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zia costretta a togliere dai social foto dei bambini

“Sharenting”, foto di minori in rete: la zia costretta a togliere dai social foto e video dei nipoti

(a cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

ll termine “sharenting” fa riferimento alla pratica divenuta ormai consueta da parte dei genitori e dei parenti più stretti di condividere sulle piattaforme social foto e video dei propri figli e/o nipoti.  

Se in America le foto dei minori rappresentano oltre la metà delle immagini pubblicate in rete, anche in Italia sono moltissimi i genitori che postano sul loro profilo foto e filmati dei loro piccoli, spesso dimenticando che una volta online un’immagine può essere salvata e riprodotta un numero infinito di volte (anche a scopi illeciti). E che, inoltre, la pubblicazione compulsiva abitua i bambini a una sovraesposizione che può incidere negativamente – anche in modo significativo – sul loro sviluppo psicologico.

Proprio a tutela del diritto del minore alla propria immagine e identità, le leggi nazionali e internazionali richiedono che la pubblicazione di foto e video dei minori di 14 anni possa avvenire solo con il consenso di entrambi i genitori, poiché l’attività di diffusione dell’immagine non è ritenuta un atto “di ordinaria amministrazione” (che può essere quindi compiuto senza confrontarsi con l’altro genitore) ma al contrario postula il comune accordo. 

Diverso il discorso sulle immagini di ragazzi oltre i 14 anni d’età, la cui diffusione è condizionata al consenso dello stesso adolescente. Di recente il Tribunale di Chieti (sentenza n. 403/2020) ha emesso formale diffida nei confronti di due genitori divorziati, che continuavano a pubblicare sui social delle foto del figlio senza il suo consenso. 

Ma cosa succede se a violare queste norme sono dei parenti ? Valgono anche per loro le stesse regole? Fino a oggi i Tribunali italiani sono stati “impegnati” a intervenire con diffide e condanne a carico di genitori separati, rei di aver pubblicato foto dei figli senza il consenso dell’ex coniuge. Nel caso che vi presento questa volta, invece, a finire in Tribunale è stata una zia, per aver pubblicato su Facebook fotografie e video dei propri nipoti.

Con la sentenza n. 443, pubblicata il 17 ottobre 2022, il Tribunale di Rieti ha condannato infatti una donna, zia di due gemelli di 6 anni, a risarcire 5mila euro di danni al padre dei bambini, che l’aveva citata in giudizio per aver condiviso le immagini dei figli senza il suo consenso.

L’uomo, contrario all’esposizione sui social network, aveva chiesto più volte alla cognata di non pubblicare sui social foto che ritraevano la sua famiglia. La donna aveva infatti pubblicato un video e 52 foto dei nipoti, nonché sette fotografie del cognato in contesti conviviali. In quest’ultimo caso le foto erano state pubblicate sia dalla donna che da un suo amico, con tanto di tag che consentiva di risalire indirettamente ai soggetti ritratti.

Davanti alle rimostranze dell’uomo, la donna aveva rimosso le di lui fotografie e il tag ma aveva continuato imperterrita a pubblicare quelle dei nipoti: compresi degli scatti dei minori da soli, in primo piano e in costume da bagno. Il tutto con un profilo in modalità pubblica. Questa ultima circostanza – che rendeva i contenuti visibili anche al di fuori della cerchia dei contatti della donna – unita alla durata dell’esposizione (si trattava di fotografie caricate online 5 anni prima) sono state ritenute dai giudici particolarmente gravi, e hanno  determinato la condanna a un importo così ingente. 

Diffida e invito alla negoziazione assistita avevano “convinto” la zia a rimuovere anche le fotografie dei bambini, ma non il video che era invece rimasto sul profilo in modalità pubblica. Al genitore, pertanto, non era rimasto che citare in Tribunale la cognata, chiedendo la rimozione del filmato e il risarcimento dei danni non patrimoniali (ai sensi dell’art. 2059 c.c.) per le foto rimaste sul profilo più di 5 anni.

Il Tribunale di Rieti, in accoglimento delle domande del genitore, ordinava la rimozione del video e condannava la donna precisando che, anche in caso di rimozione, il risarcimento del danno va garantito quando si tratta di una lesione alla riservatezza dei minori. Il ritratto fotografico costituisce infatti un dato personale, e la sua diffusione integra una interferenza nella vita privata dei minorenni.

Tutelato è il diritto costituzionalmente rilevante all’immagine e alla riservatezza, che nel caso dei bambini gode di una salvaguardia privilegiata che trova il suo fondamento giuridico nella legge 176/1991, che ha ratificato in Italia la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (la quale all’art. 16 c.1 prevede che i minori non possano essere oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella loro vita privata, né di affronti illegali al loro onore e reputazione) nonché nell’articolo 10 del Codice civile, e nell’articolo 2 della Costituzione.

Inoltre, il Regolamento Europeo sulla Privacy dispone che: “I minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali (…)”; (Considerando n. 38 Regolamento UE 679/2016). Il medesimo Regolamento (articolo 8), come attuato in Italia (d.lgs. n. 101/2018 art. 2 quinquies), stabilisce che il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a 14 anni, come la pubblicazione di immagini, sia lecito purché il consenso venga prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale.

Non dimentichiamo poi che anche l’articolo 96 della legge 633/1941 sul diritto d’autore prevede che il ritratto di una persona non possa essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il suo consenso, fatti salvi casi particolari, e il Regolamento Ue 679/2016 (Gdpr) ha introdotto una tutela rafforzata per l’immagine del minorenne stabilendo che il dissenso di uno dei genitori ne rende illegittima la pubblicazione in fotografia.

A monte della regolamentazione giuridica si pone poi un discorso di etica e di approccio al modo di distinguere tra dimensione di vita pubblica e privata (la nostra come quella di chi ci sta accanto): se è vero che siamo ormai immersi in una cultura della condivisione, caratterizzata da tecnologie che ci fanno sentire tutti più “vicini”, è altrettanto vero che la diffusione sui social delle immagini dei minori è potenzialmente pericolosa per il numero indeterminato di persone (conosciute e non) che l’immagine stessa può raggiungere. E proprio per questo richiederebbe spesso, da parte degli adulti, comportamenti più equilibrati e responsabili di quelli messi in atto. 

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Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.

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È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).