“Se non accetta di vedere le figlie alle nostre condizioni, andiamo in giudiziale! Vedi queste foto? Le depositerò in giudizio e vedremo se il giudice le farà vedere le bambine ”
Mi sembra di sentirle queste tremende parole! È andata più o meno così..
👉Dopo diversi anni di matrimonio, una coppia piemontese con due figlie entra in crisi e incomincia a parlare di separazione. Le trattative proseguono, la coppia arrivava ad un accordo: mantenimento per la moglie, affido condiviso delle due bambine con collocamento dal padre e ampio calendario di visita alla madre.
Qualche giorno prima dell’udienza, però, una delle figlie trova sul cellulare della madre delle foto a sfondo sessuale, ne rimane scioccata e le condivide con il padre.
Pochi minuti prima dell`udienza, il legale del marito mostra al legale della moglie le fotografie che raffiguravano la donna nuda e lo “invita” a parlare con la cliente e modificare l’accordo raggiunto in punto visite madre-figlie.
👉Ferme le condizioni economiche, la donna avrebbe visto le figlie "solo se e quando le figlie manifesteranno il desiderio e la volontà di restare con la madre e ogni altra volta in cui lo vorranno". In caso contrario, tutto l’accordo sarebbe saltato e sarebbero andati in giudiziale.
La donna spaventata firma l’accordo. Successivamente decide di sporgere querela contro il marito.
👉La Cassazione non ha dubbi: l’uomo non ha agito in adempimento di un dovere genitoriale di tutelare l’interesse delle figlie minori a non frequentare la madre, che lui assume aver tenuto comportamenti inadeguati, ma è responsabile penalmente perché con la minaccia di esibire e diffondere fotografie compromettenti, la donna ha subito una compressione della propria libertà di scelta e dei rapporti con le figlie, esposte a prevedibili condizionamenti nell`esprimere la propria volontà di frequentarla o meno.
👉La condotta dell’uomo è stata posta in essere con il fine di ostacolare i contatti delle figlie con la madre, approfittando della vicinanza delle figlie per fare opera di denigrazione della ex moglie.
La parola passa di nuovo alla Corte d’Appello di Torino che dovrà valutare se la condotta dell’uomo integra violenza privata.
E’ sufficiente il consenso trasmesso via messaggio per essere obbligati alla compartecipazione alla spesa straordinaria.
👉Lo conferma il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 522, sezione Prima Civile - 8 febbraio 2025 adito da un padre, collocatario prevalente del figlio, che chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo contro la ex coniuge per una serie di spese straordinarie dal medesimo anticipate interamente e mai rimborsate.
👉La donna si era opposta ritenendo di non aver mai dato il consenso a tali spese che, pertanto, era corretto che fosse solo l’altro genitore a sostenerle per l’intero.
👉Ma di che spese si trattava? Il Tribunale di Napoli adito analizzava le spese: iscrizione e retta dell’asilo privato; terapie private urgenti e prescritte; attività sportive ed extrascolastiche.
👉Per quanto riguarda l’asilo, le spese erano urgenti e necessarie tanto che quando era stato emesso il provvedimento che prevedeva la compartecipazione di tale spesa, la madre aveva già inoltrato la domanda di iscrizione. Conseguentemente, tali spese erano prevedibili e quindi anche per il futuro si deve ritenere confermato il consenso della donna. Per le spese mediche anche queste erano caratterizzate da necessità ed urgenza per cui la madre era tenuta al rimborso.
👉Con riferimento, infine, alle ulteriori spese (vaccinazioni e attività extra), il rimborso di tale spese era da ricondurre al fatto che la donna aveva manifestato il proprio consenso all’ex marito attraverso un messaggio sul cellulare.
Secondo il Tribunale, anche tale modalità è sufficiente a manifestare il proprio consenso all’esborso e, quindi, il proprio obbligo al rimborso della propria quota parte.
Molto difficile proteggere i figli in una separazione conflittuale. Al nostro sondaggio vi siete divisi a metà: c’è chi è riuscito a proteggere i figli dai problemi della coppia e chi per mille ragioni non ci è invece riuscito con tutte le conseguenze dolorose per i ragazzi.
Alcuni messaggi in DM sono arrivati anche dai nonni, preoccupati per le ricadute sui nipoti dei comportamenti disfunzionali dei genitori
Pensiamo al caso dei Ferragnez, l’eco mediatico sicuramente non aiuta.
