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Quando l’infedeltà del coniuge è causa dell’addebito della separazione?

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)

Con l’Ordinanza n. 11130/2022 la Suprema Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui chi lamenta l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà e chiede l’addebito della separazione all’altro coniuge deve provare la condotta e il nesso causale con l’intollerabilità della convivenza, mentre chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda deve dimostrare che la crisi matrimoniale era anteriore all’infedeltà accertata documentando le circostanze sulle quali è fondata l’eccezione.

Il caso oggi in esame trae origine dalla pronuncia della Corte d’Appello di Roma che, in accoglimento dell’appello proposto dalla moglie avverso la Sentenza del Tribunale di Catania, aveva revocato la pronuncia di addebito della separazione alla stessa dal momento che, anche volendo ritenere accertata l’infedeltà della moglie, tale comportamento era intervenuto quando era già in atto una profonda frattura coniugale.

Avverso tale Sentenza il marito proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo il ricorrente eccepiva, da un lato, che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà era circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, presumendosi l’efficacia causale nella determinazione dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e, dall’altro, che l’accertamento dell’anteriorità della crisi coniugale rispetto alla condotta di adulterio doveva essere rigoroso.

Con il secondo motivo il ricorrente lamentava che la motivazione della Sentenza impugnata aveva fornito una personale e fantasiosa lettura dei fatti del tutto disancorata da ogni elemento probatorio, osservando che l’unica valutazione, processualmente rilevante, degli elementi probatori emergenti in causa era stata effettuata dal giudice di primo grado.

 Con il terzo motivo il ricorrente lamentava l’erronea valutazione da parte della Corte di merito del referto medico della dott.ssa Russo come prova della pregressa crisi matrimoniale dal momento che tale documento provava solo uno stato di insoddisfazione unilaterale da parte della moglie, quindi, non ancora sfociato in una crisi matrimoniale.

La Suprema Corte di Cassazione analizzava i tre motivi congiuntamente in quanto tutti vertevano sulla valenza probatoria da attribuire alla infedeltà di un coniuge e sulla distribuzione dell’onere della prova e li riteneva infondati e inammissibili. I Giudici osservavano che secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità “grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.” (cfr. Cass. n. 3923 del 19/02/2018; Cass. n. 2059/2012)

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato tali principi ritenendo, all’esito della valutazione degli elementi probatori emergenti in causa, che fosse stata provata l’esistenza di una crisi matrimoniale in atto precedente al presunto comportamento di infedeltà coniugale.

Infatti, la preesistente crisi matrimoniale risultava provata dalle richieste della moglie di supporto ad un Centro di antiviolenza sulle donne nonchè al servizio di Psicologia del Policlinico, proprio per risolvere le situazioni di conflitto con il marito. Non solo, ma anche dalle stesse ammissioni del marito in ordine ad un cambiamento delle abitudini della moglie negli ultimi tre anni di matrimonio, segno evidente che lo stesso fosse a conoscenza dello stato psicologico della consorte.

Per queste motivazioni il ricorso è stato rigettato.

Author Profile

Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.