Il trasferimento del minore in altra città senza il consenso paterno
(a cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
I Giudici devono sempre tener presente il Best Interest of Child quando decidono sul rientro del minore alla sua residenza abituale.
Il supremo interesse del minore deve essere il principio guida allorquando il Giudice è chiamato a dover scegliere il genitore «miglior collocatario», anche se ciò incide in modo negativo sulla frequentazione quotidiana con l’altro genitore.
La minore non rientra, pertanto, in Italia nonostante la madre nelle more del procedimento avviato dal padre della minore avente ad oggetto il di lei collocamento, affido e mantenimento, avesse deciso senza autorizzazione del giudice di trasferirsi in Israele, sottraendo la figlia al suo contesto abituale di vita e di relazione quotidiana con il padre.
Nonostante la bimba avesse vissuto per i primi tre anni di vita a Roma ed il padre avesse contribuito al di lei mantenimento e alla di lei cura trattenendola anche per i pernottamenti; nonostante il Tribunale di Roma avesse disposto il divieto di espatrio e nonostante la gravità della condotta della donna che non compariva alle diverse udienze fissate neppure per spiegare al Giudice le ragioni del trasferimento in Israele, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 27142/21, depositata in data 6 ottobre 2021 dalla prima sezione civile, ha accolto il ricorso di una donna con doppia cittadinanza, francese e israeliana, madre di una bimba e annullato l’ordine di rientro a Roma della minore.
Richiamato l’art. 337 ter c.c. che stabilisce che il Giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori oppure stabilendo a quale di essi i figli sono affidati, gli Ermellini ricordano che nel valutare i genitori il Giudice non può far riferimento alle proprie opinioni in quanto le valutazioni normativamente a lui richieste non possono essere frutto di soggettivistiche sue impressioni e/o suggestioni o giudizi morali.
È ovvio che l’interesse di ogni bambino è quello di crescere con entrambi i genitori ma laddove non sia possibile il giudice deve intervenire per individuare nel concreto la ricerca della migliore soluzione di collocamento che soddisfi l’interesse morale e materiale della prole, perché ogni pronuncia giurisdizionale in tema di minori deve essere finalizzata a promuovere il benessere psicofisico del bambino e a privilegiare l’assetto di interessi più favorevole a una sua crescita e maturazione equilibrata e sana. Corollario applicativo è che i diritti degli adulti cedono dinnanzi ai diritti del fanciullo, con l’ulteriore conseguenza che essi stessi trovano tutela solo nel caso in cui questa coincida con la protezione della prole. Si potrebbe dire che i diritti degli adulti, nel settore famigliare, acquistino una portata “funzionale” alla protezione del bambino, soggetto debole della relazione e pertanto bisognoso di maggiore tutela.
Nel caso in esame, i giudici di primo e secondo grado, nel valutare il comportamento della madre, non avrebbero accertato se il trasferimento in Israele avesse a fondamento un mero “escamotage” per sottrarsi all’ordine di divieto di espatrio ovvero un vero progetto di vita tale da coinvolgere armonicamente la minore “dimenticando” l’indirizzo costate della Cassazione per il quale …il giudice non ha il potere d’imporre all’uno o all’altro genitore di rinunziare a un progetto di trasferimento, che del resto corrisponde a un diritto fondamentale costituzionalmente garantito… Nessuna norma impone di privare il genitore che intende trasferirsi, per questo solo fatto, dell’affido o del collocamento dei figli presso di sé.. in altri termini di fronte alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dai genitori separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità ad essere collocatari dei figli minoir, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario (Cass 12.5.2015 n. 9633 – vedi anche Cass. 14.9.2016 n. 18087)
Il Tribunale capitolino, infatti, disponeva che la minore fosse affidata a entrambi i genitori e ne disponeva il rientro a Roma, città dove aveva abitato durante i primi anni di vita. L’ordine di rientro veniva confermato anche dalla Corte di Appello che disponeva il mantenimento della residenza nella Capitale, che avrebbe garantito alla piccola di «riconoscere la vera paternità rimpossessandosi di quella identità che la madre voleva alienarle».
Contro tale decisione, la madre ricorreva in Cassazione ritenendo la sentenza della Corte d’Appello di Roma viziata da errore perché non avrebbe tenuto conto del supremo interesse della bambina che nella Capitale non aveva consolidato, non poteva consolidare e non avrebbe potuto consolidare in futuro una rete di affetti e relazioni, tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico (Cass. 15.11.2017 n. 27153)
Il ricorso, giunto in Cassazione, viene accolto. La prima sezione, con ampia motivazione, ritiene non rilevante la circostanza che la minore fosse residente a Roma al momento dell’instaurazione del procedimento, così come non rilevante il trasferimento della madre a Tel Aviv, « con la bambina senza chiedere l’autorizzazione al giudice, visto che non si versa nell’ipotesi in cui venga in questione la disciplina della sottrazione internazionale di minore ma in caso di controversia concernente l’individuazione del miglior collocatario, individuazione da effettuarsi nell’interesse esclusivo del minore, anche a costo che ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti col genitore non collocatario».
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