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Storie di sfruttamento e povertà: la tratta delle donne nigeriane

(A cura delle Avv. Stefania Crespi e Alice Di Lallo)

La storia che stiamo per raccontare è la storia di una ragazza nigeriana che all’età di 21 anni giunge in Italia, vittima di tratta, che dà alla luce il suo bambino, figlio della violenza subita e che lotta per averne l’affidamento.

È una storia dei giorni nostri che riguarda moltissime altre giovani donne. Dal 1 gennaio al 25 febbraio 2021, infatti, sono sbarcati in Italia 4305 persone, dati impressionanti soprattutto considerando l’emergenza sanitaria in corso.

Siamo nel 2021, eppure quando si analizza il fenomeno migratorio, ci si imbatte in casi di tratta di esseri umani, ossia lo sfruttamento di esseri umani che, rapiti o attirati con l’inganno nel loro paese d’origine, vengono poi posti sostanzialmente in uno stato di schiavitù e costretti allo sfruttamento, soprattutto attraverso prestazioni lavorative o sessuali.

Paola (ndr: nome di fantasia) nasce e cresce in Nigeria; senza lavoro, viene reclutata dalla Madame – la trafficante che gestisce le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale – con l’inganno di reperirle un lavoro in Italia (a sua insaputa, la ragazza si sarebbe dovuta prostituire); la Madame spiega che avrebbe lei anticipato i soldi per il viaggio e che Paola avrebbe pagato il debito con il lavoro in Italia; Paola viene così sottoposta ad un rito juju – rito animista durante il quale le venivano prelevate unghie e peli -, in seguito al quale le dissero che se non avesse rispettato il contratto e, dunque, ripagato il debito sarebbe morta.

Lasciata la Nigeria, dopo un viaggio durato tre mesi, dopo aver attraversato il deserto, Paola arriva in Libia dove si imbarca per raggiungere la Sicilia dove viene accolta nel centro di accoglienza. Inserita in una comunità in cui erano presenti altre connazionali, il connection man della Madame riusciva a rintracciare Paola e a prelevarla. Da lì a pochi giorni, la Polizia faceva irruzione nell’appartamento in cui era stata portata e poco dopo scopriva di essere incinta.

Il caso giunge allo studio perché a seguito della nascita del bambino, su segnalazione dell’ospedale, il Tribunale per i Minorenni, stante la situazione di fragilità personale ed economica della donna non in grado  di affrontare adeguatamente i bisogni di accudimento del minore,  apriva un procedimento affidando il bimbo ai Servizi Sociali, limitando la responsabilità genitoriale materna e collocando mamma e bambino in comunità.

La tratta è chiaramente punita nel nostro ordinamento, dando attuazione alla normativa europea ed internazionale: gli articoli del codice penale – inseriti all’interno del Titolo XII del Libro II tra i delitti contro la persona – sono stati riscritti dalla L. 228/2003; le condotte punibili sono state ampliate grazie al Decreto Legislativo 24/2014, che ha anche previsto il risarcimento del danno per le vittime; con la Legge 108/2010 sono state modificate le circostanze aggravanti per la commissione dei delitti citati, grazie all’inserimento dell’art. 602-bis c.p..

Prima di affrontare nel dettaglio la tratta, occorre svolgere un cenno all’art. 600 c.p. relativo alla “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” che punisce chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi al prelievo di organi. La norma in esame prevede al comma 2 che la riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione abbia luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

Fatte queste doverose premesse, è opportuno considerare l’art. 601 c.p. che prevede la tratta di persone, punendo chiunque  “recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi. I commi successivi – inseriti dall’art. 2 del D.Lgs. 21/2018 – prevedono particolari situazioni, come la tratta di minori (punita anche se realizzata al di fuori delle modalità di cui al primo comma), le pene per il comandante o l’ufficiale della nave nazionale o straniera, che commette alcuno dei fatti previsti dal primo o dal secondo comma, nonché le pene per il componente dell’equipaggio di nave nazionale o straniera destinata, prima della partenza o in corso di navigazione, alla tratta.

La norma è rivolta a tutelare personalità individuale dell’essere umano.

Giova ricordare che secondo la Cassazione (sentenza n. 40045/2010) la vittima non deve necessariamente trovarsi in un pregresso stato di schiavitù, quindi anche una persona libera può essere condotta con inganno in Italia, al fine di porla in una condizione riconducibile alla schiavitù; il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione mediante inganno, non solo attraverso costrizione con violenza o minaccia. Ed invero la Suprema Corte aveva già avuto modo di precisare con la sentenza n. 23368/2008 che il richiamo alla riduzione in schiavitù nella norma è relativo al dolo specifico, che deve accompagnare la condotta del reo.

Pare rilevante, infine, sottolineare come il legislatore italiano abbia previsto una specifica disciplina per la tratta sia in materia di criminalità organizzata, sia di responsabilità degli enti. Ed invero al comma 6 dell’art. 416 c.p. viene considerata l’associazione a delinquere rivolta alla commissione dei reati di cui agli artt. 600, 601, 601 bis e 602; l’art. 25 quinquies D.Lgs n. 231/2001 ha previsto la responsabilità amministrativa dell’ente per i reati contro la personalità individuale commessi a vantaggio o nell’interesse dell’ente stesso, da soggetti che si trovano nell’organizzazione aziendale.

Orbene un conto è leggere, analizzare e commentare le norme un altro è ascoltare le parole di chi è stata vittima di tratta, un comportamento la cui crudeltà ha dell’incredibile.

Ed invero non possiamo non manifestare il nostro sgomento e solidarietà per queste donne che non vengono trattate come esseri umani.

Donne che, come nel caso di Paola, sono anche vittime di violenza sessuale da cui nascono bambini che spesso, loro malgrado, non sono in grado di accudire perché senza lavoro, fragili e devastate da una storia di tratta e di violenza.

Author Profile

Da sempre interessata alla tematica dei diritti umani e delle persone, dopo un’esperienza presso la Prefettura di Milano – Sportello Unico dell’Immigrazione, ha iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell’ottobre 2014, è diventata Avvocato, del Foro di Milano. Si occupa di diritto civile, in prevalenza di diritto di famiglia, italiano e transnazionale, delle persone e dei minori, e di diritto dell’immigrazione.

Dal 2011 collabora con la rivista giuridica on line Diritto&Giustizia, Editore Giuffrè, su cui pubblica note a sentenza in tema di diritto di famiglia e successioni e dal 2018 pubblica note a sentenza anche sul portale online ilfamiliarista.it, Editore Giuffrè.

È socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori). Svolge docenze nei corsi di formazione e approfondimento per ordini e associazioni professionali ed enti privati, partecipando anche a progetti scolastici su temi sociali e civili.

Author Profile
Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.