SE IL PADRE HA ATTIVITA’ E IMMOBILI IL MANTENIMETO DEL FIGLIO VA AUMENTATO
(A cura dell’Avv. Cecilia Gaudenzi)
Il Giudice può decidere di aumentare il contributo mensile al mantenimento del figlio che è tenuto a versare il padre qualora quest’ultimo nonostante dichiari e rappresenti una situazione economica in costante perdita, sia proprietario di numerosi immobili e di un’attività imprenditoriale. Questo in quanto, non appare credibile che un soggetto titolare di innumerevoli beni e di un’attività di ottico che necessitano di investimenti di capitali, possa dichiarare una condizione economica “precaria” e ciò nonostante possedere auto di grande cilindrata e partire per la “settimana bianca” con il figlio.
Questo quanto sancito dalla Corte di Cassazione nella recentissima Ordinanza pubblicata il 19 marzo 2024 n. 7252/2024.
E’ purtroppo molto frequente che i Tribunali si trovino a dover emettere decisioni nei confronti di coniugi che in tutto o in parte, nascondono o comunque rappresentano in modo inesatto o incompleto la propria condizione economica, al solo fine di vedersi attribuire oneri economici meno gravosi. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha più volte ribadito come nella valutazione della condizione economica/reddituale delle parti il Giudice deve considerare non solo ciò che risulta dalla documentazione ma anche i redditi occultati valutando comportamenti dai quali desumere un tenore di vita incompatibile con quanto dichiarato.
Il caso oggi in esame ha avuto inizio avanti il Tribunale di Pescara il quale, dichiarando lo scioglimento del matrimonio di due coniugi, poneva a carico del padre un contributo al mantenimento del figlio pari ad € 200,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie. I coniugi erano ormai separati dal lontano 2013 quando con una separazione consensuale avevano previsto che il padre avrebbe contribuito al mantenimento mensile del figlio tramite il versamento alla madre di € 200,00 a cui si aggiungevano €350,00 a titolo di contributo al canone di locazione per l’immobile abitato dalla moglie e dal minore.
Avverso la sentenza di divorzio la signora ricorreva in Appello in quanto riteneva eccessivamente modesto il contributo al mantenimento del figlio.
La Corte d’Appello accoglieva le argomentazioni della madre e aumentava il contributo al mantenimento dovuto dal padre al figlio ad € 550,00 mensili oltre il 50% delle spese straordinarie dello stesso.
L’uomo appena presa visione della decisione del giudice di secondo grado ricorreva avanti la Corte di Cassazione lamentando l’incorrettezza della decisione di secondo grado. In particolare il ricorrente affermava che dalla dichiarazione dei redditi delle parti e dalla documentazione relativa ai beni immobili depositata dallo stesso, emergeva che mentre la moglie godeva di un reddito da lavoro dipendente, lui non ricavava alcun reddito ed anzi subiva unicamente perdite sia dall’attività professionale di ottico sia dagli immobili in sua proprietà, tanto che il di lui sostentamento ed il contributo al mantenimento del figlio erano affidati alle elargizioni dallo stesso ricevute da parte dei genitori. Secondo l’uomo quindi, la Corte d’Appello non avrebbe potuto ipotizzare un reddito possibile prospetticamente ricavabile dagli immobili a lui intestati. L’uomo poi lamentava il fatto che la Corte d’Appello aveva presunto erroneamente, una sua capacità reddituale più elevata dal fatto che lo stesso nel corso degli anni della separazione aveva contribuito al mantenimento del figlio tramite il versamento alla moglie di complessivi € 550,00, aveva a disposizione una vettura di grossa cilindrata, era solito fare lunghe vacanze invernali anche con il figlio e gli immobili di sua proprietà non erano messi a reddito. Secondo il ricorrente infatti, i fatti sopra menzionati erano piuttosto indice di incapacità economica in quanto finanziati dai di lui genitori.
Lette le argomentazioni del ricorrente la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile e infondato il ricorso depositato. Secondo gli Ermellini infatti, la decisione del Giudice di secondo grado era corretta in quanto dalla lettura della stessa sentenza si evinceva chiaramente che la condizione reddituale della moglie era chiara e modesta mentre quella del ricorrente era opaca viste le perdite dichiate nonostante lo svolgimento dell’attività di ottico, i numerosi immobili, l’auto di grande cilindrata e la richiesta di avere il figlio per 9 giorni per poter partire per la settimana bianca! Tali circostanze, secondo la Corte, erano state correttamente ritenute in contrasto con l’asserita mancanza di disponibilità economica, con l’accordo di separazione consensuale nonché con la richiesta avanzata dallo stesso ricorrente in primo grado di divorzio relativa a tenere con sé il figlio per un lungo periodo per poter partire per la cosiddetta settimana bianca.
Tenuto quindi conto del tenore di vita del ricorrete in netto contrasto con quanto da lui dichiarato, la Corte di Cassazione confermava quanto sancito dalla Corte d’Appello.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.
Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.