NON BASTA UNA NUOVA RELAZIONE PER LA REVOCA DELL’ASSEGNO DIVORZILE
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
Ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza “more uxorio” instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno.
Questo il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27043 del 18 ottobre 2024.
Il caso di specie prende le mosse dal decreto della Corte di Appello di Roma, che in parziale accoglimento del reclamo promosso dalla ex moglie avverso il decreto del Tribunale di Velletri che le revocava l’assegno divorzile, riduceva l’assegno ad € 500,00.
Avverso il suddetto decreto l’ex marito proponeva ricorso per cassazione.
Il ricorrente deduceva, con il primo motivo, che la Corte di merito, dopo aver correttamente ritenuto che costituisse un fatto nuovo la relazione more uxorio della ex moglie, aveva valorizzato solo la mancanza di coabitazione per escludere che vi fosse una famiglia di fatto e stabile convivenza more uxorio con progetto di vita e comunanza di affetti.
Con il secondo motivo lamentava la mancata valutazione dei plurimi elementi indiziari a dimostrazione della famiglia di fatto.
Con il terzo motivo lamentava la violazione del principio di non contestazione, rilevando che la relazione dell’ex moglie risaliva al 2010. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale correttamente aveva accolto il suo ricorso, revocando l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, sul rilievo che quest’ultima non aveva adeguatamente contestato, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., la relazione stabile more uxorio che ella intratteneva ed anzi aveva dedotto nei propri scritti difensivi che tale relazione non era un fatto nuovo e sopravvenuto ed aveva peraltro chiesto di provare che il nuovo compagno le versava mensilmente la somma di € 600/700. Il Tribunale aveva quindi sostenuto che, poiché l’ex moglie aveva una stabile relazione sentimentale con un nuovo compagno, oramai da 5 anni, tanto da consentirle di ottenere prestiti mensili da parte di quest’ultimo, fosse stato reciso e definitivamente cessato il rapporto post-matrimoniale con il ricorrente, con il conseguente venir meno dei doveri di solidarietà, a nulla rilevando la mancanza di coabitazione.
La Suprema Corte esamina congiuntamente i motivi per la loro stretta connessione e li dichiara tutti inammissibili.
Nelle motivazioni si legge che secondo il più recente orientamento della Corte l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo, e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa. Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.
E’ stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiato con il nuovo partner dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno. Il Giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale.
La coabitazione, dunque, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729 c.c.
Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.
Nel caso di specie, gli Ermellini ritengono che la Corte d’appello si sia attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua ha accertato che gli elementi emersi non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto.
Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente alle spese.
Al centro del nostro lavoro c’è la persona. Studio Legale Di Nella è specializzato nel Diritto delle Famiglie, Diritto Internazionale della Famiglia, Diritto Collaborativo, Diritto della Persona, Diritto dei Minori, Diritto Penale Minorile, Sottrazioni internazionali dei Minori, Diritto delle Successioni e Donazioni e Diritto dell’Immigrazione.
Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.