In situazioni così delicate, il Tribunale potrebbe intervenire per valutare l’idoneità genitoriale? Ma ancora. Le dinamiche di una coppia sotto i riflettori sono davvero diverse da quelle di una famiglia comune? 🤔
Ne ho parlato nell’ultimo numero di F.
💬 Leggete l’intervista e diteci la vostra nei commenti!
#Ferragnez #ChiaraFerragni #Fedez #Relazioni #Famiglia #Avvdinella
La giovane moglie non ha diritto al mantenimento se rifiuta senza un valido motivo un lavoro e non prova di essersi attivata per cercarne un altro.
Irrilevante la disparità di reddito tra i coniugi se in via preliminare chi chiede il mantenimento non prova di aver cercato lavoro in modo adeguato: non basta l’invio di un CV!
È quanto affermato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 3354 del 10 gennaio 2025 che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una giovane donna che si era visto revocare l’assegno di mantenimento da parte della Corte d’Appello di Reggio Calabria perché la stessa si era limitata ad inviare il suo CV ad un Istituto bancario ed aveva rifiutato un’attività lavorativa propostale dal marito senza alcuna oggettiva ragione.
Gli Ermellini, infatti, ribadiscono come in tema di separazione personale dei coniugi, la capacità lavorativa è un elemento che deve essere valutato ai fini della determinazione della misura dell`assegno di mantenimento al pari della attivata ricerca di un lavoro confacente alle proprie attitudini professionali.
Il riconoscimento dell`assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri è espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale ma non esclude il dovere di ciascun coniuge di procurarsi un’attività lavorativa secondo il canone dell`ordinaria diligenza.
Nel caso giunto in Cassazione la donna , dopo 4 anni di matrimonio, depositava istanza di separazione con richiesta di mantenimento riferendo di essere disoccupata e di essere sempre stata mantenuta dal marito.
Il Tribunale di Palmi aveva liquidato un contributo al mantenimento alla donna ma la Corte d’Appello lo aveva revocato rilevando che la giovane donna aveva rifiutato un`offerta di lavoro e che non aveva mai fornito le ragioni di tale rifiuto, né provato di aver ricercato con impegno un`occupazione, limitandosi a riferire di avere inviato un CV in banca e di avere difficoltà a trovare un lavoro perché priva di autovettura.
Arrivata la vertenza in Cassazione, il ricorso della donna veniva dichiarato inammissibile e la donna condannata alle spese di lite.
Attenzione a ciò che scrivete nelle chat! Può essere usato contro di voi.
Con una recentissima ordinanza la Cassazione chiarisce che i messaggi "whatsapp" e gli "sms" conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica.
Ne consegue la piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una "chat" di "whatsapp" mediante copia dei relativi "screenshot", tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità di tali messaggio.
I messaggi whatsapp costituiscono un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privi di firma, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.
A seguito di ciò, il fidanzato che aveva commissionato al futuro suocero la fornitura di serramenti per il prezzo di €28.0000,00 accettato via whatsapp non ha modo per sfuggire a tale pagamento!
La Corte d’Appello di Milano riforma la decisione del Tribunale di Pavia che non aveva ritenuto provato il debito del fidanzato e lo condanna al versamento chiarendo la validità della produzione documentale del padre della fidanzata.
Fidanzamento o meno.. la fornitura di serramenti va pagata se il prezzo è stato accettato via whatsapp!
Una sentenza importantissima della Suprema Corte amplia la nozione di maltrattamento, includendo le condotte che limitano l’autonomia economica del coniuge (n. 1268/25).
Negare opportunità lavorative, impedire l’indipendenza economica, controllare le risorse o imporre decisioni unilaterali e non condivise rappresentano atti di violenza economica.
Molte sono state le condotte rivolte a ostacolare l’emancipazione della donna dal punto di vista economico nel caso analizzato dalla Cassazione: l’imputato ha negato di intraprendere percorsi formativi e di trovare un’occupazione lavorativa alla moglie, sostenendo che fosse meglio che rimanesse in casa con i figli, salvo utilizzarla a pieno regime come contabile nella sua azienda, senza versarle lo stipendio, né corrisponderle utili. Quando aveva trovato un’occupazione nel settore turistico, l’imputato non le aveva consentito di svolgerla, seguendola, chiamandola incessantemente, intimandole di tornare a casa davanti ai colleghi e ai clienti, in tal modo umiliandola.
