La sudditanza e la sofferenza indotta della vittima di maltrattamenti in famiglia sono elementi costitutivi del reato?
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi )
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in merito al reato di maltrattamenti, con riferimento allo stato d’animo del soggetto passivo, chiedendosi se quest’ultimo debba o meno trovarsi in una posizione di sudditanza psicologica (sentenza n. 809 depositata il 12 gennaio 2023).
La Suprema Corte ha sottolineato come il reato di maltrattamenti richieda una condotta oggettivamente idonea a ledere la persona nella sua integrità psico-fisica e consista nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazioni continui, capaci di cagionare sofferenze, privazioni e umiliazioni.
Le condotte maltrattanti costituiscono fonte di un disagio incessante per la vittima e sono incompatibili con normali condizioni di vita.
La Cassazione critica l’impostazione della Corte d’Appello che – nonostante l’accertata abitualità della condotta e l’idoneità della stessa a creare uno stato di sofferenza della vittima – ha escluso la sussistenza del reato per l’assenza di uno stato di sudditanza psicologica della vittima.
Secondo gli Ermellini l’art. 572 c.p. non richiede, infatti, un’indagine circa le conseguenze sul piano strettamente interiore della persona offesa, in quanto l’unico elemento costitutivo è la condotta oggettivamente maltrattante, posta in essere in modo abituale.
Non è corretto, dunque, introdurre un ulteriore elemento, ossia l’instaurazione di un effettivo rapporto di soggezione nella persona offesa: la norma richiede esclusivamente che siano posti in essere atti idonei a maltrattare e a provocare una sofferenza morale nella vittima. In buona sostanza, quest’ultima non deve necessariamente essere soggiogata dall’autore del reato.
Inoltre, qualora si ritenesse essenziale tale elemento, si introdurrebbe un parametro confliggente con il principio di tipicità dell’illecito penale e, di conseguenza, si farebbe dipendere la configurabilità del reato da un elemento estraneo alla fattispecie.
La persona offesa non deve dimostrare una maggiore o minore capacità di resistenza come, ad esempio, il mantenimento di un’autonomia decisionale, poiché ciò attiene ad un profilo esclusivamente soggettivo, che non inficia l’illiceità della condotta: questa è contraria alla legge, se è idonea a determinare uno stato di sofferenza.
La Corte aggiunge che, se si dovesse fare riferimento alla sussistenza reale dell’assoggettamento, vi sarebbe oltretutto “molto più relativismo nell’individuazione del reato”: la vittima di maltrattamenti può, infatti, avere reazioni diverse, anche in base alle sue qualità personali oppure alla sua estrazione socio-culturale.
Il reato di maltrattamenti presuppone, pertanto, unicamente l’accertamento di condotte obiettivamente lesive della sfera psico-fisica del convivente, a fronte delle quali il grado di sofferenza in concreto indotto non ne costituisce elemento costitutivo.
In altre parole, l’assenza del “rapporto aguzzino – vittima” non è rilevante per valutare la sussistenza del delitto in esame.
La Suprema Corte ha, così, cassato con rinvio, dettando il principio al quale il giudice del rinvio dovrà attenersi e precisamente: “il reato di quell’articolo 572 richiede quale elemento costitutivo una condotta oggettivamente idonea a ledere la persona nella sua integrità psicofisica consistente nella sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di prestazioni continue tali da risultare concretamente i doni a cagionare sofferenze privazioni umiliazioni. A fronte dell’oggettiva ricorrenza di tali presupposti il reato non è escluso per effetto della minore o maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa come pure non è richiesto che la condotta maltrattante sia tale da rendere la vittima succube dell’autore del reato”.
In passato la Cassazione, con riguardo alle reazioni della vittima del reato di maltrattamenti, aveva riferito che ai fini dell’integrazione del delitto è irrilevante che la persona offesa abbia provato ad opporre resistenza al coniuge, che per anni l’aveva sottoposta a vessazioni, fisiche e psicologiche (sent. n. 8312/19).
Gli Ermellini hanno, altresì, precisato che “la rilevanza di una condotta vessatoria e violenta endo-familiare non può essere esclusa da comportamenti reattivi, inidonei ad escludere in radice la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita ex adverso imposto” (sent. n. 12026/2020). Non sono, pertanto, incompatibili con il reato in esame le condotte reattive della persona offesa, dovute ad un meccanismo di autodifesa, che non escludono la natura oppressiva del soggetto agente.
Più recentemente la Suprema Corte ha rilevato, da un lato, come le reazioni, anche forti, della vittima, non escludano la configurabilità del reato (sent. n. 4681/21); dall’altro, come una certa aggressività verbale da parte della persona offesa non sia inconciliabile con lo stato di soggezione della stessa (sent. n. 6074/21).
La Cassazione ha avuto, altresì, modo di precisare che lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, potendo consistere anche in un “avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che sporadiche reazioni vitali ed aggressive da parte della stessa possano escluderne lo stato di soggezione, a fronte di soprusi abituali” (sent. n. 25914/2021).
In conclusione, per la sussistenza del delitto di maltrattamenti occorre prendere in considerazione la condotta dell’agente e non le reazioni della vittima, che talvolta trova la forza di tollerare o addirittura finge di avere una vita familiare normale.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.