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Morte del coniuge casa coniugale

Morte del coniuge: che fine fa la casa familiare?

(A cura dell’Avv. Anna Rossi Scarpa Gregorj)

La legge riserva a favore del coniuge ancora in vita, anche quando concorra con altri chiamati all’eredità quali i figli, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il diritto di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

Il diritto di abitazione, previsto dall’articolo 540 secondo comma del c.c., ha ad oggetto la “casa adibita a residenza familiare” che, ai sensi dell’articolo 144 c.c. viene identificata con il luogo dove si è svolta prevalentemente la vita della famiglia (si esclude che rientrino in tale nozione le seconde case utilizzate per i periodi di vacanza); per diritto di uso si intende, invece, l’utilizzo dei mobili che corredano la casa adibita a residenza familiare.

Con l’attribuzione dei suddetti diritti il legislatore ha voluto tutelare l’interesse economico e soprattutto morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e di legame con la casa familiare del coniuge superstite.

Il diritto di abitazione rappresenta un legato ex lege, ossia un diritto che si acquista per legge all’apertura della successione.

Il presupposto soggettivo per il diritto in esame è la sussistenza, al momento dell’apertura della successione, di un valido rapporto di matrimonio; anche al coniuge separato senza addebito spetta il diritto di abitazione, se sussiste ancora la casa familiare; non spetta, invece al coniuge divorziato.

Il presupposto oggettivo è l’appartenenza della casa adibita a residenza familiare al de cuius o, in comproprietà tra i due coniugi.

Si è, tuttavia, posto il problema se tale diritto di abitazione spetti anche nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comproprietà con terzi soggetti, per esempio allorquando la casa familiare sia di proprietà del de cuius e del di lui fratello.

Con la sentenza n. 29162 del 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul punto facendo chiarezza tra due opposte posizioni giurisprudenziali – entrambe supportate da validi argomenti di dottrina – nate dall’interpretazione del testo della legge e dal riferimento alla frase: “se di proprietà del defunto o comuni”.

Per parte della dottrina il termine “comuni” farebbe riferimento non solo alla comproprietà tra i coniugi ma anche al caso di comunione della casa fra il coniuge morto e altri terzi. La tesi maggioritaria, tuttavia, alla quale fa riferimento anche la Cassazione con quest’ultima sentenza, afferma che, in caso di comproprietà con terzi soggetti, non sorge il diritto di abitazione ex articolo 540 secondo comma c.c.

La Suprema Corte con la Sentenza in oggetto ha cercato di dare una risposta proprio a tale alla domanda: il coniuge superstite ha il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, se al momento dell’apertura della successione la casa è in comproprietà tra il de cuius e terzi soggetti?

La Cassazione ha affermato che il diritto di abitazione non sorge se il bene è in comproprietà con terzi, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto del diritto di abitazione.

In particolare, la Corte ha statuito che: “ove comproprietario sia un terzo non possono verificarsi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione, non essendo in questo caso realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto del diritto.

Inoltre è stato escluso che il coniuge superstite, nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto, possa avere l’equivalente in denaro di detto diritto in quanto non è possibile attribuire un contenuto economico al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge superstite, garantendo in concreto l’esigenza di godere dell’abitazione familiare.

Pertanto la Suprema Corte ha rigettato il ricorso diretto ad accertare l’esistenza del diritto del coniuge superstite ad abitare l’immobile di cui il coniuge deceduto era il proprietario, non dell’intero, bensì pro quota, in quanto non sussistono i presupposti per fare godere il coniuge superstite a pieno dell’immobile data la sua contitolarità con terzi soggetti.

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