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PERDE L’AFFIDO IL PAPA’ CHE PROMETTE, PROMETTE E NON MANTIENE

(A cura della Dottoressa Elisa Cazzaniga)

L’approfondimento odierno si concentra sulla sentenza n. 213/2024 con la quale i Giudici della Corte di Appello di Torino sono tornati a ribadire che “con la separazione dei coniugi il figlio minore deve essere affidato a uno dei genitori, che in caso di contrasto deciderà da solo quantomeno sulle questioni scolastiche e sanitarie, laddove le criticità genitoriali dell’altro sono state rilevate dai servizi sociali del Comune e ostacolano lo sviluppo delle relazioni con il minore”. 

Per comprendere le motivazioni per cui i Giudice di secondo grado hanno modificato la sentenza di primo grado disponendo l’affidamento esclusivo del minore alla madre, è necessario partire dall’inizio della vicenda.

Dopo qualche anno di matrimonio e dopo la nascita di un figlio, la moglie presentava ricorso per separazione e, alla luce del parziale accordo raggiunto dai coniugi, il Tribunale nel pronunciare la separazione, affidava il minore ad entrambi i genitori collocandolo presso la madre  – a cui di conseguenza assegnava la casa familiare – e predisponendo un calendario di visita del padre per il caso di mancato accordo tra i genitori, Il Tribunale, inoltre, confermava la presa in carico del nucleo e del minore da parte del Servizio Sociale e della NPI, con espressa autorizzazione ad introdurre gradualmente i pernotti presso il padre; invitava i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare e poneva a carico del padre l’onere di contribuire al mantenimento del figlio mediante il versamento di un importo pari ad € 300,00 mensili oltre il 50% delle spese straordinarie.

La moglie impugnava tale decisione avanti la Corte di Appello di Torino chiedendo la riforma del regime di affidamento del figlio e della disciplina dei tempi di permanenza del minore presso il padre, oltre che per le spese di lite. Il marito si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.

Quanto alle questioni demandate alla Corte, il Tribunale aveva argomentato ritenendo sussistente una situazione di conflittualità tra i genitori anche in merito all’educazione, che tuttavia non era grave al punto da affidare il minore ad uno solo dei genitori. In merito al diritto di visita il Tribunale aveva previsto un regime di visita strutturato nell’ottica di un’effettiva bigenitorialità pur alla luce delle difficoltà paterne nella relazione con il figlio e considerato che il minore mai aveva pernottato presso il padre. Al fine di aiutare i genitori nella propria relazione, il Giudice di primo grado aveva confermato l’incarico al Servizio Sociale territorialmente competente e alla NPI che aveva in cura il minore per l’attivazione anche di tutti i servizi nel di lui interesse.

In particolare, la donna appellava la decisione del Tribunale deducendo l’errata valutazione delle risultanze istruttorie e ritenendo che nel corso del giudizio di primo grado era stata provata l’inidoneità genitoriale del padre e il di lui disinteresse nei confronti del figlio. La donna deduceva inoltre che dalle relazioni della NPI emergeva che il bambino voleva cambiare cognome da quello paterno a quello materno e che nelle poche occasioni in cui si era recato dal padre il minore era poi tornato a casa poco sereno con episodi di incontinenza diurna e aveva riferito di un padre assente, che non lo aiutava con i compiti, che dormiva sempre e che viveva in un ambiente poco pulito.

La Corte di Appello torinese riteneva fondato l’appello poiché dalle risultanze istruttorie del primo grado e dalle relazioni del Servizio Sociale e della NPI emergeva l’incapacità del padre di mantenere un rapporto costante con il figlio e di intraprendere percorsi di sostegno finalizzati alla presa di coscienza delle proprie criticità e al miglioramento della relazione con la moglie. Il Servizio Sociale, in particolare, aveva riferito che nei tre anni di presa in carico il padre era rimasto immobile sulle sue posizioni e si era dimostrato una persona esclusivamente concentrata su sé stessa con una grande difficoltà quanto alla voglia e alla capacità di frequentare il figlio. L’uomo, inoltre, non aveva compreso che “stare con il figlio non significava “fare delle cose” ma provare a conoscerlo realmente, a sintonizzarsi su di lui”e che per tale motivo demandava alla madre e alla di lei famiglia le principali decisioni.

Era inoltre emerso che il minore, nel corso degli incontri con la propria psicologa, aveva manifestato sofferenza poiché percepiva il disinteresse del padre nei suoi confronti e poiché aveva paura di stare nuovamente male dato che il padre più volte aveva tradito la sua fiducia.

Per tali motivi dunque, appurata l’inadeguatezza genitoriale del padre e le drammatiche conseguenze per il minore derivanti dall’egocentrismo ed egoismo paterno, la Corte di Appello di Torino accoglieva l’appello della donna e riformava la decisione di primo grado affidando il minore in via esclusiva alla madre.

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