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Mediazione familiare: un percorso per i genitori o anche per i figli?

“La mediazione familiare permette ai genitori di fare ai figli un grande dono: prendersi cura del legame genitoriale”

(F. Anzini, mediatrice familiare).

La separazione e/o il divorzio dei propri genitori sono la causa più frequente degli stati depressivi infantili, poiché l’esposizione dei figli alla crisi coniugale è stata valutata avere una durata media di almeno un anno. 

Spettatori passivi delle discussioni che coinvolgono i genitori, o protagonisti loro malgrado del conflitto perché chiamati in causa dai genitori stessi, in ogni caso i figli si trovano a dover affrontare uno degli eventi più stressanti della loro vita senza poter avere “voce in capitolo”. 

Per questo motivo, molti Mediatori familiari scelgono di rendere partecipi del percorso anche i minori, proprio per consentire loro di dare voce ai propri desideri, alle preoccupazioni, alle paure, partecipando in questo modo alla formulazione dell’accordo con il padre e la madre. Il clima neutrale, che sta alla base del setting mediativo, permette loro da un lato una migliore identificazione di sé in quanto figli (diventando protagonisti delle vicende che li riguardano e non più “pedine” di decisioni altrui), dall’altra consente ai genitori di essere aiutati a comprendere più a fondo i bisogni, gli interessi, le preferenze e soprattutto le emozioni dei figli stessi, così da garantire loro uno spazio e un tempo personali.

È scontato che i minori debbano sentirsi liberi di parlare senza timore di subire ripercussioni o di ferire l’uno o l’altro genitore, e devono pertanto essere rassicurati con chiarezza dal mediatore sul fatto che parleranno solo se vorranno farlo, che saranno ascoltati ma non interrogati, e che non verrà richiesto loro di prendere decisioni difficili o assumersi gravose responsabilità.

La possibilità che viene data al minore di avere uno spazio neutro in cui potersi “liberare” dal peso delle emozioni negative, gli permette di fare chiarezza sull’esperienza della separazione/divorzio dei propri genitori, ricca di risvolti complessi e talvolta ambigui. Al contrario, escludere il minore dal processo di mediazione potrebbe rappresentare per quest’ultimo un segnale di marginalizzazione, di impossibilità di essere capito o, ancora peggio, di non essere sufficientemente importante per la mamma e il papà. Del resto un accordo che non tenga conto dei bisogni e desideri di tutta la famiglia, e particolarmente dei figli, difficilmente potrà essere un accordo soddisfacente e duraturo.

Il coinvolgimento del minore nel processo mediativo è basato sul presupposto che in realtà nella figura genitoriale convivono due aspetti contrapposti: i genitori sono sì coloro che meglio dovrebbero conoscere le peculiarità dei figli, ma in un contesto conflittuale spesso trovano complicato ascoltarli con attenzione e tendono ad attribuir loro la propria prospettiva. Ciò non toglie che la scelta di far partecipare il minore agli incontri con il mediatore implichi inevitabilmente una valutazione/confronto tra i rischi e i benefici.

Secondo la nota mediatrice familiare Lisa Parkinson, i rischi sono quelli di :

coinvolgere troppo il figlio nella conflittualità genitoriale, creandogli turbamento

  • sottoporre il figlio a una eccessiva pressione nell’esprimere i propri punti di vista e i propri sentimenti
  • esercitare pressioni sul figlio, istruendolo su cosa dire al mediatore.

Viceversa, tra i benefici per i figli possiamo evidenziare: 

  • una più semplice adattabilità alla situazione di crisi, perché il minore può essere in grado di meglio focalizzare le decisioni prese
  • il sentirsi trattati con rispetto e considerazione nel momento in cui esprimono i propri punti di vista e sentimenti

– la possibilità di contribuire con domande e commenti alle scelte da prendere, facilitando così la comunicazione con (e tra) i genitori.

Va detto altresì che tra gli organismi di mediazione vi sono quelli che non credono necessaria la partecipazione diretta del minore, sottolineandone principalmente gli aspetti negativi e le possibili ripercussioni sui figli. Partendo dal presupposto che il conflitto riguardi i genitori e che, quindi, spetti solo a loro occuparsi di “ridisegnare” la relazione familiare, molti mediatori escludono dal percorso i figli avendo timore di far ricadere su di loro il peso e la responsabilità delle decisioni che li riguardano, con la drammatica conseguenza di acuire un disagio già in atto.

A questo proposito va sottolineato che se da un lato è fuor di dubbio che, nel caso non fosse gestita con grande attenzione, una partecipazione attiva del minore nell’iter separativo potrebbe risultare per lui deleteria (perché si troverebbe a prender parte alle dinamiche conflittuali dei genitori), dall’altro appare utopico pensare che una coppia che sta attraversando la crisi di una separazione in atto sia sufficientemente “lucida” da riuscire a proteggere completamente i figli dagli effetti negativi del conflitto: non è lasciando all’oscuro il bambino su quanto gli stia accadendo attorno che si può garantire la sua serenità, ma è necessario che il coinvolgimento venga gestito con gli strumenti più idonei. Solo così potrà costituire un’opportunità per renderlo partecipe in modo più protetto e meno dannoso di quanto finirebbe probabilmente per succedere. Sulla base di questa duplice lettura, è importante quindi che il mediatore – in collaborazione con i genitori – svolga un’attenta valutazione che, tenendo conto anche dell’età dei figli, evidenzi rischi e benefici del coinvolgimento e ne chiarisca prima di tutto gli obiettivi: lo scopo principale deve restare sempre quello di aiutare i minori, non gli adulti.

Se al termine di un’approfondita riflessione, la scelta di dare voce al figlio all’interno della mediazione venisse considerata da tutti la migliore alternativa, è essenziale che l’incontro venga adeguatamente pianificato e che il mediatore venga informato di ogni aspetto necessario a poter leggere e comprendere, nelle parole del bambino, i suoi reali sentimenti. L’interesse del minore, così, sarà realmente il principio fondamentale da salvaguardare in tutte le fasi e procedure che lo vedono coinvolto, nelle quali egli rappresenterà un centro autonomo di interessi meritevoli di tutela. 

(a cura della Dott.ssa Giulia Meneghelli)

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