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La convivenza è necessaria per il reato di maltrattamenti in famiglia?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione ha recentemente pronunciato una sentenza rilevante in tema di maltrattamenti in famiglia, con riguardo ad un elemento specifico: la convivenza (Cass, sent. n. 43939/23).

Gli atti violenti erano stati posti in essere dall’amministratore di sostegno, fratello non convivente del maltrattato: in particolare, egli realizzava varie condotte vessatorie e aggressioni fisicheai danni del fratello, portatore di un grave handicap motorio.

Il quadro probatorio, che aveva portato i Giudici di merito alla condanna, risultava piuttosto chiaro con riferimento alla condotta: vi erano le dichiarazioni della vittima secondo cui l’imputato aveva il compito di assisterlo per circa due ore il sabato e la domenica, in assenza della badante, cosa che faceva frettolosamente, senza accudirlo. L’imputato tendeva a controllare le sue spese, giungendo a privarlo del bancomat e dei libretti di risparmio; lo offendeva con appellativi ingiuriosi, riferiti alla sua disabilità, gli tirava i capelli e lo colpiva con schiaffi alla nuca. Vi era anche un referto del pronto soccorso, dove si era recato dopo un’aggressione fisica.

Rilevanti era la testimonianza della badante che confermava le ingiurie e le violenze, come quando l’imputato aveva preso per il collo il fratello.

Importanti erano le dichiarazioni di un maresciallo dei Carabinieri che aveva riferito di quando, presso la caserma dove aveva convocato le parti, l’imputato aveva dato uno schiaffo al fratello; si era anche recato presso l’abitazione della persona offesa, che lo aveva chiamato perché malmenato dal fratello.

Un’altra testimonianza a cui i Giudici avevano dato credito era quella di un’assistente sociale che aveva sottolineato come, nonostante la condizione di vulnerabilità della persona offesa, non fosse incapace, ma solo impedita nei movimenti. Aveva anche affermato di aver ricevuto segnalazioni da parte della badante in merito ai maltrattamenti.

Lo stesso imputato aveva confermato che si era assunto il compito di assistere il congiunto in assenza della badante o quando questa era in casa per aiutarla nel disbrigo di alcune attività elementari, ma indispensabili (come metterlo a letto).

Sulla base di tutti questi specifici e convergenti elementi, i Giudici di merito ricostruivano l’abituale condotta vessatoria dell’imputato nei confronti del fratello, descrivendo in sentenza episodi di ingiurie, aggressioni e minacce di ricovero in una residenza socio-assistenziale, particolarmente temute dalla persona offesa perché accompagnate da atti che andavano oltre i poteri dell’amministratore di sostegno (come il mancato pagamento delle competenze della badante e la requisizione della tessera bancomat e dei libretti di risparmio).

La sentenza della Corte di Appello impugnata, secondo la Cassazione, ha puntualmente descritto un clima di sopraffazione imposto dall’imputato per la vulnerabilità della vittima e la situazione di dipendenza in cui versava e, dunque, la sussistenza di un’asimmetria di posizioni che non consente di sussumere i fatti in un contesto di mere liti familiari.

Gli Ermellini sottolineano come non sia elemento costitutivo del reato di maltrattamenti la riduzione della vittima a succube da parte dell’agente, poiché sono sufficienti condotte abitualmente vessatorie, concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni.

La Suprema Corte rileva come il reato di maltrattamenti sia configurabile anche in assenza di un rapporto di stabile convivenza tra le parti, tenuto conto non solo della consanguineità tra imputato e persona offesa, ma anche del rapporto di cura svolto dall’imputato che va al di là dell’assistenza prestata come amministratore di sostegno.

La dottrina ha sempre attribuito un ruolo essenziale alla convivenza, ritenendola requisito per la configurabilità del reato.

La giurisprudenza si è concentrata sul sintagma “persona comunque convivente” che compare nell’art. 572 c.p. e che specifica il concetto di “persona di famiglia”. Pertanto, secondo la Cassazione “ove tra i soggetti non sussista un rapporto di convivenza, la permanenza di un vincolo di tipo esclusivamente formale non è sufficiente, di per sé, ad assurgere a criterio valutativo dirimente, dovendosi, viceversa, indagare la sussistenza o meno di un rapporto che nel suo sviluppo sostanziale mantenga le caratteristiche della familiarità e riveli la permanenza di vincolo di solidarietà che della “famiglia” costituisce il tratto fondante, non potendo, questa, ridursi ad un mero dato anagrafico”.

Ai fini della configurabilità del reato risulta essenziale la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva che non può sussistere in caso di definitiva disgregazione dell’originario nucleo familiare. Va, dunque, svolto un accertamento su dati oggettivi (la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva o la cessazione definitiva di qualunque rapporto tra i membri di una famiglia), piuttosto che una valutazione sulla convivenza o coabitazione, che potrebbero essere solo formali.

Pertanto, nel caso analizzato dalla Cassazione, non rileva la mancanza di un rapporto di convivenza, ma un vincolo familiare forte, con intensi vincoli di solidarietà tra la persona offesa e l’imputato che si faceva carico stabilmente della sua assistenza, oltre ad essere il suo amministratore di sostegno.

Si apre, pertanto, una possibilità di riconoscere il reato di maltrattamenti in famiglia senza convivenza, qualora la relazione affettiva sia qualificata da continuità, stabilità e con vincoli di solidarietà.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.