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Quando la violazione del “diritto di visita” integra reato?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

A seguito della separazione viene stabilito come e quando poter incontrare i figli per il genitore non collocatario. Il “diritto di visita” rappresenta certamente un diritto, ma anche un dovere, necessario per conservare il rapporto affettivo ed educativo con i figli, i quali devono continuare a mantenere rapporti significativi con il genitore con il quale non coabitano.

La Cassazione è recentemente intervenuta sull’argomento con due importanti sentenze.

Con la prima ha negato la particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. alla madre che aveva rifiutato ripetutamente per quattro mesi al padre la visita ai figli (Cass., n. 1933/2023).

I due genitori erano stati sposati e si erano separati consensualmente; il Giudice Civile aveva omologato l’accordo che prevedeva visite e incontri con i figli.

Tuttavia, il padre non riusciva ad esercitare il suo diritto di visita e si era dovuto rivolgere ai Servizi Sociali: la madre non si era mostrata affatto collaborativa e non aveva voluto in nessun modo trovare soluzioni alternative nell’interesse dei figli.

Secondo la Suprema Corte la particolare tenuità del fatto non può essere concessa all’imputata a causa del comportamento sistematico tenuto – mosso oltretutto da futili motivi – che dimostra la volontà di eludere il provvedimento di omologazione della separazione del Giudice.

Ed invero la donna non ha rispettato il precetto giudiziario in diverse occasioni e con svariate condotte, negando all’ex la possibilità di incontrare i figli: la “serialità” delle azioni realizzate è indicativa di una personalità che non merita la concessione della particolare tenuità del fatto.

Per quanto concerne la seconda pronuncia, gli Ermellini hanno analizzato l’elusione dei provvedimenti adottati dal Giudice civile in materia di affidamento dei minori, proprio con specifico riferimento al diritto di visita del genitore non collocatario(Cass., n. 10905/2023).

Secondo l’imputazione la ex moglie avrebbe negato all’ex marito di incontrare la figlia un solo giorno, in tal modo eludendo il provvedimento del Giudice civile contenente la disciplina dell’esercizio del diritto di visita e commettendo, dunque, il reato di cui all’art. 388 comma secondo c.p..

In base a tale norma va punito chi elude un provvedimento emesso nel procedimento di separazione personale dei coniugi o in quello di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio o un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di minori o di altre persone incapaci.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna dell’imputata, sostenendo che il reato in oggetto viene integrato anche per effetto del mero rifiuto di ottemperare all’ordine del Giudice.

Gli Ermellini hanno ritenuto, invece, fondato il ricorso per cassazione presentato dalla condannata. Ed invero secondo la Cassazione il provvedimento giudiziario non prevedeva giorni fissi in cui padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questo potesse esercitare il diritto di visita quando era libero dal lavoro.

Si trattava, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori.

L’imputata aveva, inoltre, riferito che il padre aveva domandato di vedere la figlia un determinato giorno e che lei aveva risposto chiedendo se fosse possibile differire l’incontro ad altra data per proprie esigenze lavorative.

La contestazione è stata, pertanto, mossa solo per il rifiuto dell’imputata di far vedere la figlia al padre nel giorno da quest’ultimo richiesto, sebbene avesse proposto una data diversa.

La giurisprudenza più recente si è discostata dalla tesi – sostenuta dalla Corte di Appello – secondo cui l’elusione sarebbe integrata anche dal mero rifiuto di ottemperare all’ordine del Giudice: l’inadempimento non integra il reato in esame, occorrendo che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati all’obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario.

Secondo la Suprema Corte questa soluzione risulta preferibile, perché valorizza il dato letterale della norma, che richiede una condotta elusiva e la malafede. Chiaramente tale comportamento non può equipararsi a quella del mero rifiuto dell’adempimento.

In buona sostanza, occorre che il genitore affidatario si sottragga all’obbligo di consentire l’esercizio del diritto di visita con condotte pretestuose, fraudolente o simulate oppure con l’adozione di comportamenti in concreto volti a rendere immotivatamente più difficoltosi gli incontri.

Viene richiamata un’importante sentenza delle Sezioni Unite del 2007(sent. n. 36692/2007), secondo la quale le due previsioni dell’articolo 388 c.p. garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale; quella stabilita dal secondo comma richiede una condotta elusiva che si riferisce alle condotte simulate, espressamente previste dal primo comma: se il legislatore avesse voluto incriminare solo l’inadempimento, sarebbe stato sufficiente descrivere il fatto come inosservanza del provvedimento del giudice (ad esempio previsto dagli articoli 389, 509 o 650 c.p.); invece essa considera la nozione di elusione, di per sé differente dal mero inadempimento.

Pertanto, è necessario che la mancata esecuzione del provvedimento concernente l’affidamento dei minori sia accompagnata dal compimento di atti fraudolenti o simulati, finalizzati ad evitare l’adempimento.

La Suprema Corte precisa, inoltre, come non possa configurarsi il reato in esame nel caso di un’unica occasione in cui non sia stato consentito al genitore non affidatario di tenere con sé il figlio minore; occorre, invece, una più complessa condotta di ostacolo rispetto agli incontri previsti, per effetto della quale viene impedito l’esercizio delle modalità di frequentazione tra genitori e figlio, disciplinate nel provvedimento giudiziario.

La Cassazione fornisce alcuni esempi, richiamando delle sue precedenti pronunce: il genitore affidatario che, continuando a cambiare luogo di dimora senza darne avviso al marito separato, impedisce l’esercizio del diritto di difesa dello stesso (Cass., n. 33719/2010); oppure il trasferimento con il minore a grandissima distanza, senza addurre nessuna spiegazione e dopo aver sistematicamente violato le disposizioni presidenziali sul diritto di visita (Cass., n. 43292/2013).

Gli Ermellini, ricordando la sentenza n. 14172 del 2020, precisano come il reato di cui all’art. 388 c.p. abbia natura istantanea e si consumi nel momento in cui si verifica il primo fatto con il quale il genitore affidatario elude l’esecuzione del provvedimento; tuttavia, può assumere il carattere di reato permanente, qualora la condotta elusiva delle prescrizioni abbia determinato una natura perdurante tale da poter cessare solo per volontà dell’agente.

Inoltre la ratio della norma analizzata riguarda l’esigenza di garantire l’effettività dell’attuazione della disciplina concernente l’affidamento dei minori e, pertanto, le condotte penalmente rilevanti sono quelle che inficiano il diritto di visita, considerato nella sua continuativa attuazione. Al contrario, non vanno considerate tali quelle singole, isolate e del tutto occasionali violazioni delle modalità indicate nel provvedimento del Giudice.

Tali provvedimenti forniscono un’indicazione dei tempi e delle modalità destinate a disciplinare gli incontri per un lasso temporale molto ampio e, di conseguenza, è necessario ammettere una minima tolleranza rispetto alla possibilità che si svolgano incontri in modo differente rispetto a quanto programmato.

Il reato deve essere circoscritto alle condotte idonee ad incidere negativamente sul diritto/dovere del genitore di mantenere adeguati rapporti interpersonali; singole e circoscritte violazioni, limitate nel tempo e non capaci di incidere sulla disciplina dell’affidamento – considerata nel suo complessivo esplicarsi – rileveranno solo in sede civile.

Poiché all’imputata è stato contestato un unico episodio nel quale non avrebbe consentito l’incontro tra padre e figlio, non vi è stata una violazione penalmente rilevante della disciplina dettata in sede civile in ordine al diritto di visita: il fatto non sussiste e la Corte annulla senza rinvio.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.