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Love addiction

La circonvenzione del love addicted

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

L’espressione “dipendenza Affettiva” o “Love addiction” si riferisce alla particolare situazione in cui versano quelle persone che provano un costante bisogno del/della partner, per colmare le proprie necessità emotive. 

Essa fa parte delle “nuove” dipendenze, perché presenta aspetti comuni alle varie tipologie di dipendenza, facendo esclusivo riferimento alle relazioni sentimentali: trascende la relazione amorosa, fino a varcare i limiti del rispetto della propria persona, in quanto, per evitare di perdere l’altro, si rinuncia ai propri obiettivi ed interessi. 

Infatti, le prevalenti emozioni vissute in tali rapporti sono la paura di non riuscire a vivere senza l’altro e la rabbia, perché vi è la convinzione di non poter nemmeno vivere con lo stesso. 

Colui che soffre di dipendenza affettiva non è in grado di uscire dal rapporto, pur giudicandolo “tossico”, poiché caratterizzato da uno squilibrio tra i due soggetti: uno riveste un ruolo superiore (one-up), mentre l’altro si trova in una posizione di inferiorità (one-down).

Sussiste, dunque, una forma patologica d’amore, dove un/una partner si trasforma in una sorta di droga a cui l’altrx deve attingere.

La dipendenza affettiva può far commettere degli errori di valutazione e far diventare il “love addicted” la vittima ideale di reati, come  la circonvenzione di incapaci.

Recentemente la Cassazione ha ritenuto colpevoli per tale reato due soggetti che avevano indotto una donna ad elargire loro somme di denaro, sfruttando la sua “dipendenza affettiva” (Cass., sent. n. 4592 depositata il 9 febbraio 2022).

Più precisamente, si addebitava agli imputati di avere, in concorso fra loro con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusato dello stato di deficienza psichica di una donna, inducendola a compiere diversi atti dispositivi con effetti per lei pregiudizievoli. 

Occorre, innanzitutto, ricordare che l’art. 643 c.p. punisce con la reclusione da due a sei anni e la multa da 206 a 2.065 euro, chiunque per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso.

Il bene giuridico tutelato dalla norma citata consiste sia nella libertà di autodeterminazione del soggetto debole, che nella sua integrità patrimoniale.

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte gli imputati si erano difesi, sostenendo che la patologia della vittima non fosse riconoscibile all’esterno e, quindi, che avessero agito in totale buona fede. E tale difesa era basata su di un orientamento giurisprudenziale in base al quale, per poter ritenere integrata la circonvenzione di incapaci, è necessaria l’oggettiva riconoscibilità della minorata capacità della persona offesa, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti. In buona sostanza, lo stato di deficienza psichica sarebbe una condizione del soggetto passivo che deve sussistere in termini oggettivi.

Nella sentenza sopra citata la Cassazione, in primo luogo, sottolinea che secondo consolidata giurisprudenza ai fini della configurabilità del reato di circonvenzione di persone incapaci sono necessarie le seguenti condizioni: l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente, in cui quest’ultimo abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima, che, in ragione di specifiche situazioni concrete, sia incapace di opporre alcuna resistenza per l’assenza o la diminuzione della capacità critica; l’induzione a compiere un atto che importi per il soggetto passivo o per altri qualsiasi effetto giuridico dannoso; l’abuso dello stato di vulnerabilità che si verifica quando l’agente, consapevole di detto stato, ne sfrutti la debolezza per procurare a sé o ad altri un profitto; infine, l’oggettiva riconoscibilità della minorata capacità, in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti.


In secondo luogo, gli Ermellini ricordano che lo stato di deficienza psichica, quale elemento costitutivo del reato in esame, è una condizione che deve sussistere in termini obiettivi, in modo che chiunque possa abusarne per procurare a sé o ad altri un profitto. 

Pertanto, se la deficienza psichica viene riconosciuta non per le oggettive condizioni del soggetto passivo, ma “per il raffronto con persone dotate di maggiore capacità psichica e di notevole potere di persuasione e di suggestione, viene necessariamente a mancare il presupposto del fatto costituente reato”.

Orbene, dopo aver svolto queste premesse, i Giudici Supremi rilevano come non sia necessario che la situazione di deficienza psichica della vittima sia oltre che oggettiva, anche riconoscibile ictu oculi da parte di tutti coloro che vengono in contatto con la persona offesa; è sufficiente che sia apprezzabile da parte di quella cerchia di persone che instaurano con la stessa una “relazione significativa ed abbiano la possibilità di apprezzarne la debolezza cognitiva o affettiva che costituisce uno dei presupposti del reato in modo che chiunque possa abusarne per i propri fini illeciti”.

In particolare, la consapevolezza dello stato di fragilità – desumibile anche dalla particolare arrendevolezza del soggetto circonvenuto – deve sussistere solo in capo all’autore del reato.

Nel caso sottoposto alla Cassazione i testimoni avevano sottolineato la debole personalità e la significativa vulnerabilità della persona offesa, che mostrava “dipendenza affettiva” nei confronti degli imputati, che avevano rivestito un ruolo importante nella sua vita. Inoltre, la fragilità cognitiva della persona offesa era certamente apprezzabile da chi entrava con la donna in “un contatto più personale”. 

La Corte d’Appello – secondo la Cassazione – aveva correttamente applicato la giurisprudenza di legittimità: dando atto della difficoltà di rilevare la fragilità psichica della vittima, aveva giustamente osservato che la sua riconoscibilità da parte di terzi non va intesa in senso assoluto, cioè da parte di qualunque estraneo, ma come una condizione personale apprezzabile da chi instauri con la persona offesa una relazione significativa.

E la tale condizione, unitamente al requisito dell’induzione, sono necessari per l’integrazione dei requisiti oggettivi e soggettivi del reato di circonvenzione di incapace.

In merito alla dipendenza affettiva, la sentenza in esame sottolinea come sia una minorazione psichica tale da inficiare la capacità di autodeterminazione della vittima. 

Come è ben noto, il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione e pressione.

In passato la Cassazione aveva osservato che lo stress – causato dalla tragica morte di un figlio e dalla successiva separazione dal marito -configura “un’insicurezza e fragilità emotiva” e se si approfitta di questo status, sfruttando abilmente la persona offesa, usando la sua condizione di “fiduciosa dipendenza”, per impartire strategicamente istruzioni rivolte ad ottenere vantaggi patrimoniali, sussiste il reato di circonvenzione di incapaci (Cass., n. 9249/2013).

Con la recente sentenza, la dipendenza affettiva è divenuta “minorata capacità psichica” e, pertanto, chi ne approfitta per ottenere vantaggi patrimoniali, deve rispondere di circonvenzione ai sensi dell’art. 643 c.p..

Author Profile
Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.