Sottrazione intenzionale di minori: quando il Tribunale ne deve ordinare il rientro
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
La sentenza oggi in commento tratta di un caso di sottrazione internazionale di minori portato al vaglio dapprima del Tribunale per i Minorenni di Bari e in seguito della Suprema Corte di Cassazione, la quale contestualmente alla censura del provvedimento del giudice di prime cure, con la pronuncia n. 23340/2023 ha provveduto ad esporre i principi cardine in forza dei quali l’Autorità è chiamata ad ordinare il rientro.
Il caso di specie prende le mosse da un trattenimento illegittimo in Italia da parte del padre di una minore, la quale terminato il periodo di competenza paterno, riferiva di non voler più rientrare nel Paese di residenza ove viveva con la madre e il fratello a causa delle di loro condotte maltrattanti.
In particolare, il Tribunale per i Minorenni di Bari adito dalla genitrice in ragione della Convenzione dell’Aja del 1980, aveva statuito per il non rientro in Germania della minore, all’epoca dodicenne, sulla scorta della di lei volontà di restare in Italia presso il padre, anche all’esito della delegata indagine psico-sociale ai Servizi Sociali, dalla quale non erano emersi elementi di pregiudizialità della figura paterna e del contesto in cui il nucleo si trovava inserito.
La minore nel corso dell’ascolto dinanzi il Tribunale per i Minorenni riferiva di non gradire il contesto familiare materno a causa di una riferita aggressività della genitrice e del fratello nonché per una difficoltà di inserimento scolastico. Aggiungeva, altresì, di percepire l’abitazione paterna come più accogliente e rassicurante, un luogo in cui riceveva maggiori attenzioni e comprensione.
Avverso tale pronuncia ricorreva per Cassazione la madre, la quale lamentava che il Tribunale per i Minorenni, nel ritenere legittimo il trattenimento in Italia da parte del padre valorizzando le dichiarazioni della figlia e gli accertamenti compiuti dai Servizi Sociali, aveva attribuito rilevanza dirimente alle parole della minore senza tuttavia provarne la veridicità e senza accertare la di lei capacità di discernimento.
Valutati tutti gli elementi del caso concreto, la Corte di Cassazione osserva come sulla scorta della portata applicativa dell’articolo 13 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sia imposto al giudice di esaminare in maniera dettagliata e specifica non solo le dichiarazioni rilasciate dal minore, il quale dovrà essere dotato di capacità di discernimento, ma anche la veridicità delle stesse con riferimento alla presenza di elementi pregiudizievoli derivanti da un eventuale rientro.
Sul tema la Cassazione, in applicazione di tale principio, già in precedenza con la sentenza 21055/22 cassava con rinvio una decisione con la quale il Tribunale per i Minorenni aveva disposto il rientro dei minori nello stato che era divenuto residenza abituale di questi unitamente alla madre nonostante vi fosse stata una manifestata volontà di segno contrario, senza approfondire le circostanze addotte con elementi fattuali in grado di confermarle o negarle.
Nei casi di sottrazione internazionale, evidenziano gli Ermellini, come gli unici motivi realmente ostativi al rientro devono essere connessi al fondato rischio che il minore sia sottoposto ad eventi pregiudizievoli per il proprio sviluppo psicofisico, prescindendosi, pertanto, dalle dichiarazioni di segno contrario in assenza di alcun pericolo connesso al rientro.
Nel caso di specie, la Corte di legittimità censura la pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Bari “in quanto non fondata su una corretta applicazione dei principi consolidati in materia di sottrazione internazionale di minori a tenore dei quali il giudice italiano può valutare gli inconvenienti per la condizione del minore, connessi al suo prospettato rientro nello Stato di residenza abituale, solo se raggiungano il grado del pericolo fisico o psichico o dell’effettiva intollerabilità, trattandosi delle uniche condizioni ostative al rientrato ai sensi dell’art. 13 lett. b) della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980”.
L’organo di primo grado prendendo in considerazione unicamente la volontà della minore aveva d’altro canto omesso di accertare se il rientro della figlia presso l’abitazione materna comportasse o avesse potuto comportare un pregiudizio per il di lei sviluppo psico-fisico o comunque una situazione che avrebbe potuto mettere a rischio la minore. In particolare, secondo quanto rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione, il Tribunale per i Minorenni di Bari avrebbe dovuto compiere un’indagine approfondita per accertare la sussistenza di eventuali problematiche del nucleo materno nonché un concreto esame delle capacità di discernimento della minore dodicenne.
Per tutti questi motivi, la Corte di Cassazione cassa il decreto impugnato, con rinvio al Tribunale per i Minorenni per una nuova valutazione del caso nel rispetto della portata applicativa dell’art. 13 lett. b) della Convenzione dell’Aja.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.