Secondo la Cassazione queste condotte, quando creano uno stato di prostrazione psicofisica e ledono la dignità della persona, sono equiparabili alla violenza fisica e psicologica.
Non si trattava certamente di mere liti familiari: le condotte maltrattanti erano molto gravi, spesso originate dal desiderio della persona offesa di lavorare o comunque dalla trasgressione ai divieti da lui imposti, con conseguente e costante paura sia dei figli, che della donna.
Questa sentenza è fondamentale perché costituisce un altro tassello contro la violenza domestica.
Un 👏 alla Cassazione!
Post scritto da @avvcrespi
Se volete approfondire, leggete l’articolo completo, facendo un click su bio e poi su blog penale!
#violenzaeconomica #violenzadomestica #cassazione
Non sempre una coppia arriva alla decisione di separarsi, nello stesso momento.
Accade, infatti, che la maturazione di questa decisione ha tempi diversi per mille motivi: perché uno dei due ci crede ancora, vuole darsi ancora un’ultima occasione, vuole evitare ai figli questo dolore, o semplicemente perché.. è talmente arrabbiat* che non vuole dargliela vinta.
Ed è qui che inizia un periodo di “tira e molla” e la classica minaccia:“… fai quello che vuoi tanto la separazione non te la darò mai!”Ma.. Separarsi e divorziare è un diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell`altro, in attuazione del diritto individuale di libertà sancito all’art. 2 Cost.!
Per saperne di più e non fare sciocchezze minacce… leggi il carosello!
➡ Con la sentenza n. 1879/2025 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna che chiedeva la restituzione di una somma di denaro che la stessa concedeva in prestito all`ex. Per i giudici la richiedente non aveva diritto a vedersi restituito il denaro perché in occasione della dazione l`ex aveva anni prima sottoscritto una mera dichiarazione con la quale dava atto che la donna gli aveva dato parte dei di lei risparmi, senza però specificare che lo stesso si obbligasse alla restituzione né in futuro né a determinate condizioni.
➡ Nel 2004, l’uomo dichiarava di aver ricevuto dall’allora compagna l’importo di €55.000,00 per il completamento di opere di ristrutturazione ed acquisto dell’arredamento dell’immobile in cui viveva lo stesso, ed € 33.000,00 per l’acquisto di una mansarda.
➡ Cessata la convivenza, la donna depositava ricorso per decreto ingiuntivo allegando quale prova del credito la scrittura privata. Se il Tribunale di Savona riteneva la richiesta fondata e condannava l’uomo, il giudice di seconde cure accoglieva l’impugnazione di questi. La Corte d’Appello di Genova riteneva che la dichiarazione dell’ex compagno recava solo il riconoscimento "di due fatti", senza contenere alcuna volontà restitutoria né obbligo a suo carico.
➡ Avverso la sentenza proponeva ricorso per Cassazione: la ex moglie denunciava che la Corte genovese avesse errato nel non ritenere la scrittura privata quale di atto di ricognizione del debito sulla base della mera assenza di una esplicita dicitura dell`obbligo di restituire le somme.
➡ Ma la Corte di Cassazione era del medesimo avviso della Corte territoriale: la scrittura privata siglata nel febbraio 2004 dall`allora convivente recava solo il riconoscimento di due fatti. L’uomo, infatti, non riconoscendo la sussistenza di un debito dando atto di aver ricevuto solo le somme non si obbligava a restituirle né in futuro né a determinate condizioni. Nessuna diversa interpretazione poteva essere data alla volontà dell’uomo che sottoscriveva la dichiarazione senza intenti restitutori.
L’approfondimento sul nostro blog a cura dell’Avv. Brancati
13enne allontanato dai genitori e collocato in una casa famiglia per decisione del Tribunale per i minorenni di Salerno dopo l’accertamento dell’alta conflittualità tra i genitori e comportamenti problematici del minore, come l’uso smodato del cellulare, cattivi risultati a scuola e aggressività con i pari.
La vicenda prende avvio dalla richiesta del PM presso il Tribunale per i Minorenni di Salerno, che nell’aprile 2022 chiedeva la decadenza dei genitori. Da un monitoraggio dei Servizi Sociali era emerso che i genitori erano in fase di separazione e non riuscivano a gestire nè i loro conflitti nè il figlio.
