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I matrimoni forzati dal codice rosso alla “Legge Saman”: un fenomeno ancora molto diffuso ed un grave reato

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

Il fenomeno della costrizione o induzione al matrimonio è una realtà ancora oggi esistente con remote radici culturali e religiose, molto diffusa non solo in parti del mondo sottosviluppate(come Africa o Asia), ma anche in Europa ed oltreoceano.

L’espressione “matrimonio forzato(forced marriage) si riferisce ad un matrimonio nel quale il consenso non è stato prestato liberamente, ma estorto tramite violenze, minacce o altre forme di coercizione (come quelle psicologiche), che sono fondamentali per distinguerlo rispetto al matrimonio combinato o a quello precoce.

Integra una violazione dei diritti umani, poiché la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sancisce che “il matrimonio può essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi”.

La legge n. 69/2019, il cd “Codice rosso”, ha introdotto un’apposita fattispecie penale per punire i matrimoni forzati, inserendo – dopo l’art. 558 c.p. “Induzione al matrimonio mediante inganno – l’articolo 558 bis c.p..

Tale norma prevede che “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile”. Sono, poi previste circostanze aggravanti, come quando i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto o di un minore di anni quattordici.

Le disposizioni dell’articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

La norma era stata prevista per adempiere l’obbligo sancito dall’art. 37 della Convenzione di Istanbul, in base al quale gli Stati firmatari avrebbero dovuto prevedere una sanzione penale per le condotte consistenti nel “costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio” e nell’“attirare un adulto o un minore nel territorio di uno Stato estero, diverso da quello in cui risiede, con lo scopo di costringerlo a contrarre un matrimonio”.  

La ratio dell’art. 558 bis c.p. è, quindi, quella di basare l’unione matrimoniale su di un libero consenso delle parti contro un matrimonio forzato o indotto mediante pressioni fisiche o psicologiche.

Generalmente tre sono le caratteristiche dei matrimoni forzati: in primo luogo, la sussistenza di una coercizione (violenza fisica, psicologica, economica  o affettiva); in secondo luogo il cd “conflitto di lealtà”, ossia quel sentimento provato all’interno di una famiglia da uno dei componenti che gli impedisce di denunciare o comunque di opporsi alla stessa per evitare ulteriori questioni problematiche; infine, il fenomeno può essere “transnazionale”, poiché il disposto normativo di cui all’art. 558 bis c.p. trova applicazione anche quando il fatto viene commesso all’estero da cittadino italiano o straniero ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

Con riferimento alle modalità coercitive va precisato che può essere utilizzato qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione; per minaccia si intende, invece, la prospettazione di un male ingiusto.

La Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha recentemente pubblicato il primo Report sulla costrizione o induzione al matrimonio in Italia dopo l’entrata in vigore del c.d. “Codice rosso” ed è rivolto ad analizzare il fenomeno con l’obiettivo di contrastarlo: orbene, dal 9 agosto 2019 – data della sua entrata in vigore – al 31 dicembre 2021 si è registrato un aumento dei “matrimoni forzati”, soprattutto nelle regioni settentrionali, mentre meno al centro-sud, ad eccezione della Sicilia.

Secondo i dati del servizio di Analisi Criminale si sono verificati 24 reati, l’85% dei quali commessi in danno di persone di genere femminile. In un terzo di tali casi le vittime sono minorenni (9% infraquattordicenni e 27% tra i 14 e i 17 anni). Il 59% delle vittime sono straniere, in maggioranza pakistane, seguite dalle albanesi. Nel 73% dei casi gli autori del reato sono stati prevalentemente uomini pakistani, albanesi, bengalesi e bosniaci; nel 40% dei casi i responsabili erano di età compresa tra 35 e 44 anni.

I dati, oltretutto, non sono precisi, perché manca il “sommerso”: questo reato, infatti, spesso si consuma tra le mura domestiche e le vittime sono quasi sempre ragazze giovani, costrette ad abbandonare la scuola, talvolta obbligate a rimanere chiuse in casa nell’impossibilità di denunciare, anche per paura di ritorsioni e non sanno nemmeno a chi rivolgersi.

In uno studio di carattere nazionale sui matrimoni forzati, commissionato all’Associazione Le Onde Onlus dal Dipartimento per le Pari opportunità nel 2013, emerge che per diverse ragioni è molto difficile, se non impossibile, quantificare con precisione il fenomeno dei matrimoni forzati.

Secondo il rapporto “The Global Girlhood Report 2020: Covid-19 and progress in” diffuso nel 2020 da Save the Children, proprio in quell’anno quasi 500.000 ragazze in più nel mondo sono state costrette al matrimonio per effetto delle conseguenze economiche della pandemia, a cui si aggiungerebbero 1 milione in più di gravidanze precoci. C’è stata un’inversione di tendenza negativa dopo 25 anni di progressi; le adolescenti sono obbligate a sposarsi soprattutto nell’Asia meridionale (191.000), ma anche nell’Africa centrale e occidentale (90.000) e nell’America Latina e Caraibi (73.000).

L’adozione del Codice Rosso ha certamente costituito un importante passo avanti rispetto alla situazione precedente. Un altro passo è stato recentemente compiuto dalla Camera con l’approvazione della cd “Legge Saman” per il “rilascio del permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio” che ora è passata all’esame del Senato.

In primo luogo, va precisato che tale legge è composta da un solo articolo che è rivolto a modificare l’articolo 18 bis del Testo Unico sull’immigrazione del 2013: chi denuncia la costrizione al matrimonio potrebbe ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, di durata annuale, rinnovabile finché perdurino le esigenze umanitarie che ne hanno giustificato il rilascio.

Inoltre, va ricordato che il nome di “legge Saman” è collegato alla diciottenne pakistana che pare sia stata uccisa dai parenti (genitori e zio) perché si era opposta alla celebrazione di un matrimonio combinato con suo cugino. Di recente sono state chiuse le indagini preliminari a carico di suoi cinque familiari, per omicidio e soppressione di cadavere. Sabato 2 aprile a Maranello sono stati trovati resti umani chiusi in un sacchetto di cellophane e l’esame del Dna sarà fondamentale per rivelare se appartengano o meno a Saman.

Secondo Stefania Ascari, prima firmataria della proposta di legge, quest’ultima rappresenta una legge di civiltà, rivolta a tutelare tutti coloro che denunciano una situazione di pericolo connessa ad un matrimonio forzato.

Le previsioni normative sono  essenziali, ma non sufficienti per estirpare questo fenomeno: occorre svolgere, da un lato, un accurato controllo del medesimo per prevenirlo; dall’altro, occorre agire ove esso è maggiormente diffuso per povertà, conflitti armati, mancata scolarizzazione o per situazioni di emergenza umanitaria.

Author Profile
Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.