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L’amante può essere citato in giudizio per risarcire il danno?

(a cura dell’avv. Angela Brancati)

In un’epoca storica in cui la crisi coniugale è determinata perlopiù dalla violazione dei doveri coniugali e in particolare dalla violazione del dovere di fedeltà, la Corte di Cassazione è stata investita di una questione peculiare a seguito dell’impugnazione della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma con cui veniva rigettata la richiesta avanzata da un marito, il quale scoperto il tradimento, successivamente alla pronuncia di separazione aveva citato in giudizio la moglie, il di lei amante e infine il datore di lavoro comune ai due, per vedersi risarcito il danno sofferto.

I giudici di legittimità che non hanno escluso aprioristicamente la risarcibilità di tale danno, hanno fornito un’interpretazione delle norme da cui desumersi la sussistenza del nesso di causalità tra azione ed evento che renderebbe legittima e accoglibile la suddetta richiesta.

La Suprema Corte di Cassazione prende le mosse dal principio in forza del quale il dovere di fedeltà obbliga, alla stregua di un contratto, soltanto i coniugi e non anche i terzi. Dalla violazione di tale obbligo discende la possibilità, infatti, per il solo coniuge tradito di richiedere nell’ambito del contenzioso l’addebito della separazione all’altro coniuge ai sensi dell’art. 151 c.c. laddove, sostiene la granitica giurisprudenza, la crisi coniugale sia causalmente riconducibile all’intervenuto tradimento.

Accanto all’appena citato rimedio, il legislatore ha poi previsto la possibilità sempre per il coniuge, vittima del tradimento, di far ricorso ad una differente e autonoma azione, questa volta finalizzata al ristoro del danno subito, anche in assenza di una domanda o pronuncia di addebito della separazione, ogniqualvolta la violazione del dovere di cui sopra cagioni la lesione di diritti costituzionalmente garantiti. Ai fini della configurabilità della lesione è, tuttavia, necessario dimostrare che l’offesa arrecata al coniuge danneggiato superi la soglia della normale tollerabilità e che il danno sia giuridicamente apprezzabile: il mero dispiacere o una difficoltà soggettiva nel superamento della situazione, così come le modalità “riservate” con cui è stato perpetrato il tradimento, non sono considerati quali elementi idonei a fondare una pronuncia di risarcimento ai sensi dell’art 2059 c.c.. La Cassazione sostiene a proposito che “La mera violazione dei doveri matrimoniali non integra quindi di per sè ed automaticamente una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 c.c. riconnette detta responsabilità”.

Se l’inosservanza dei doveri nascenti dal vincolo matrimoniale rileva in primo luogo all’interno del rapporto di coniugio, ciò non esclude che il coniuge danneggiato possa esperire la medesima azione anche nei confronti dell’amante laddove lamenti un pregiudizio arrecato alla propria dignità e al proprio onore. A tal proposito i giudici con la pronuncia n. 6598 del 2019 hanno evidenziato che, in ogni caso e al pari dell’azione risarcitoria contro l’altro coniuge, anche questa deve fondarsi sui medesimi elementi da cui desumere un danno concretamente risarcibile ed è per questo motivo che: “è opportuno rilevare che, in sè, l’amante non è ovviamente soggetto all’obbligo di fedeltà coniugale – il quale riveste un evidente carattere personale-, e pertanto non potrebbe essere chiamato a rispondere per la violazione di tale dovere. Laddove si alleghi, correttamente, che il diritto violato non è quello alla fedeltà coniugale, bensì il diritto alla dignità e all’onore, non può escludersi, in astratto, la configurabilità di una responsabilità a carico dell’amante. Essa, peraltro, potrà essere affermata soltanto se l’amante stesso, con il proprio comportamento e avuto riguardo alle modalità con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili -quali la dignità e l’onore- del coniuge tradito (si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui egli si sia vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini), e purché risulti provato il nesso causale tra tale condotta, dolosa o colposa, e il danno prodotto”.

Laddove, pertanto, non ricorrano gli appena citati presupposti, il comportamento dell’amante non integra gli estremi di un fatto illecito, “avendo egli semplicemente esercitato il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità, diritto che può manifestarsi anche nell’intrattenere relazioni interpersonali con persone coniugate; allo stesso modo in cui, sia pure entro i limiti delineati, resta libero di autodeterminarsi ciascun coniuge”.

Author Profile

Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.