All’esito dell`audizione dei genitori, il Tribunale sospendeva la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, prevedeva l’affidamento ai servizi sociali e il di lui collocamento in una casa famiglia, con il divieto assoluto di utilizzare dispositivi elettronici.
Anche i contatti con i genitori venivano sospesi e data delega ai Servizi di deciderne le modalità della ripresa all’esito di ulteriori accertamenti.
Contro tale decreto provvisorio entrambi i genitori facevano reclamo ma la Corte d’Appello di Salerno confermava il decreto in tutte le sue parti: il ragazzo doveva essere messo al riparo da genitori che avevano un pessimo rapporto di coppia sfociato anche in alcune denunce per violenza domestica e che forse anche a causa della crisi coniugale non erano riusciti a evitare che il figlio passasse le sue giornate giocando con il telefonino senza curarsi dello studio.
Ma il padre non accettava la decisione e giocava la carta “Cassazione” lamentando anche la tardiva nomina del curatore speciale a tutela del figlio.
Ma la Cassazione non ha dubbi: rigetta il ricorso confermando che, pur in presenza di errori procedurali, non era stato arrecato un concreto pregiudizio al minore.
Infatti, in situazioni di conflitto familiare e inadeguatezza genitoriale, è necessario intervenire prontamente per garantire un ambiente sereno al bambino, evitando inutili ritardi che potrebbero aggravare il disagio del minore. La collocazione in casa famiglia è stata ritenuta una misura adeguata, viste le difficoltà dei genitori di fornire un contesto stabile e protetto.
A seguito della dichiarazione giudiziale di paternità è possibile attribuire il doppio cognome al minore?
Sul punto, la Corte di Cassazione si è espressa con la recente ordinanza
n. 1492/2025 del 21/01/2025 evidenziando il principio secondo cui a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità il giudice deve valutare il cognome da attribuire al minore e, se non lesivo del di lui supremo interesse, può disporre l’annotazione del doppio cognome, comprensivo pertanto sia di quello paterno che di quello materno.
➡️ La vicenda trae origine nel 2021 quando una piccola veniva riconosciuta alla nascita dalla sola madre. Il padre della minore, a fronte del rifiuto materno al di lui riconoscimento, depositava ricorso per la dichiarazione di paternità chiedendo l’attribuzione del proprio cognome in sostituzione di quello materno. Il Tribunale di Castrovillari, accogliendo le domande paterne, dichiarava la di lui paternità e disponeva che la minore acquistasse il cognome paterno sostituendolo a quello materno. La madre proponeva immediatamente appello chiedendo che alla minore venisse attribuito anche il cognome materno. La Corte d’Appello di Catanzaro, riformando la decisione di primo grado, attribuiva alla minore il doppio cognome, aggiungendo quello della madre a seguito di quello paterno.
➡️ Il padre, non soddisfatto della decisione, ricorreva quindi, avanti la Corte di Cassazione. Gli Ermellini però - evidenziando che a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, e che tale decisione relativa all’assunzione del cognome del genitore è demandata interamente al giudice – dichiaravano che il provvedimento di secondo grado era conforme, non solo alla legge, ma anche e soprattutto all’interesse della minore che era stato adeguatamente valutato nel concreto e pertanto rigettavano il ricorso dell’uomo.
🔗 Sul nostro Blog potete leggere l’approfondimento dell`Avv. Cecilia Gaudenzi: un click sul link in bio ed uno su Blog.
❓E poi se volete tornate qui e ditemi: siete d’accordo?
#figli #cognome #doppiocognome
Mai come oggi, il tema centrale della giornata è il pregiudizio che deriva ai figli dalla separazione dei genitori.
Noti eventi di cronaca ci ricordano che, alle volte, l’ego degli adulti ed ilp dolore che gli stessi provano offusca le loro decisioni.
Dai racconti dei ragazzi e delle ragazze che hanno risposto alle domande emerge che molto spesso i genitori proiettano su di loro la conflittualità e, più o meno velatamente, li inducono a schierarsi all’interno del conflitto.
In altri casi, invece, i figli evidenziano che i genitori si sostituiscono a loro anche nella decisione della scuola, dello sport o nelle piccole decisioni quotidiane, limitando così la loro possibilità di scelta e rendendo difficile instaurare un dialogo costruttivo.
