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Matrimoni senza sesso: quando il rifiuto del coniuge è tollerato dalla legge e quando invece è violazione di un dovere matrimoniale ?

(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)

Se è vero che stiamo vivendo un tempo fortemente sessualizzato, dove il sesso può essere facilmente accessibile, è altrettanto vero che è in aumento il numero di coppie nelle quali la sessualità non riveste alcun ruolo: sono i così detti “matrimoni bianchi”.

 Per “matrimonio bianco” si intende una relazione coniugale priva di rapporti sessuali completi: entrano in tale definizione sia i matrimoni non consumati sia quelli che per differenti ragioni – dopo un iniziale periodo di passione – proseguono da diversi anni senza sesso.

Il fenomeno – già di grandi dimensioni nel 2018 (i dati parlavano di un fenomeno che avrebbe interessato il 30% delle coppie coniugate) – è sempre più in aumento e la mancanza di interesse alla sessualità non è soltanto riconducibile alle donne: ansia da prestazione? preoccupazioni per il futuro? sesso in chat più appagante? E’ un dato di fatto, però, che sempre più spesso molte mie clienti mi riportano la loro forte frustrazione perché i loro uomini si negano, accusando “mal di testa”.

Alcuni uomini negano alla partener ogni rapporto fisico perché non desiderano avere figli, ma ci sono anche uomini che non sono minimamente interessati all’atto sessuale.

Ma la mancanza di una vita sessuale, a qualsiasi motivazione sia riconducibile, non ha solo conseguenze sul piano affettivo ma può avere anche giuridiche allorquando tale scelta non è condivisa da entrambi i coniugi ovvero l’impossibilità ad avere rapporti non è stata comunicata all’altro coniuge prima del matrimonio.

Con il matrimonio, infatti, nascono una serie di diritti ed obblighi reciproci tra i coniugi disciplinati dall’art. 143 c.c. e tra questi vi è il dovere di assistenza morale dell’uno verso l’altra.

Tra i doveri di assistenza morale rientra proprio quello di avere rapporti sessuali con il coniuge e a conferma che anche il legislatore del 1970 ( anno nel quale è stato introdotto la Legge sul Divorzio, L. n. 898/1970) riteneva che l’amore di una coppia è fatto anche di intimità, di passione, di voglia di vicinanza, di appartenenza e di desiderio sessuale, l’art. 3 lett. f) annovera, tra le cause di scioglimento diretto del vincolo, proprio l’ipotesi della mancata consumazione del rapporto coniugale.

La mancata consumazione del rapporto coniugale con atto sessuale completo è, infatti, causa legittima per richiedere ed ottenere direttamente una sentenza di divorzio senza prima “passare” dalla separazione ovvero per chiedere all’annullamento del matrimonio concordatario avanti la Sacra Rota.

Allorquando, invece, il rifiuto di avere rapporti sessuali con l’altro coniuge si manifesta nel corso del matrimonio, tale comportamento può sicuramente costituire motivo per chiedere la separazione coniugale e, in certi casi, può fondare anche la richiesta di addebito.

I giudici hanno affrontato molte volte la questione dei c.d. “matrimoni bianchi”, affermando che la mancanza di un’intesa sessuale “serena ed appagante”, come anche il mancato accordo tra i coniugi sui rapporti, sulla tipologia e sulla frequenza degli stessi, legittima, inficiando la comunione materiale e spirituale tra gli interessati, la domanda di separazione, in quanto, ove debitamente comprovato, costituisce elemento che prova la carenza di legami tra i coniugi e l’intollerabilità della convivenza (Cass. n. 8773/2012; n. 17056/2007), potendo anche costituire causa di addebito, laddove sussista una “colpa” da parte di uno dei due coniugi che preclude all’altro la possibilità di soddisfare i propri bisogni sessuali opponendo un ingiustificato e persistente rifiuto ad intrattenere rapporti e violando così uno degli obblighi di assistenza morale previsti dal matrimonio.

Recentemente il Tribunale di Torino ha, invece, respinto la domanda di addebito di una donna nei confronti del marito accusato di essere impotente poiché era emerso che la difficoltà dell’uomo ad avere rapporti era circostanza conosciuta dalla donna anche prima della celebrazione del matrimonio (Trib. Torino, sent. n. 150 del 15.01.2021).

Diverso invece, quando l’astensione dai rapporti sessuali tra coniugi è espressione di un totale rifiuto, disinteresse o addirittura di “repulsione” di un partner nei confronti dell’altro, costituendo chiaro sintomo della mancanza di comunione di affetti e potendo dar luogo all’addebito della separazione, in quanto espressa violazione delle obbligazioni derivanti dal matrimonio.

Secondo la Cassazione (Cass. n. 19112/2012) “il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner – configura e integra violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’articolo 143 cod. civ., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale e costituisce causa di addebito della separazione”.

Naturalmente ai fini dell’addebito dovrà essere dimostrato che il comportamento del partner è stato la causa scatenante della crisi della coppia e non la conseguenza di una crisi già in atto. La quasi totalità di coppie che arriva alla decisione di separarsi, infatti, riferisce di non avere da diversi anni rapporti sessuali, come naturale conseguenza di una crisi di coppia già in atto.

Tale principio, infatti, è stato nuovamente ribadito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 4623 del 15.02.2019 che prende avvio dalla richiesta di addebito di un marito nei confronti di una moglie che a suo dire aveva rifiutato di avere rapporti sessuali e si era allontanata da casa.

La relativa domanda era già stata rigettata in prima istanza dal Tribunale e anche dalla Corte d’Appello ma il coniuge soccombente ricorreva in Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale avesse commesso, nel valutare i fatti, alcuni “errori di percezione” ed abbia omesso di esaminare un fatto decisivo ai fini del decidere: il rifiuto della moglie di avere rapporti sessuali con il coniuge.

Anche la Cassazione, però, pur dando per certa la circostanza dell’abbandono della casa coniugale e il rifiuto della moglie di intrattenere rapporti intimi col marito, riconduceva tali comportamenti al “clima di tensione esistente da anni nei rapporti con il marito”, e “all’opprimente atmosfera instaurata a casa dal marito, atmosfera che certo non poteva agevolare una normale vita di coppia”.

La Corte di legittimità dichiarava quindi inammissibile il ricorso avanzato dal marito e lo condannava al pagamento delle spese di causa.

Author Profile

È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).