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amministratore di sostegno

Esclusa la nomina dell’amministratore di sostegno se il beneficiario può essere sostenuto dalla protezione di una rete familiare per la gestione del patrimonio

(A cura dell’Avv. Anna Rossi Scarpa Gregorj)

“Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.
(Papa Francesco)

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 21887 del 11 luglio 2022 ha statuito che deve essere esclusa la nomina dell’amministratore di sostegno finalizzata solamente alla gestione del patrimonio se il beneficiario può essere sostenuto dalla protezione di una rete familiare.

L’amministratore di sostegno è un istituto, introdotto dalla legge n. 6 del 9 gennaio 2004, disciplinato negli articoli 404 e seguenti del codice civile, a tutela delle persone che si trovino nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, pur non versando nelle condizioni previste per l’interdizione o l’inabilitazione. L’istituto dell’amministrazione di sostegno è sempre più utilizzato non solo in caso di “infermità” o “menomazione fisica o psichica” ma anche a tutela di persone che manifestano difficoltà nella gestione del denaro (i così detti “prodighi”), sono dipendenti dall’alcool, dal gioco, dal sesso e anche da stupefacenti perché la finalità di tale istituto è quella di tutelare chi si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi ma il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti per i quali non è prevista l’assistenza dell’amministratore, nonché quelli necessari alle sue esigenze quotidiane.

Nel caso di specie sottoposto alla Cassazione, il Giudice Tutelare del Tribunale di Parma aveva disposto l’amministrazione di sostegno in favore di una signora, su ricorso della sorella della stessa dopo aver accertato l’inadeguatezza della beneficiaria ad occuparsi dei propri interessi e della gestione del patrimonio ereditario indiviso e dopo aver verificato l’inerzia della signora nel prendersi cura della manutenzione ordinaria, comprensiva del pagamento delle bollette, dei beni immobili ereditari. La donna, sebbene non fosse affetta da una patologia accertata, manifestava comportamenti che portavano ad un “fondato sospetto di un’alterazione dello stato psichico formulato sia pur in via presuntiva, ma basato, in scienza e coscienza, su evidenti segni clinici di disturbo, che risulta invalidante al momento attuale, in grado di provocare un progressivo danno biologico di natura psichica nel tempo irreversibile e fonte di crescenti problemi sociali, economici e penali”. La diagnosi era stata avvalorata da una relazione medica che aveva affermato che la beneficiaria era in grado di autodeterminarsi relativamente agli atti della vita quotidiana, anche relativi all’attività professionale, ma era inadeguata sotto il profilo della gestione del patrimonio.

La signora aveva proposto reclamo alla Corte d’Appello di Bologna che confermava la misura adottata dal Giudice Tutelare dopo aver disposto una CTU sulla base della documentazione agli atti.  

Giunta la causa in Cassazione la ricorrente eccepiva l’inidoneità dello strumento dell’amministrazione di sostegno rispetto al suo caso concreto che riguardava, unicamente, la tutela del patrimonio ereditario indiviso e ribadiva la possibilità di reperire nella cerchia familiare il supporto eventualmente necessario per tale attività.

In accoglimento del ricorso della donna, la Corte di Cassazione ha affermato che: “l’Amministrazione di sostegno non può essere un rimedio alternativo per la risoluzione di conflitti endofamiliari di natura patrimoniale, che possono essere risolti agendo secondo le specifiche azioni di tutela della proprietà”.

Richiamando la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità che ha l’obiettivo di promuovere, proteggere ed assicurare alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel rispetto della dignità umana e riguarda non soltanto le persone c.d. inferme di mente, ma tutte quelle che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine, la Corte ha affermato da una parte che “la volontà contraria all’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in debito conto da parte del giudice, che deve garantire l’equilibrio della decisione, tenendo conto della necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata” e dall’altra che qualora possa essere assicurata una rete di protezione familiare, per la gestione degli aspetti più complessi del patrimonio, non serve ricorrere all’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Accolto il ricorso della donna, ora la parola passa di nuovo alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà rivalutare la situazione alla luce dei principi di cui sopra.

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