Da queste domande, l’insegnamento che sicuramente tutti possiamo trarre è che in qualsiasi fase e da qualsiasi punto di vista l’interesse del minore dovrebbe essere il faro che guida le decisioni.
#avvdinella #genz
Anche un bimbo di tre anni può essere collocato in modo paritetico tra il padre e la madre se vi sono i presupposti per una crescita serena.
Il Giudice della separazione non deve decidere in automatico e stereotipato collocando i piccoli in via prevalente presso la madre sulla base dell’astratto criterio della maternal preference, dando per scontato che il padre non possa occuparsene tanto quanto lei.
Ogni qual volta occorra decidere sulla miglior modalità di affidamento, collocamento e frequentazione dei figli, il giudice deve valutare in concreto qual’è il miglior modo per garantirgli di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.
Nel caso arrivato in Cassazione e deciso con ordinanza n. 1486 del 21/1/2025, la bimba aveva tre anni, era già svezzata, aveva un rapporto di cura quotidiano anche con il padre, i genitori abitavano in due appartamento nel medesimo palazzo ed entrambi lavoravano ma erano in grado di organizzarsi per prendersi cura della piccola.
Vista la vicinanza delle due abitazioni il Tribunale di Padova aveva disposto l’affidamento condiviso della bimba con collocamento paritario con spostamento dall’una casa all’altra alla domenica sera, prima di cena.
Ma la madre riteneva che la bimba di tre anni fosse troppo piccola per vivere su due case e reclamava l’ordinanza e si vedeva accolte le sue richieste.
La Corte d’Appello di Venezia, prevedeva il collocamento prevalente della piccola dalla madre e riduceva la frequentazione del padre ritenendo che trattandosi di una minore di poco più di tre anni, in età prescolare, era richiesto un particolare e maggiore accudimento che solo la madre poteva assicurare.
Al padre non rimaneva che adire la Cassazione dove vedeva accolte le sue rimostranze!
Gli Ermellini chiariscono che non può decidersi in modo automatico (cd. maternal preference) valorizzando unicamente il sesso del genitore in ragione dell’età dei bambini ma occorre tener conto delle caratteristiche del caso concreto e quando possibile deve essere garantito i bambini l’accesso paritetico ad entrambi i genitori.
L’amministratore di condominio non ha diritto di riscuotere le rate delle spese condominiali rimaste insolute, direttamente nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell`unità immobiliare adibita a casa familiare.
Obbligato per i contributi per la manutenzione e per l`esercizio delle parti e dei servizi comuni della casa familiare rimane il proprietario dell’abitazione anche se la stessa è assegnata all’ex coniuge o convivente perché collocatari della prole.
Lo ha ribadito il Tribunale di Roma con la sentenza del 3 settembre 2024 n.13632 che ha richiamato la tesi della Cassazione n. 16614 del 23.5.22 oggi maggioritaria che ha chiarito come l’amministratore di condominio ha diritto riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell`interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, e cioè da coloro che sono titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari.
È esclusa un`azione diretta nei confronti di coloro che vi abitano in forza di un contratto di locazione (contro i quali il proprietario potrà risolvere il contratto, ove si tratti di oneri posti a carico del conduttore sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente) ma anche nei confronti dell’ex coniuge o convivente assegnatario della casa familiare.
Ne consegue che se il coniuge assegnatario non paga direttamente al condominio le spese ordinarie, il proprietario dovrà anticiparle e poi agire in regresso per recuperare tali spese dall’ex assegnatario dell’abitazione familiare.
L’assegnazione della casa familiare esonera, l’assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il godimento dell’abitazione di proprietà dell’altro, ma non si estende alle spese correlate all’uso (tra cui, appunto, i contributi condominiali), spese che, – in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio, che ne accolli l’onere al coniuge proprietario – vanno a carico del coniuge assegnatario.
In caso di continuo ritardo nel pagamento, il coniuge proprietario potrà richiedere la riduzione del contributo al mantenimento dei figli/coniuge ed il pagamento diretto delle spese condominiali.
Eccolo! Il diritto a percepire l’assegno di mantenimento per il coniuge e/o per i figli si estingue in cinque anni, a decorrere dalle singole scadenze delle prestazioni dovute.
