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Non vanno restituite le spese per le migliorie fatte alla casa dell’ex coniuge

(A cura dell’Avv. Angela Brancati)

Il tema delle spese sostenute in costanza di matrimonio viene con sempre maggiore frequenza portato al vaglio dei Tribunali, che si trovano a dover dirimere controversie in cui i coniugi – nel corso della separazione o del divorzio – rivendicano delle somme che ritengono a loro spettanti, una volta venuta meno la comunione di intenti e progetti familiari. Ma in che termini e quando i coniugi possono rivendicare quello che hanno precedentemente investito? È possibile chiedere la restituzione delle somme sostenute quando il progetto di vita era comune?

La vicenda portata all’attenzione della Corte di Cassazione – e oggetto del nostro approfondimento di oggi – prende le mosse dalla richiesta, da parte di una moglie separata, di vedersi restituita una somma di denaro per dei crediti maturati nei confronti del marito in costanza di matrimonio, imputabili alla comunione legale.

L’ex marito aveva “ribattuto” alla richiesta eccependo una intervenuta compensazione per altri crediti a sua volta vantati, tra cui un esborso sostenuto in prima persona e legato a una serie di migliorie effettuate all’abitazione di esclusiva proprietà della moglie.

La Cassazione, adita dopo che Tribunale di Augusta e Corte d’Appello di Catania avevano negato il diritto alla compensazione, ha però nuovamente respinto la tesi dell’uomo specificando una volta per tutte (con la sentenza n. 864/2023 del 13 gennaio 2023) che non può essere chiesta la restituzione delle somme imputabili alle migliorie apportate dal coniuge non proprietario, all’interno dell’abitazione familiare.

In particolare, nel caso di specie, dopo la separazione la moglie aveva depositato un ricorso per Decreto Ingiuntivo per ottenere il riconoscimento di un credito maturato nei confronti del marito in relazione ad alcune spese da lei interamente sostenute nel corso dell’unione matrimoniale.

Il Tribunale, considerando la pretesa fondata, aveva condannato il marito a restituirle l’importo complessivo di € 50mila. Avverso tale pronuncia aveva però proposto opposizione il marito, sulla base di una intervenuta compensazione per controcrediti il cui valore era pari a circa € 48.830.

Come anticipato, tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello, a cui l’uomo si era rivolto subito dopo, avevano rigettato le sue richieste e il marito “debitore”, a questo punto, aveva proposto ricorso per Cassazione adducendo, tra i vari motivi, anche l’illegittimità del principio (fatto proprio nella sentenza della Corte d’Appello) in forza del quale le migliorie apportate da un coniuge all’abitazione di esclusiva proprietà dell’altro coniuge non potevano essere considerate ripetibili, in quanto rientranti nei bisogni della famiglia. 

Ma gli Ermellini a tal proposito sono fermi e ribadiscono ancora una volta che “i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell’art. 143 cod. civ., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale”.

Nel caso di specie, il marito aveva contribuito ad apportare delle migliorie all’abitazione di proprietà della moglie proporzionalmente alle proprie disponibilità, e i Giudici di merito avevano opportunamente ritenuto che i lavori nell’immobile fossero stati intrapresi sulla base di una comunione di progetti (quale è quella matrimoniale) e che, pertanto, non fossero ripetibili al pari degli altri doveri coniugali rispetto ai quali avviene l’adempimento. Il ricorrente aveva, inoltre, abitato l’immobile familiare per oltre vent’anni di matrimonio usufruendo delle migliorie.

Respinto pertanto il ricorso dell’uomo, scattava la condanna a favore della moglie delle spese di causa.

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.