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Oneri extra: istruzioni per l’uso

(a cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Uno degli aspetti più delicati di una separazione è la gestione delle spese straordinarie dei figli. Se nella quotidianità, infatti, i genitori si organizzano in autonomia senza obbligo alcuno di rendicontazione (in ottemperanza alla regola che ciascuno dei due, nel proprio tempo con i figli, adotta unilateralmente le decisioni di ordinaria amministrazione e ne sostiene i relativi costi) quando invece vanno effettuate scelte importanti il principio dell’affidamento condiviso esige una consultazione reciproca, costante e preventiva.

Questo perché quando si deve avviare un progetto educativo, morale o culturale che riguarda i minori, entrambi i genitori devono avere uguali poteri, obblighi e responsabilità riguardo allo sviluppo psico-fisico dei figli, e tale impegno non può risolversi nella «passiva acquiescenza» del genitore non collocatario alle scelte compiute autonomamente dall’altro. 

Posto che il vincolo di solidarietà economica che lega i genitori ai figli non viene meno dopo la separazione e il divorzio, l’affidamento condiviso richiede un grande sforzo perché postula un confronto continuo tra padre e madre, sia per individuare i bisogni dei figli e le migliori modalità per farvi fronte, sia poi per arrivare a un accordo sulle risorse economiche necessarie e sui tempi entro i quali provvedervi.

Ne consegue che quando tale confronto manca per colpa di uno dei genitori, l’altro è legittimato a non rimborsare la propria parte delle spese straordinarie. È quanto deciso dal Tribunale di Salerno proprio qualche settimana fa: il padre separato o divorziato non paga le spese straordinarie per i figli – minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti – se l’ex coniuge lo estromette da ogni decisione in merito alle spese stesse.

Con la sentenza n. 2661/2022 tale Tribunale ha, infatti, revocato il decreto ingiuntivo emesso a carico di un padre per la cifra di 5.200 euro (oltre a interessi e spese legali), ottenuto dalla ex moglie che contestava il mancato rimborso del 50% di una serie di oneri straordinari da lei sostenuti per i figli. 

La donna sosteneva di aver fatto fronte integralmente dal 2015 al 2018 a spese medico/sanitarie, spese per il conseguimento della patente di guida della figlia, rette dell’Università privata del figlio, canoni di locazione di alloggi a Venezia, biglietti aerei, corsi di specializzazione della figlia e spese di iscrizione alla palestra del figlio. 

L’uomo si era opposto all’ordine di pagamento, riferendo di non avere mai mancato il versamento sia dell’assegno divorzile per l’ex moglie, sia del contributo al mantenimento dei ragazzi (maggiorenni ma non autosufficienti dal punto di vista economico), chiarendo che alcune delle spese citate erano comprese nell’assegno di mantenimento e aggiungendo che, in ogni caso, la donna non lo aveva mai interpellato preventivamente in relazione alle spese straordinarie di cui in seguito aveva chiesto rimborso. 

I giudici appuravano in effetti che negli accordi della separazione, riproposti poi in divorzio, il contributo paterno al mantenimento dei figli (pari a 750 euro ciascuno) era comprensivo anche delle spese straordinarie come tasse universitarie, esigenze ricreative, sportive e inerenti alle vacanze. Le richieste della donna, pertanto,  apparivano in violazione dell’accordo vigente. 

Ma in concreto come distinguere tra spese ordinarie e straordinarie? Se è vero che manca una norma ad hoc, è però anche vero che a livello nazionale nel 2017 è stato sottoscritto un Protocollo delle Spese Straordinarie, e ogni Tribunale si è dotato di un proprio Protocollo redatto sulla base delle decisioni ricorrenti del Foro. Tali Protocolli, seppur leggermente diversi l’un l’altro, aiutano a individuare i principi sottesi alle diverse voci: ecco allora che quelle di natura ordinaria soddisfano le normali esigenze di vita, mentre sono considerate straordinarie quelle dettate da eventi imprevedibili o eccezionali, che non possono essere comprese nel forfait dell’assegno per non penalizzare i figli. Nella prima categoria rientrano vitto, vestiti, casa, tasse d’iscrizione a istituti pubblici, medicinali da banco, trasporti, carburante, ricarica cellulari, gite, trattamenti estetici (oltre a doposcuola e baby sitter, se preesistenti alla fine della convivenza). Nella seconda sono comprese iscrizioni e rette a scuole private, ripetizioni, università pubbliche e private, alloggi per fuori sede, corsi di lingue, centri estivi, vacanze senza genitori e corsi per la patente. Infine, manutenzione di scooter, minicar e auto.

Nel caso trattato a Salerno, le spese affrontate dalla donna – seppur erroneamente ricomprese nel mantenimento ordinario – avevano in realtà una natura straordinaria: per questo, e per l’ammontare decisamente “importante”, si trattava insomma di spese che avrebbero richiesto il consenso preventivo di entrambi i genitori. Questo vale a maggior ragione quando i figli studiano fuori sede, e necessitano dunque di un alloggio in affitto, di spese di viaggio (magari in aereo) per tornare periodicamente a casa, e di eventuali corsi di specializzazione o attività correlate all’estero (in questo specifico caso, un viaggio della figlia in Corea).

In tema di rimborso delle spese straordinarie la Cassazione è granitica nel sostenere che “nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, spetta al giudice di merito verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore, commisurando l’entità della spesa rispetto all’utilità e alla sua sostenibilità in rapporto alle condizioni economiche dei genitori” (Cass. ordinanza n. 5059/21).

La donna non solo aveva deciso unilateralmente – e senza dare alcuna comunicazione al marito – di accogliere le richieste dei figli di studiare lontano dal luogo di residenza e fare esperienze all’estero, ma non era riuscita nemmeno a convincere i Giudici circa l’utilità degli esborsi sostenuti. Riguardo alle spese mediche, poi, non era stata in grado di provare che le prestazioni sanitarie effettuate in regime privato fossero necessarie e inderogabili al punto da evitare il preavviso all’ex coniuge. 

Alla luce di quanto sopra, l’opposizione del padre al decreto ingiuntivo veniva accolta e l’ingiunzione cancellata, nel rispetto dei principi dell’affidamento condiviso che richiede una consultazione reciproca, costante e preventiva.

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