Titolo per pretendere il versamento del mantenimento è anche il provvedimento provvisorio ed urgente emesso dal Tribunale nel corso di un procedimento di separazione giudiziale anche se poi il procedimento di separazione è stato abbandonato.
Dopo anni di mancato versamento del mantenimento di €250,00 mensili da parte dell’ex, nel marzo 2021 una moglie decideva di procedere con un precetto per oltre 33.000,00.
Si costituiva il marito eccependo la nullità dell`atto di precetto intimato per inesistenza del credito e comunque per intervenuta prescrizione della pretesa della donna.
Il marito, infatti, in via principale lamentava che a seguito del provvedimento provvisorio del marzo 2010 di comune accordo il procedimento di separazione era stato abbandonato perché tra le parti era stato raggiunto un accordo e quindi il provvedimento aveva perso efficacia.
In via subordinata eccepiva la prescrizione del diritto al mantenimento perché il provvedimento era del 2010!
Il Tribunale invece confermava che il venir meno del provvedimento contenzioso non era causa di annullamento del provvedimento provvisorio e urgente poiché- in mancanza di documentazione che attestasse un accordo differente o una rinuncia al mantenimento da parte della donna - solo la riconciliazione della coppia avrebbe fatto venir meno la forza esecutiva del provvedimento.
Posto però che il diritto a pretendere le mensilità del mantenimento si prescrive in cinque anni dalla singola scadenza mensile, il precetto della donna era parzialmente inefficace per la parte ormai prescritta (sino al marzo 2016) ma l’eccessività della somma portata in precetto, non travolgeva il precetto per l’intero ma ne determinava la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente.
Il marito dovrà versare il mancato versamento del mantenimento dal marzo 2016 a marzo 2021 oltre interessi di legge.
Con un’importante sentenza la Cassazione spiega tutti i presupposti del reato di adescamento di minori (n. 40317/24).
Questo delitto punisce chiunque, allo scopo di commettere reati se$$uali, adeschi un minore di anni sedici, se il fatto non costituisce più grave reato.
Quindi
- l’adescamento è configurabile solo se non siano ancora integrati gli estremi del tentativo (o del reato consumato) dei reati fine (vi0lenza se$$uale o ped0p0rn0gr@fi@)
- per adescamento deve intendersi qualsiasi “atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe e minacce, posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”
- è richiesto il dolo specifico: le condotte devono essere finalizzate alla commissione dei reati fine. Va provato con parametri oggettivi e circostanze specifiche, per poter dedurre il movente sessuale della condotta
- è un reato di pericolo concreto, volto a neutralizzare il rischio della commissione di reati in materia se$suale, lesivi del corretto sviluppo psicofisico del minore e della sua libertà di autodeterminazione.
Secondo la Cassazione i Giudici di merito hanno ben argomentato il dolo specifico usando elementi oggettivi, come il rapporto instaurato e portato avanti per lungo tempo tra il minore e l’imputato, i quali si vedevano e si fermavano a chiacchierare, rapporto mantenuto all’insaputa della madre e contro la sua volontà; l’aver detto al minore, a cui faceva piccoli regali, di non dire nulla; l’aver accompagnato con assiduità a scuola il minore e l’aver atteso che questi terminasse le lezioni per riaccompagnarlo a casa; l’imputato era stato trovato in possesso di numerosi file ped0p0rn0grafici ed era stato condannato per reati in materia se$$uale contro minori.
Secondo voi cosa si può fare per prevenire questo orrendo reato?
Post scritto da @avvcrespi
#minore #reati #violenza
Sino all’autorizzazione a vivere separati pronunciata dal Giudice della separazione in prima udienza, il marito estromesso dall’abitazione ha diritto a riavere copia delle nuove chiavi di casa.
Lo ha chiarito il Tribunale di Palmi con la decisione del 27 dicembre 2024, pronunciata nell’ambito di un procedimento di reintegra nel possesso della casa familiare.
Nel caso di specie, il marito dopo mesi di discussioni si allontanava da casa nel mese di dicembre 2023, ma continuava ad accedere liberamente alla casa familiare per accudire i figli e portare la spesa.
Dopo mesi nei quali rifiutava di restituire alla moglie le chiavi di casa, nel mese di ottobre 2024, scopriva che era stata cambiata la serratura dell’abitazione, impedendogli così in modo clandestino e violento di potevi accedere.
