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Paternità negata e paternità imposta: i due volti dell’essere padre

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Secondo gli ultimi dati ISTAT (luglio 2022) sono in continuo aumento sia le nascite fuori dal matrimonio (159.453 nel 2021, ossia 25mila in più rispetto al 2011) sia i nuclei familiari composti da un solo genitore (un nucleo su dieci nel 2022).

L’Osservatorio Smart Families – che analizza le trasformazioni delle famiglie nel tempo – parla per l’esattezza di oltre 2 milioni e mezzo di nuclei familiari monogentoriali, pari quindi al 16% di tutti i nuclei familiari, e rileva che la quasi totalità è composta da bambini e mamme single.

Questi dati servono a comprendere perché sono sempre più frequenti nei Tribunali, i procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento di paternità e perché anche la riforma Cartabia sia intervenuta a tutela dei papà riformando parzialmente il procedimento giudiziale.

I bambini nati fuori del matrimonio, infatti, possono essere riconosciuti dal padre anche se unito in matrimonio con altra persona, sia alla nascita contestualmente al riconoscimento effettuato dalla madre, sia successivamente; in tal caso, però, il riconoscimento del padre non può avvenire senza il consenso della madre che ha già effettuato il riconoscimento.

Ed è proprio qui che “nascono” i problemi poiché se la madre non esprime il consenso al riconoscimento, al papà è negato ogni diritto alla relazione con il piccolo e l’unico strumento per accertare il legame è la richiesta di accertamento del materiale biologico (Test DNA) all’interno di un procedimento giudiziario e la valutazione dell’assenza di ogni pregiudizio per il bimbo a tale riconoscimento.

Su tale ultimo problematico requisito per il riconoscimento è recentemente intervenuta la Cassazione che con l’ordinanza n. 5634/2023 depositata il 23 febbraio us, ha chiarito che “In tema di riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, il ricorso all’autorità giudiziaria, nel caso in cui l’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento rifiuti il consenso, richiede al giudice un bilanciamento tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non già il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori.”

In altri termini, gli Ermellini hanno chiarito che il riconoscimento del figlio naturale, ai sensi dell’art. 250, quarto comma, c.c., costituisce un diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, correlato alla pura e semplice attribuzione della genitorialità.”

Nel caso di specie, gli Ermellini hanno riconosciuto ad un padre manesco nei confronti della ex la possibilità di riconoscere il figlio minore, ritenendo non rilevanti gli episodi di violenza tenuto conto che l’uomo era vissuto in un ambiente in cui egli stesso aveva subito violenza, rilevando che “gli episodi di aggressione nei confronti della madre erano occasionali e intercorsi nel momento della rottura dei rapporti fra le parti e, ove fossero pur stati provati, non potevano ritenersi di tale gravità da impedire il riconoscimento del minore da parte del padre naturale”.

Ad ulteriore tutela dei papà è poi intervenuta anche la Riforma Cartabia che proprio in punto consenso al riconoscimento, ha modificato il testo dell’art. 250 c.c. prevedendo che il Giudice possa immediatamente e anche prima dell’udienza di comparizione dei genitori, assumere provvedimenti perché al bambino a al suo papà sia permesso di conoscersi e frequentarsi.

Nello specifico, la nuova formulazione dell’art. 250 c.c. prevede che il consenso della madre al riconoscimento non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l’ascolto del minore, assume eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262.

Ma che succede, invece, se è la madre a volere il riconoscimento da parte del padre, ma l’uomo si oppone?

In assenza di riconoscimento volontario, sarà necessario promuovere un giudizio per ottenere una sentenza “costitutiva”, vale a dire un provvedimento che dichiarando la paternità dell’uomo costituisce il legame genitoriale con tutte le conseguenze in punto diritti e doveri.

Presupposto di tale provvedimento, è naturalmente l’accertamento del legame biologico tramite esame del DNA, accertamento che si presume in ogni caso positivo anche in caso di negata disponibilità dell’uomo a sottoporsi al test.

A tal proposto si è recentemente pronunciata la Cassazione con l’ordinanza n. 6929/2023 depositata in data 8 marzo us, che ha ribadito l’indirizzo costante secondo il quale può essere utilizzata come prova del legame biologico il rifiuto dell’uomo a presentarsi all’esame del DNA.

Infatti in numerose pronunce della Cassazione si afferma che “il rifiuto di partecipare alla prova ematologica assume il valore di prova in senso tecnico, tale da sola a fondare la decisione del giudice ed in grado di giustificare il giudizio di superfluità di tutte le prove eventualmente dirette a dimostrare l’inesistenza del fatto provato attraverso il comportamento processuale della parte” (Cassazione 20235/2012, Cassazione 9727/2010, Cassazione 10051/2008, Cassazione 18224/2006).

Addirittura i giudici sono arrivati ad affermare che è valutabile, come elemento indiziario di convincimento, non solo il rifiuto della parte di sottoporsi alla disposta prova genetica ed ematologica (il quale è assimilabile al rifiuto di ottemperare all’ordine d’ispezione corporale di cui all’art. 118, 2c., c.p.c.), ma anche la sistematica opposizione avverso l’istanza di questo tipo di prova. (Cassazione 32308/2018).

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).