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Il rifiuto di un’offerta lavorativa può determinare la revoca dell’assegno divorzile.

(A cura dell’Avv. Angela Brancati )

In tema di riconoscimento dell’assegno divorzile, la Corte di Cassazione è tornata con la sentenza n. 2684/2023 pubblicata lo scorso 30 gennaio 2023.

La vicenda traeva origine da un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio, all’esito del quale all’ex moglie veniva revocato il diritto alla percezione dell’assegno divorzile così come concordato dagli ex coniugi in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La ex moglie vedendosi revocato tale diritto, impugnava il decreto reso dal giudice di primo grado dinanzi la Corte d’Appello di Ancona che riformava parzialmente la pronuncia, considerando non provata da parte dell’onerato la circostanza secondo la quale l’ex moglie aveva intessuto una nuova relazione, che aveva dato vita ad una convivenza con l’attuale compagno.

La Corte d’Appello aveva, infatti, ritenuto priva dei connotati della stabilità e della continuità la convivenza.

Il giudice inoltre, nel riformare la pronuncia aveva considerato irrilevante ai fini della revoca dell’assegno divorzile, l’offerta lavorativa e una polizia assicurativa ricevute dall’ex moglie beneficiaria dell’assegno.

L’offerta secondo quanto sostenuto dalla Corte d’Appello appariva del tutto strumentale rispetto alla finalità di non corrispondere più l’assegno e il rifiuto da parte della donna coerente rispetto alle originarie condizioni di divorzio. Alla luce di queste ultime, infatti, veniva espressamente pattuito dai coniugi come l’assegno avrebbe potuto subire una rivisitazione parziale nell’ammontare, nell’ipotesi in cui alla moglie sarebbe stato offerto un contratto di lavoro part-time con una retribuzione superiore ad euro 1.000,00.

Avverso tale decreto proponeva ricorso per Cassazione l’uomo sulla base della errata valutazione compiuta dal giudice di seconde cure circa la stabilità e la continuità della nuova convivenza “palesata stabilmente e pubblicamente”.

La Corte, sosteneva il ricorrente, aveva tralasciato di valutare alcuni profili emersi nel corso del giudizio e mai contestati tra cui “risvolto pubblico della relazione risalente al 2014, accesso in via autonoma del P. All’abitazione della V, condivisione delle ricorrenze e spese comuni, passioni sportive comuni”.

L’ex marito a sostegno del proprio ricorso adduceva poi la non considerata valutazione dell’offerta lavorativa e della polizza assicurativa funzionale all’apertura di una pensione integrativa nei confronti della moglie.

La Corte di Cassazione nell’analizzare i motivi del ricorso, in prima battuta quanto alla nuova e stabile convivenza, reputava il motivo del ricorso infondato, sulla scorta dell’interpretazione fornita sul tema delle Sezioni Unite.

Queste ultime, invero, avevano già chiarito che la stabile convivenza non era da considerarsi di per sé quale motivo idoneo ad escludere il diritto a percepire l’assegno divorzile e ciò sulla base della componente perequativo-compensativa che è propria dell’assegno. Chiarivano gli Ermellini, come il coniuge debole, infatti, nel fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della rinuncia alle occasioni lavorative e di crescita professionale, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge ha sempre diritto a ricevere l’assegno divorzile, anche laddove inizi una stabile e nuova convivenza.

La nuova e stabile convivenza, da cui ne discende la costituzione di una nuova formazione sociale familiare, laddove provata da parte dell’onerato, ha sostenuto la Cassazione, può nel caso dare vita ad una rimodulazione dell’assegno divorzile.

Tale circostanza, tuttavia, non veniva adeguatamente presa in considerazione dalla Corte d’Appello, che escludeva sulla base di solo alcuni degli elementi probatori l’esistenza di una stabile e continua convivenza.

Quanto, infine, all’offerta lavorativa rifiutata dalla resistente e ritenuta quale elemento non dirimente ai fini della revoca dell’assegno divorzile dalla Corte d’Appello, gli Ermellini hanno sostenuto come il giudice di seconde cure sia incorso in errore nel considerare meramente strumentale la proposta lavorativa così come addotta dall’ex marito ai fini del mancato riconoscimento dell’assegno.

La Corte di Cassazione ha precisato, invero, come la Corte d’Appello avrebbe dovuto compiutamente verificare la serietà e la stabilità del datore di lavoro e l’effettività e non aleatorietà del posto offerto.

Nel caso di specie a fronte di un assegno divorzile annuo pari ad euro 48 mila, la donna avrebbe dovuto accettare una proposta di lavoro seria e reale, oltre che confacente con la propria formazione professionale, che le avrebbe garantito un reddito annuo lordo pari ad euro 34 mila.

L’accettazione dell’offerta lavorativa, infatti, sarebbe stata dettata da quel rispetto dei doveri post coniugali che trovano fondamento nei principi di autodeterminazione e autoresponsabilità per entrambi gli ex coniugi.

Per i motivi di cui sopra, non avendo il giudice di seconde cure vagliato l’esistenza di elementi volti anche solo ad una rivisitazione quanto all’ammontare dell’assegno divorzile tra cui la serietà dell’offerta lavorativa ricevuta dalla donna, la Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona.

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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.