fbpx

Blog

Home  /  DIRITTI DEI MINORI   /  La madre non può fare rientro in Italia con il figlio solo perché il padre lavora tutto il giorno

La madre non può fare rientro in Italia con il figlio solo perché il padre lavora tutto il giorno

La globalizzazione ha reso sempre più frequenti le relazioni amorose tra persone di nazioni differenti, e di conseguenza sempre più spesso ci troviamo ad affrontare procedimenti nei quali i figli sono al centro di una contesa internazionale.

Quando l’amore finisce, infatti, accade di sovente che la donna – che per amore aveva accettato di vivere lontana dal proprio paese di origine – abbandoni tale residenza estera per fare rientro “a casa”.

Quando però a rientrare senza il consenso del padre non è solo la donna ma sono coinvolti anche i figli della coppia, ecco che viene leso il diritto dei minori a crescere laddove sono nati e soprattutto il diritto a conservare il rapporto quotidiano con entrambi i genitori. 

A tutelare i minori e a cercare di porre rimedio in urgenza a tali situazioni è la Convenzione dell’Aja del 1980 in materia di sottrazione internazionale di minori. 

All’art.12, infatti, è previsto che qualora un minore sia stato illegittimamente trasferito o trattenuto in un paese differente a quello ove ha la residenza abituale, e sia trascorso meno di un anno – dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell’istanza presso l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato ove si trova – l’autorità adita deve ordinare il suo ritorno immediato. 

La Convenzione indica solo tre ipotesi che non permettono l’emissione del provvedimento di immediato rientro del minore. Ossia qualora colui che ha sottratto il minore dimostri:

a) che la persona, l’istituzione o l’ente a cui era affidato non esercitavano effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, oppure che vi hanno consentito, anche successivamente.

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto con il rientro a pericoli fisici o psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile.

c) che il minore stesso si oppone al ritorno. 

Con la recente pronuncia pubblicata in data 12 dicembre 2022 (n. 36150/2022) la Corte di Cassazione, sulla base di quanto disposto dalla Convenzione dell’Aja, ha sancito il principio secondo cui una madre non può trasferire il figlio neonato con la sola motivazione che il padre è impegnato nel lavoro tutto il giorno. Gli orari lavorativi, infatti, non integrano in alcun modo la fattispecie descritta dalla Convenzione circa il mancato esercizio di custodia e affidamento del minore, e pertanto gli ordinamenti non possono legittimare una condotta che al contrario si intende espressamente reprimere. 

Il caso oggi in esame trae origine da una pronuncia emessa dal Tribunale di Lecce, che in un procedimento di sottrazione internazionale di minore aveva ordinato l’immediato rientro in Belgio dello stesso. Il minore (un neonato di 3 mesi) era infatti stato portato in Italia dalla madre con il consenso paterno, al fine di conoscere i parenti di lei. Una volta qui giunta, però, la donna senza il consenso del marito aveva deciso di non fare rientro in Belgio ove il nucleo familiare aveva sempre abitato. Nel corso del procedimento la donna si era difesa asserendo di essere vittima di vessazioni e umiliazioni da parte del coniuge; fatti che tuttavia non trovavano alcun riscontro né nei documenti dalla stessa depositati né negli elementi emersi in corso di istruttoria. 

La madre era ricorsa quindi davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo l’erroneità del provvedimento di rientro disposto, in quanto non si poteva affermare che il figlio vivesse con il padre, impegnato tutti i giorni e per tutto il giorno sul luogo di lavoro. Secondo la madre, le autorità avevano mancato di verificare la sussistenza di una reale custodia e di un effettivo esercizio di affidamento del piccolo da parte del padre. 

Nonostante le argomentazioni della donna, però, la Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso evidenziando che i genitori vivevano insieme in Belgio, e che dalla circostanza degli intensi orari lavorativi non poteva discendere la perdita del rapporto di custodia.

La Corte aveva inoltre sottolineato che il tempo trascorso dal trasferimento illecito all’ordine di rientro disposto dall’Italia non poteva essere considerato tempo di radicamento del bimbo, poiché il padre si era attivato tempestivamente, vale a dire entro i 12 mesi dalla sottrazione, e che il piccolo fosse stato portato in Italia a soli 3 mesi di vita, non poteva rilevare altrettanto. 

Accettare le argomentazioni della donna, ha affermato la Corte, significherebbe premiare una condotta di sottrazione che gli ordinamenti partecipanti alla Convenzione dell’Aja tentano in ogni modo di contrastare.  

Author Profile

Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.

Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.

Author Profile

Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.