L’uomo allora chiedeva di essere reintegrato nel possesso dell’abitazione ma la moglie si costituiva in giudizio lamentando condotte violente del marito, che erano anche state piu volte denunciate e che l’uomo da mesi abitava con la sua amante pretendendo di entrare nella casa familiare a suo piacimento.
Il Tribunale di Palmi, ciononostante, accoglieva il ricorso dell’uomo e condannava la donna alla consegna delle nuovi chiavi di casa poiché il coniuge, finché non vi è la pronuncia del Tribunale in sede di separazione che autorizza a vivere separati, è detentore qualificato della casa familiare proprio in ragione del matrimonio e del dovere di coabitazione, che cessa solo dopo la pronuncia del Giudice.
E voi? Siete d’accordo con questa pronuncia?
Fateci sapere cosa ne pensate nei commenti dopo aver letto l’articolo della Dott.ssa Elisa Cazzaniga sul nostro blog.
Le convivenze - diffuso fenomeno sociale - sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell`altro.
Tali doveri possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso.
Tali atti di contribuzione hanno natura di adempimento di un`obbligazione naturale ai sensi dell’art. 2034 c.c., sempre che le dazioni in denaro abbiano i requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza.
Questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nell’ordinanza n. 28 del 3.1.2025.
In particolare, un fratello unilaterale conveniva in giudizio il fratello maggiore (figlio dello stesso padre ma di madre diversa), chiedendo il rimborso delle spese sostenute dalla propria madre per il mantenimento del loro comune padre, dopo la fine della convivenza tra i genitori. Secondo l’attore, la propria madre aveva contribuito economicamente al sostentamento e alle necessità di assistenza del padre, consentendogli anche l’uso della propria casa di campagna.
L`attore chiedeva inoltre che fosse accertato l’obbligo di entrambi i figli di contribuire al mantenimento del genitore per il periodo successivo alla morte della donna.
Il Tribunale di Milano riconosceva l’obbligo del fratello maggiore di contribuire al 50% alle spese di ricovero del padre respingeva la domanda di rimborso delle somme spese dalla madre.
La donna aveva agito adempiendo a un obbligo morale nei confronti dell’ex convivente, senza possibilità di configurare un diritto alla restituzione.
Le Unioni di fatto, riconosciute dall’art. 2 della Costituzione, costituiscono una forma di famiglia tutelata, caratterizzata da doveri morali e sociali tra i conviventi che permangono anche dopo la fine del rapporto.
Pertanto, secondo la Corte, i contributi economici prestati dalla donna non erano ripetibili perché adempimento di un obbligo morale e sociale.
Anche se interviene la separazione, lui non può chiedere il rimborso delle spese sostenute per i bisogni della famiglia durante la convivenza matrimoniale a meno che non ci fosse un accordo ben preciso su come dividere le varie spese e lei - ad un certo punto - sia venuta meno a tale accordo!
Con l’ordinanza n. 29880 del 20.11.2025 la Corte di Cassazione ribadisce che non è legittimo richiedere all’altro coniuge il rimborso di metà di quanto speso negli anni per la famiglia solo perché la famiglia è venuta meno!
Nel caso oggi in commento un marito accusava la moglie di non aver contribuito in costanza di matrimonio alle spese del nucleo composto da tre figli, e le chiedeva la restituzione di €80.000,00.
In realtà la moglie aveva sempre lavorato e aveva versato il suo stipendio sul conto cointestato con il marito dal quale venivano affrontate tutte le spese.
Appurato quanto sopra, sia il Tribunale sia la Corte d’Appello di Palermo sia la Cassazione respingevano la domanda dell’uomo ribadendo che:
- in costanza di matrimonio, operano tra i coniugi una serie di obblighi reciproci e nei confronti dei figli, tra cui il dovere di contribuire ai bisogni materiali e spirituali del nucleo con i mezzi derivanti dalle capacità e dalle sostanze di ognuno di essi;
- i coniugi contribuiscono ai bisogni della famiglia non solo con i redditi rispettivi dei coniugi "ma anche di ogni altra risorsa economica e personale dei due obbligati e delle rispettive capacità lavorative professionali o domestico-casalinghe";
-se si afferma di contribuire in via esclusiva al mantenimento della famiglia, occorre dare prova del fatto che l’altro non ha mai contribuito al ménage familiare, non solo in riferimento all`impiego di denaro proprio, ma anche attraverso la propria attività domestica e di cura dei familiari conviventi.
