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Diritto di visita dei nonni e decadenza dei genitori

È quanto sancito dall’articolo 317 bis del codice civile, che testualmente recita: “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore, affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma”.

La ratio cui si è ispirato il legislatore è stata quella di preservare e mantenere dei rapporti significativi tra i minori e i parenti, dando quindi la possibilità a questi ultimi di rivendicare nelle opportune sedi l’esercizio di tale diritto, ove ostacolato o negato. Da intendersi per parenti non solo gli ascendenti biologici, ma anche tutti coloro che vengano riconosciuti dai minori come figure a fianco dei nonni biologici. Tale ampliamento della portata applicativa della norma è avvenuto sulla scorta della interpretazione evolutiva dell’art. 8 della CEDU che ha ricompreso all’interno della nozione di famiglia ogni rapporto significativo, anche se non “di sangue”.

Nonostante la chiarezza della norma, tuttavia, oggi con sempre maggiore frequenza i nonni si vedono costretti a rivolgersi ai giudici minorili per veder riconosciuto il proprio diritto, ostacolato dai genitori. 

Proprio sull’argomento si sono di recente espressi i giudici di legittimità, con la sentenza 34566/2022 pubblicata il 23 novembre 2022, a seguito del ricorso depositato presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo da due nonni paterni ai quali veniva negato il diritto di visita nei confronti della nipote, a causa della controversia insorta tra i genitori. 

La madre, in particolare, riferiva che la figlia non avesse interesse a incontrare i nonni, con i quali il rapporto si era ormai interrotto da 3 anni. Nonostante le resistenze della donna, il Tribunale autorizzava la ripresa degli incontri, in uno spazio protetto e alla presenza di un soggetto terzo per un periodo di 6 mesi, incaricando l’equipe dei servizio sociali di osservare lo svolgimento degli incontri e dare relazione sul loro andamento. La madre della bambina ricorreva in Appello contro tale pronuncia, lamentando l’erronea applicazione della norma che riconosceva tale diritto in capo ai nonni, sostenendo che il Tribunale per i Minorenni non aveva posto al centro della decisione il supremo interesse della figlia, ma solo quello dei ricorrenti. La reclamante chiedeva, altresì, la sospensione del procedimento in attesa di definizione del giudizio avente per oggetto la decadenza dalla responsabilità genitoriale paterna. 

La Corte d’Appello di Palermo rigettava però il reclamo, non ritenendo rilevante e dirimente, ai fini della ripresa dei rapporti con la nipote, la definizione il parallelo giudizio che vedeva coinvolto il figlio. 

Avverso tale decreto, la madre della bambina proponeva un ricorso straordinario per Cassazione (ex art 111 Cost.). Con il primo motivo del ricorso la madre della minore desumeva la nullità del procedimento e conseguentemente la nullità del decreto emesso dai Giudici di Appello. La ricorrente lamentava in particolare che tutte le circostanze da lei stessa addotte, aventi per oggetto la mancanza di una propria responsabilità nell’interruzione del rapporti, non fossero state debitamente valutate dal Collegio. Aggiungeva, altresì, che la propria resistenza al giudizio introdotto dai nonni paterni era dettata esclusivamente dalla condotta del padre, che per anni non si era presentato agli incontri con la figlia. 

Le argomentazioni della donna, però, non apparivano ai giudici in alcun modo decisive, per svariate ragioni: la norma, nel riconoscere il diritto a favore degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti, non detta un principio incondizionato ma lascia alla discrezionalità del giudice la valutazione sull’opportunità o meno del mantenimento dei suddetti rapporti. Alla base del giudizio dovrà esserci la valutazione dell’esclusivo interesse dei minori. “La sussistenza di tale interesse – sancisce la Corte di legittimità – è configurabile quando il coinvolgimento degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per l’adempimento dei loro obblighi educativi, in modo tale da contribuire alla realizzazione di un progetto educativo e formativo volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore”.

Nel caso di specie, i giudici di legittimità rigettando il ricorso sostenevano che la Corte d’Appello aveva, in maniera corretta, basato la propria pronuncia sulla scorta del suddetto assunto: e cioè ponendo al centro della decisione e del convincimento il supremo interesse della nipote. Il Giudice di seconde cure ha, pertanto, ritenuto che le contestazioni mosse dalla madre non si fossero basate esclusivamente sulla tutela dell’interesse della figlia, ma esclusivamente sull’opposizione nei confronti dell’ex compagno. 

Rigettando il reclamo della madre, e confermando la decisione presa dal Tribunale per i Minorenni, il Collegio valutava irrilevante il comportamento paterno nel giudizio promosso dai nonni, la cui richiesta sarebbe stata “valutata capace di sortire il favorevole esito di implementare ulteriori risorse familiari a vantaggio della piccola S.”

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