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Quando un documento è un testamento olografo?

(A cura dell’Avv. Anna Rossi Scarpa Gregorj)

Il testamento è un atto scritto con il quale una persona dispone delle proprie sostanze, in tutto o in parte, per il tempo susseguente alla sua morte.

Con l’ordinanza n. 25936 del 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata al fine di configurare o meno una scrittura come testamento.

Le forme ordinarie di testamento sono: il pubblico, il segreto e l’olografo. Il testamento olografo è redatto per mano del testatore; il testamento pubblico viene reso dal testatore al Notaio il quale riporta per iscritto le sue volontà in presenza di due testimoni; quello segreto viene consegnato dal testatore già sigillato al Notaio ovvero viene da questi sigillato nel momento in cui lo riceve, alla presenza di due testimoni.

Il testamento olografo, massima espressione della libertà di disporre dei propri beni, presenta indubbi vantaggi, quali la segretezza, ma anche evidenti rischi di interpretazione.

Qualora, infatti, ci troviamo in presenza di un foglio scritto, datato e sottoscritto dal testatore come si può riconoscere se si tratti di testamento olografo o di uno scritto privo di contenuto testamentario?

La Corte di Cassazione, nel caso in commento, hanno affermato che per identificare un testamento non è sufficiente che esso ricopra tutti i requisiti di forma ex articolo 602 e seguenti del codice civile (scrittura, data e sottoscrizione di proprio pugno), ma è necessario riconoscere la volontà definitiva dell’autore, compiutamente e incondizionatamente formata; occorre, pertanto, l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura dell’intenzione attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, bensì un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso.

Nel caso di specie la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi riguardo una scrittura proveniente dalla madre delle parti in causa, sull’identificazione o meno della stessa come testamento.

La Corte d’Appello di Napoli aveva già dichiarato che lo scritto non fosse da identificarsi quale testamento.

Una delle due figlie aveva impugnato la decisione della Corte d’Appello proponendo ricorso in Cassazione sulla base dei seguenti motivi: il primo riguardava l’interpretazione dello scritto, adducendo che la Corte d’Appello non avesse tenuto conto della reale intenzione della madre; il secondo motivo di ricorso invocava il fatto che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità parziale unicamente per le disposizioni equivoche, conservando la validità delle restanti.

Riguardo al primo motivo la Suprema Corte ha sostenuto che, al fine di accertare se una scrittura privata, per mezzo della quale si dispone in tutto o in parte delle proprie sostanze, sia una disposizione testamentaria o meno, bisogna indagare le ragioni e le finalità perseguite con la stessa. La Cassazione ha ritenuto che lo scritto della defunta madre fosse un semplice rendiconto indirizzato verosimilmente ai figli quale progetto relativo al godimento dei suoi beni. In particolare, la Corte ha affermato che le indicazioni scritte della madre avessero una chiara assenza di disposizione di ultima volontà.

Con riferimento al secondo motivo addotto dalla ricorrente la Corte ha affermato che l’esclusione del carattere testamentario della scrittura riguarda l’intero documento e non parte di essa, tale per cui non può essere pronunciata la nullità parziale richiesta dalla figlia; il principio di conservazione della volontà testamentaria non può essere applicato, in quanto presuppone il preventivo riconoscimento di una data scrittura come disposizione di ultima volontà.

Pertanto, per i motivi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Napoli e ha dichiarato inammissibile il ricorso con addebito di spese.

In conclusione, nel caso in cui si abbia interesse a redigere disposizioni di ultima volontà, patrimoniali o non, bisogna tenere conto, non solo dei requisiti di forma propri di ogni testamento, ma anche dell’indicazione, in maniera non equivoca, di voler utilizzare lo scritto a tale fine.

Una dicitura che si potrebbe inserire nell’intestazione è la seguente: “nel pieno possesso delle mie facoltà dispongo che alla mia morte..”; in tal caso la clausola non è ambigua ma rispecchia la volontà del testatore di disporre delle proprie sostanze dopo la morte, trattandosi a tutti gli effetti sostanziali di un testamento.

Quelli che scrivono con chiarezza hanno dei lettori, quelli che scrivono in modo ambiguo hanno dei commentatori” (Albert Camus).

Cerchiamo di evitare le interpretazioni di terzi nella lettura delle nostre ultime volontà, dato che, una volta passati a miglior vita, nessuno potrà venire a cercarci per chiederci quali fossero le nostre reali intenzioni!

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