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Mamme single oggi: diventare madri senza un legame matrimoniale o di convivenza con un uomo

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Se per “ragazza madre” ci si riferiva comunemente a una mamma molto giovane che aveva deciso di portare avanti la gravidanza anche senza il proprio compagno, negli ultimi anni con questo termine si fa riferimento a una categoria molto più ampia: alla famiglia composta esclusivamente da mamma (non necessariamente giovanissima) e figlio. I due fenomeni sono entrambi in aumento.

In Italia si stima che diventino mamme ogni anno tra le 8.000 e le 10.000 giovani donne fino ai 19 anni d’età e secondo la SIGO (Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia) il fenomeno è in crescita.

Così come sono in crescita le donne che diventano madri senza poter contare sulla presenza accanto a loro, del padre del loro bambino: secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2019) una famiglia su dieci in Italia è monogenitoriale e nella quasi totalità è donna. 

Ma in questi casi, quali sono i principi di diritto e le norme che regolano l’attribuzione della maternità e della paternità di questi bimbi? 

Proprio perché il nostro ordinamento giuridico garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e la tutela della maternità, la legge riconosce alla madre il termine di 10 giorni per decidere se riconoscere o meno il neonato.

Con il termine “riconoscimento” si intende una dichiarazione unilaterale con la quale la donna dichiara di essere la madre di un’altra persona.

Il riconoscimento è quindi l’atto mediante il quale il fatto della procreazione (di per sé insufficiente per creare un rapporto giuridico) si trasforma in uno stato di filiazione (figlio riconosciuto) che è rilevante per il diritto poiché comporta da parte della madre l’assunzione di tutti i doveri e i diritti che la legge riconosce al figlio di genitori uniti in matrimonio.

Sulla base di questo atto irrevocabile si forma l’atto di nascita.

Per riconoscere un figlio nato fuori del matrimonio la madre deve aver compiuto 16 anni di età; in caso di madre infrasedicenni che abbia compiuto 14 anni, occorrerà chiedere autorizzazione al Tribunale Ordinario del Comune ove è nato il piccolo che ne autorizzerà il riconoscimento solo dopo aver convocato la giovane madre e valutate le circostanze alla luce del primario interesse del figlio (art. 250, ultimo comma c.c.).

Con il riconoscimento, il piccolo prenderà il cognome della madre, cognome che potrà  conservare anche in caso di riconoscimento successivo da parte del padre. 

Se la madre lo consente, il padre del minore, infatti, potrà riconoscere il figlio anche successivamente alla formazione dell’atto di nascita Ma se il figlio ha compiuto gli anni 14 deve essere raccolto anche il di lui consenso al riconoscimento.

Ma cosa succede se la madre non vuole o non può riconoscere il bambino?

La normativa italiana riconosce all donna il diritto di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale in cui è nato (DPR 396/2000, art. 30 comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. 

Su richiesta della donna il di lei nome può rimanere per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Se la madre vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica e il nome e il cognome gli vengono attribuiti dall’ufficiale dello stato civile.

Del mancato riconoscimento del piccolo ne sarà data Immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria saranno essere omessi elementi identificativi della madre.

La situazione di abbandono del neonato non riconosciuto, permetterà l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante.

In alcuni casi particolari, però, alla donna con particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, è consentito chiedere al Tribunale per i minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento.
In questi casi la sospensione della procedura di adottabilità può essere concessa per un periodo massimo di due mesi, nel quali la madre deve mantenere con continuità il rapporto con il bambino.

Author Profile

È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).