Il partner dell’unione civile ha diritto al mantenimento secondo i criteri dell’assegno divorzile
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
A seguito dello scioglimento dell’unione civile, il partner più debole ha diritto a percepire un assegno di mantenimento? La risposta è si, ed a stabilirlo è la legge del 20 maggio 2016, n. 76 anche detta legge Cirinnà ove ai sensi dell’art. 1 comma 25 sancisce espressamente che si applicano in quanto compatibili le disposizioni sull’assegno divorzile.
La Corte di Cassazione sul punto è nuovamente intervenuta con la pronuncia 24930/2024 chiarendo che in caso di unioni civili, all’assegno corrisposto da un partner a favore dell’altro “deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa”.
Gli Ermellini hanno, infatti, chiarito che in materia di unioni civili trova applicazione l’art. 5, comma 6, della legge divorzile, richiamato dall’art. 1 comma 25 della legge 76/2016, ove venivano indicati gli elementi per la somministrazione dell’assegno divorzile. All’assegno anche nel caso delle unioni civile dovrà, pertanto, riconoscersi natura assistenziale oltre che compensativa e perequativa, richiedendosi un’analisi circa l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex partner richiedente unitamente all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Il giudizio dovrà poi dovuto basarsi al pari dell’assegno divorzile su di una comparazione delle condizioni economiche patrimoniali delle parti anche in considerazione del contributo che ciascuno ha offerto all’interno della famiglia, del contributo che ciascuno ha offerto per la formazione del patrimonio comune, oltre che della durata del matrimonio e dell’età del richiedente.
Nel caso di specie, oggi in esame tuttavia, la pronuncia della Corte di Cassazione giungeva all’esito di un giudizio in cui l’assegno non veniva riconosciuto alla donna istante.
In particolare, la vicenda traeva origine da un giudizio avente ad oggetto lo scioglimento dell’unione civile, nell’ambito del quale nel corso del procedimento dinanzi il Tribunale di Pisa veniva riconosciuto un contributo mensile al mantenimento nella misura di €100,00 a favore di una delle due donne.
Avverso tale pronuncia la donna beneficiaria dell’assegno proponeva appello principale chiedendone un aumento, mentre la donna obbligata viceversa proponeva appello incidentale con cui ne chiedeva la revoca, essendo quest’ultima priva di attività lavorativa e di diversi introiti. La Corte d’Appello di Firenze accoglieva l’appello incidentale e per l’effetto revocava la precedente statuizione in punto di assegno mensile da versarsi a favore della ex partner.
Anche avverso tale decisione la donna, originariamente beneficiaria dell’assegno, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando con il primo motivo di ricorso la nullità della sentenza e del procedimento per avere la Corte d’Appello di Firenze omesso l’esame di fatti decisivi ai fini della pronuncia, rappresentati dagli eventi occorsi all’indomani della fine del primo matrimonio eterosessuale e prima dell’unione civile. La Corte territoriale, infatti, secondo la donna non aveva ritenuto dirimenti le vicende familiari che avevano caratterizzato il primo matrimonio eterosessuale dal quale erano nate tre figlie, una delle quali convivente con la madre e la compagna con cui aveva iniziato successivamente la relazione. Si doleva altresì di come non si fosse tenuto conto della sua condizione di inabilità al lavoro.
La Corte di Cassazione riteneva tuttavia il primo motivo inammissibile chiarendo che in materia di violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorso non poteva fondarsi su una erronea valutazione del materiale probatorio ad opera del giudice di merito.
L’intervento dei giudici di legittimità si giustificava solo qualora il primo giudice avesse posto alla base della propria pronuncia prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio oltre i limiti stabiliti dalla legge.
Nel caso di specie il motivo esposto dalla ricorrente si basava su un apprezzamento di merito, inammissibile in sede di ricorso per Cassazione.
Con il secondo motivo, sempre la medesima donna lamentava la nullità della sentenza, nella parte in cui la Corte territoriale aveva considerato assenti le prove volte a sostenere che fosse proprio la convenuta il soggetto economicamente più forte all’interno della coppia e che avrebbe dovuto, a parere della donna, considerarsi fondante ai fini dell’assegno di mantenimento. La Corte non aveva correttamente confrontato le condizioni economiche delle due unite civilmente, senza peraltro considerare che la resistente godeva di un lavoro oltre che di un immobile di sua esclusiva proprietà, a differenza della ricorrente che godeva esclusivamente di una pensione di invalidità.
Nel caso di specie ritenevano gli Ermellini che la Corte d’Appello si fosse adeguatamente attenuta ai criteri legislativi e giurisprudenziali, non riscontrando nessuna delle circostanze richieste che avrebbero quindi legittimato la dazione di un assegno. La Corte territoriale, pertanto, aveva correttamente valutato gli elementi probatori offerti dalla donna obbligata e non contestati dalla beneficiaria circa l’assenza di qualsivoglia reddito.
Per tali motivi la Corte di Cassazione rigettava il ricorso, confermando la revoca dell’assegno e condannando la ricorrente alla rifusione delle spese legali.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.