Accertamenti fiscali sui redditi del coniuge: possibili solo se il richiedente ha depositato disclosure e dichiarazioni dei redditi
(A cura della Dottoressa Elisa Cazzaniga)
L’approfondimento odierno riguarda l’ordinanza n. 24995/2023 pubblicata nello scorso mese di agosto, con la quale la Corte di Cassazione, in tema di determinazione dell’assegno divorzile, ha stabilito che “non si può pretendere che il Giudice disponga d’ufficio approfondimenti tramite la polizia tributaria sulle condizioni economiche della controparte quando è la stessa parte interessata all’approfondimento a non avere adempiuto agli oneri di esibizione e di disclosure disposti dal Giudicante”.
Il caso trae origine da un procedimento per lo scioglimento del matrimonio instaurato avanti il Tribunale di Ivrea.
La moglie oltre alla pronuncia di divorzio, chiedeva l’affidamento congiunto del figlio al tempo minorenne con collocamento prevalente presso di sé, la conseguente assegnazione della casa coniugale ed un contributo mensile pari a € 450,00 a carico del padre e la dichiarazione di indipendenza economica tra le parti.
Anche il marito, chiedeva il collocamento presso di sè del figlio, la conseguente assegnazione della casa familiare ed un assegno per il mantenimento proprio e del figlio pari a € 10.000,00 mensili a carico della moglie.
Il Giudice di primo grado, conclusa l’istruttoria, emetteva sentenza definitiva di divorzio, rigettando le pretese del marito e accogliendo tutte le domande della donna.
L’ex marito impugnava la sentenza in punto di rigetto della domanda di assegno divorzile proposta da lui stesso e chiedeva anche la restituzione generica di alcuni beni presenti nella ex casa coniugale.
La Corte di Appello di Torino rigettava l’impugnazione ritenendo, in particolare, che la richiesta di indagine fiscale e tributaria sulle disponibilità economiche dell’ex moglie non era stata formulata nel giudizio di primo grado e che, in ogni caso, la suddetta indagine non aveva ragione di essere disposta essendo infondata la domanda volta al riconoscimento dell’assegno di divorzio.
L’appellante infatti, non aveva mai allegato né provato la sussistenza dei requisiti necessari al riconoscimento dell’assegno; era stato completamente reticente in ordine alla propria capacità economica ed imprenditoriale e molti elementi deponevano a favore della sussistenza in capo allo stesso di adeguati mezzi di sostentamento.
L’ex moglie aveva provato che l’uomo: aveva sempre svolto attività imprenditoriale in costanza di matrimonio, ricomprendo anche rilevanti cariche; aveva estinto in prossimità della separazione un conto corrente a Montecarlo molto capiente; aveva un documentato ed ingente debito con l’Agenzia delle Entrate; era stato, ed in alcuni casi era ancora, socio di diverse società all’estero; era infine, proprietario di diverse autovetture sempre fuori dal territorio italiano.
I Giudici di secondo grado nel rigettare la domanda dell’uomo precisavano anche che l’eventuale esistenza di un divario economico tra i coniugi non risultava comunque sufficiente al riconoscimento dell’assegno all’ex marito poiché lo stesso non aveva provato neppure in quali modi avrebbe concorso alla formazione del patrimonio della donna.
A seguito di questo iter, arriviamo dunque, alla pronuncia oggetto dell’odierna analisi con cui la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso dell’uomo.
Gli Ermellini ribadivano che il diniego del richiesto assegno divorzile era motivato dalla mancata allegazione e prova da parte dell’uomo – che a ciò era tenuto – degli elementi richiesti per dimostrare la sussistenza dei profili perequativi e compensativi che connotano l’assegno richiesto.
Anche in questa sede viene evidenziato come la Corte di Appello di Torino aveva rilevato che l’ex marito non aveva documentato in quale modo aveva contribuito alla formazione del patrimonio della donna e che dunque è in primis per tali motivi che veniva negato il riconoscimento dell’assegno.
In secondo luogo, i giudici di legittimità affermavano che l’art. 5 c.9 L. 898/1970 non impone al Giudice l’obbligo di disporre indagini tramite la polizia giudiziaria, bensì prevede per lo stesso la mera possibilità di disporre indagini sui redditi, sul patrimonio e sull’effettivo tenore di vita, valendosi se del caso anche della polizia giudiziaria.
Essendo dunque attribuito al Giudice un potere discrezionale, la decisione assunta dallo stesso non è sindacabile in sede di legittimità quantomeno nei termini in cui le censure venivano poste dall’uomo nel caso di specie.
Inoltre la Corte Suprema sottolineava che il ricorrente neppure aveva depositato la propria e richiesta documentazione fiscale né avanti il Tribunale di Ivrea né tantomeno avanti la Corte di Appello di Tornio.
Su questo punto l’ordinanza concludeva proprio ritenendo che la pretesa dell’ex marito risultava totalmente priva di fondamento tanto giuridico quanto logico, dato che l’uomo pretendeva accertamenti sull’ex moglie che lui stesso non aveva permesso di effettuare sul proprio conto non fornendo la richiesta documentazione fiscale e non adempiendo dunque agli oneri di esibizione e disclosure disposti dal Giudice.
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