. Infine, la Suprema Corte ha anche ribadito che il collegamento stabile con l’abitazione del genitore non viene meno per assenze giustificate dal percorso formativo purché i figli vi facciano ritorno periodicamente e sia accertato che la casa familiare sia il luogo in cui è conservato l’habitat familiare.

Voi cosa ne pensate?
Approfondisce la pronuncia sul nostro blog la Dott.ssa Elisa Cazzaniga
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