- non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell`altro per le spese sostenute in modo indifferenziato, salvo diverso accordo contrattuale tra le stesse.
L’uomo dovrà farsene una ragione! Nessun diritto al rimborso
Avv Maria Grazia Di Nella
Il nuovo anno è iniziato e anche noi abbiamo fatto la lista dei buoni proposti per i prossimi mesi.
Questa volta non vi parleremo di ciò che faremo, dei progetti lavorativi futuri.. su questo abbiamo deciso di lasciarvi la sorpresa!
Ci siamo concentrate sulla visione di noi e del nostro modo di lavorare, facendo memoria di ciò che abbiamo imparato dallo scorso anno.
Eccoli nel carosello! 👆
E voi? Quali sono i vostri focus per il nuovo anno?
Forza!!! Si riparte!
👉Con una delle prime sentenze pubblicate nel 2025 la n. 35 la Corte di Cassazione conferma il diritto al mantenimento del figlio 24enne che turbato dai maltrattamenti del padre ai danni della madre, aveva sviluppato depressione, disturbo post traumatico da stress e insonnia reattiva e per tale motivo non riusciva trovare un lavoro.
👉In sede di separazione il Tribunale di Sassari aveva riconosciuto al figlio appena 19enne un mantenimento da parte del padre pari ad €250,00.
👉Decorsi i termini, la madre chiedeva il divorzio e conferma del contributo al mantenimento da parte del padre nei confronti del figlio e dell’assegnazione della casa familiare, evidenziando come lo stato di salute del ragazzo non fosse nel frattempo mutato.
👉Il Tribunale di Sassari revocava il mantenimento al ragazzo 21enne ma la Corte d’Appello di Cagliari lo riconfermava sempre nell’importo mensile di €250,00.
👉 Il padre convinto della mancanza dei presupporti per il mantenimento, proponeva ricorso per Cassazione accusando la Corte di non aver valutato l’effettivo carattere invalidante delle patologie e di non aver considerato l’atteggiamento di inerzia nel reperimento di un’attività lavorativa.
👉Ma la Cassazione rigettava il ricorso: la Corte d’Appello di Cagliari analizzando dettagliatamente le condizioni individuali e involontarie di salute del figlio, era correttamente giunta alla conclusione che l’incapacità dell’ultramaggiorenne di reperire un’attività lavorativa era dettata dal di lui stato di infermità conseguenza diretta delle condotte maltrattanti che il padre aveva posto in essere negli anni ai danni della madre e che avevano di fatto turbato il figlio.
👉Per l’approfondimento a cura dell’Avv. Angela Brancati link in bio.
Morto il proprietario di casa, la convivente ha diritto a restare nell’immobile in cui abitava insieme al de cuius per un periodo da due a cinque anni a seconda della durata della partire dal decesso, grazie alla legge Cirinnà.
E ciò benché sia l’uno sia l’altra all’epoca della convivenza fossero solo separati e non ancora divorziati dai rispettivi coniugi e quindi benché la coppia di fatto non sia registrata in Comune visto la mancanza della libertà di stato dei due conviventi.
Questo quanto chiarito dalla Corte d’Appello di Bologna che con la sentenza pubblicata il 16 dicembre 2024 ha specificato come sia Vero che la legge Cirrinà preveda il venire meno del diritto di restare ad abitare nella casa di comune residenza con il partner «in caso di matrimonio» ma tale norma deve essere interpretata nel senso che soltanto un nuovo matrimonio, così come una nuova unione civile o convivenza di fatto, risultano motivi per il venire meno del diritto a resta nella casa familiare.
Questo perché intraprendere consapevolmente un nuovo progetto di vita, è incompatibile con l’esigenza di tutela connessa al precedente rapporto sentimentale.
Al contrario, il vincolo matrimoniale ancora in essere durante la convivenza non è rilevante e il convivente superstite ha diritto a restare nella casa per un periodo minimo di due anni e massimo di cinque.
Il figlio e la sorella di un uomo morto 2016 dovranno risarcire la convivente da oltre vent’anni che con arroganza avevano buttato fuori casa a seguito dell’evento funesto.
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