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Mantenimento al marito: ha diritto allo stesso tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio

A cura dell’Avv. Maria Zaccara

Al marito deve essere garantito un adeguato contributo al mantenimento tale da potergli assicurare lo stesso tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio. Con la Sentenza depositata in data 13 settembre 2022 n. 26890/2022 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato che la separazione, a differenza del divorzio, non recide il vincolo matrimoniale, pertanto, al marito, che ha lasciato il lavoro per occuparsi del figlio malato e della prestigiosa abitazione, deve essere garantito un contributo al mantenimento tale da potergli assicurare lo stesso tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.

Il caso in esame trae origine dalla Sentenza della Corte di Appello di Milano che riduceva l’assegno di mantenimento in favore del marito da €1.500,00, attribuitogli in sede presidenziale, ad €300,00.

Il marito aveva chiesto, invece, che gli venisse riconosciuto un importo maggiore dal momento che lo stesso nel 2007 aveva lasciato la propria attività lavorativa autonoma di manager informatico per dedicarsi alla cura del figlio e della prestigiosa abitazione coniugale di proprietà della moglie e da allora era stato mantenuto dalla moglie, la quale beneficiava di cospicui redditi da lavoro propri nonché provenienti dalla sua famiglia di origine. Inoltre, dopo la separazione riferiva di non essere riuscito più a lavorare regolarmente né a permettersi un’abitazione e aveva, pertanto, dovuto ricorrere al sostegno materiale della sorella.

Avverso la suddetta Sentenza l’uomo proponeva ricorso per Cassazione per due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente rilevava la violazione dell’art. 156 c.c, per avergli riconosciuto un contributo determinato al solo fine di consentirgli di reperire un’abitazione, di importo palesemente inadeguato a consentirgli di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in considerazione delle elevate capacità economiche di cui la moglie aveva sempre goduto e continuava a godere.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione del suindicato parametro normativo, imputava alla Corte di merito di avere dato credito alle affermazioni della controparte, secondo le quali egli non avrebbe dimostrato di non essere riuscito a trovare un lavoro che gli consentisse di provvedere autonomamente al proprio mantenimento. Egli infatti, essendo rimasto fuori dal mondo del lavoro per circa dieci anni per una scelta concordata tra i coniugi di dedicarsi alla cura del figlio invalido, aveva perduto le pregresse capacità professionali nel settore informatico, in costante evoluzione, e non era riuscito a reinserirsi nel mondo del lavoro, anche in considerazione della sua non più giovane età (circa cinquanta anni), come aveva dimostrato anche mediante documenti attestanti le costanti ma inutili ricerche di lavoro; riferiva inoltre di avere dovuto ricorrere al sostegno materiale della sorella.

La Suprema Corte accoglie i motivi sollevati dal ricorrente ritenendoli fondati.

Infatti gli Ermellini ritengono che la Corte di Appello abbia errato nell’adottare il criterio di quantificazione dell’assegno. Infatti, il criterio a cui la giurisprudenza di legittimità fa riferimento  per la quantificazione del contributo di mantenimento è espresso dal principio secondo cui “i «redditi adeguati» cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione stante la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l’assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione.”

Nel caso di specie, infatti, il contributo di mantenimento in favore del marito non era stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale ma solo a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell’ottica di un aiuto a provvedere al proprio «dignitoso mantenimento».

Alla luce delle suddette motivazioni, pertanto, la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione per un nuovo esame.

Author Profile

Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.