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La moglie non può prelevare la metà del denaro dal conto cointestato, se proveniente dal marito.

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)

La moglie non può prelevare la metà del denaro presente sul conto corrente cointestato, se questo proviene dal marito, in particolare se deriva da una donazione da parte della madre.

Questo è quanto affermato dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9197 pubblicata il 3 aprile 2023.

Il caso di specie trae origine dalla Sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, in riforma parziale della decisione di primo grado, aveva condannato la moglie alla restituzione al marito dell’importo prelevato in pendenza di separazione, dal conto cointestato, dal momento che lo stesso aveva dimostrato che l’intera somma prelevata proveniva da una donazione da parte della madre e, quindi, non era entrata a far parte della comunione dei beni tra i coniugi.

Avverso tale pronuncia la moglie proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a 13 motivi che venivano tutti respinti.

La moglie, in particolare, lamentava che la Corte D’Appello avesse errato nel ritenere che le azioni, originariamente di proprietà della suocera, fossero state dalla stessa donate al figlio e che, quindi, dovessero essere escluse dalla comunione legale tra i coniugi.

Inoltre, lamentava che, quand’anche fosse stata provata la donazione dei suddetti titoli azionari, poiché tali azioni erano state versate, dopo alcuni anni dal trasferimento, dal marito nel conto deposito titoli cointestato tra i coniugi e utilizzato per sostenere le spese della famiglia, questo versamento doveva essere considerato una donazione indiretta nei suoi confronti.

La Suprema Corte, sul punto ha specificato che “la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla contestazione stessa”. Si è, quindi, precisato che, poiché la cointestazione di un conto corrente tra più persone attribuisce a ciascuna di esse, nei rapporti interni ai sensi dell’art. 1298, comma 2, c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto medesimo, che si dividono in quote eguali, solo se non risulti diversamente (potendo a tal fine anche farsi ricorso a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti), “ove il saldo attivo discenda dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, deve escludersi che l’altro possa, nei rapporti interni, avanzare diritti su di esso”.

In definitiva, dagli artt. 1854 e 1298, secondo comma, c.c., deriva che la presunzione circa l’eguaglianza delle quote di conto bancario cointestato rappresenta una presunzione legale che può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Nel caso di specie il marito ha dedotto in giudizio non la proprietà e la disponibilità esclusiva del denaro utilizzato per l’acquisto di titoli, quanto la proprietà esclusiva dei titoli azionari stessi, che in quanto beni personali, frutto di donazione della propria madre, non erano neppure entrati nella comunione legale tra i coniugi.

La ricorrente assumeva che il solo fatto che il marito avesse depositato i suddetti titoli azionari nel conto cointestato avrebbe comportato una donazione indiretta a favore della stessa.

Gli Ermellini sul punto precisano che per la validità delle donazioni indirette non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità: nella fattispecie si tratterebbe della cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di azioni depositate presso un istituto di credito, appartenenti all’atto della cointestazione ad uno solo dei cointestatari.

Tuttavia, la possibilità che costituisca donazione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora  la predetta somma all’atto della cointestazione risulti essere appartenuta a uno solo dei cointestatari- può essere qualificato coma una donazione indiretta solo quando sia verificato “l’animus donandi” consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, al momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.

Nel caso di specie, il marito aveva negato tale assunto affermando che il deposito, di beni comunque personali in quanto frutto di donazione, nel conto cointestato ai coniugi era stato del tutto fittizio e discendente da mere ragioni di opportunità, la Corte d’appello aveva di fatto escluso il raggiungimento di tale prova, cui era onerata la moglie.

Alla luce di tali motivazioni la Suprema Corte ha respinto il ricorso e condannato la moglie alle spese.

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Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.