Lidia Poët, storia della prima donna Avvocato in Italia. Una storia ricca di passione, coraggio e determinazione.
(a cura dell’Avv. Alice Di Lallo)
“L’avvocheria è un ufficio esercitabile soltanto da maschi e nel quale non devono immischiarsi le femmine”.
Lidia Poët è stata una delle prime donne a laurearsi in giurisprudenza e la prima donna a svolgere la professione di Avvocato, in Italia.
Ricordare e raccontare la sua storia, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, è un tributo ad una donna che, mossa dalla passione per il proprio lavoro e dalla determinazione nel raggiungere i propri obiettivi, ha saputo sfidare un mondo che, all’epoca, era esclusivamente maschile aprendo la strada al riconoscimento per le donne di diritti che, un tempo neanche troppo remoto, erano di esclusiva titolarità dell’uomo e da cui le donne erano escluse in quanto donne.
Nel 1881, Lidia si laurea col massimo dei voti alla facoltà di giurisprudenza di Torino. Dopo due anni di pratica legale, supera l’esame di abilitazione e presenta all’Ordine degli Avvocati la domanda per essere iscritta all’albo degli Avvocati e dei procuratori legali.
In assenza di norme che escludessero le donne dalla professione di Avvocato, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino iscrive la Poët, prima donna in Italia, all’albo degli Avvocati (con 8 voti favorevoli e 4 contrari). La Corte d’Appello di Torino, tuttavia, su ricorso del Procuratore Generale del Re annulla l’iscrizione sull’assunto che la professione forense fosse un pubblico ufficio e come tale vietato alle donne. Anche la Cassazione, successivamente adita dalla Poët, conferma l’esclusione delle donne dalla professione di avvocato.
Leggere le motivazioni di quelle sentenze a distanza di oltre un secolo fa riflettere sulla condizione della donna in una società, all’epoca, maschilista che vedeva la figura femminile relegata al ruolo di moglie e madre e sui diritti che, con fatica e tenacia, le donne stesse hanno conquistato fino ad arrivare ai giorni d’oggi quando, tuttavia, si sente ancora parlare di “gender gap”, di discriminazione, di diseguaglianza nei diritti.
La Corte d’Appello non usa mezzi termini “l’avvocheria è un ufficio esercitabile soltanto da maschi e nel quale non devono immischiarsi le femmine”. Anzi, al contrario “sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene osservare”.
L’avvocato non è un mestiere per donne, quelle oneste le quali, invece, se lo fosse, sarebbero costrette a trattare anche argomenti che gli uomini stessi non potrebbero trattare in presenza delle donne.
E poi, la donna avvocato andrebbe ad influire sulla serietà stessa dei giudizi per il sol fatto di come si veste o come si acconcia i capelli “se si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri che non di rado la moda impone alle donne e ad acconciature non meno bizzarre”.
È molto chiara la distinzione dei ruoli tra uomo e donne, quest’ultime destinate ad essere le mogli dei primi e non certo concorrenti: secondo i giudici, quello non era il momento né la sede per verificare se la donna fosse in tutto eguagliata all’uomo. Di tale aspetto, di competenza del legislatore, si potranno occupare le donne stesse “le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse tra essi, di divenirne uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate”.
Tra l’opinione pubblica, gli oppositori del diritto delle donne ad esercitare la professione di Avvocato invocavano argomentazioni pseudo-mediche e giuridiche legate entrambe alla discriminazione di genere che all’epoca era preponderante: le donne come avrebbero potuto esercitare come Avvocato se, una settimana al mese, non godessero della giusta serenità a causa del ciclo mestruale? E ancora, come avrebbe potuto un’Avvocata porsi nei confronti dei propri clienti se la stessa aveva una limitata capacità di agire ed era sottoposta alla volontà del marito?
Lida, di fronte ad una situazione di fatto giuridica e legislativa che escludeva le donne – in quanto donne – dall’avvocatura non si arrende e continua, senza titolo, a lavorare presso lo studio legale del fratello battendosi per i diritti dei soggetti più vulnerabili, minori e donne.
Grazie al movimento delle donne, nel 1919 il Parlamento approva la legge che ammette le donne ad accedere ai pubblici uffici, ad eccezione della magistratura, e Lidia all’età di 65 anni, finalmente, diventa Avvocato. La prima, in Italia: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni e a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengano alla difesa militare dello Stato”.
Oggi, in Italia, le donne avvocato sono il 48% con un costante aumento negli ultimi anni.
Grazie Lidia.
Auguri Donne!
Da sempre interessata alla tematica dei diritti umani e delle persone, dopo un’esperienza presso la Prefettura di Milano – Sportello Unico dell’Immigrazione, ha iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell’ottobre 2014, è diventata Avvocato, del Foro di Milano. Si occupa di diritto civile, in prevalenza di diritto di famiglia, italiano e transnazionale, delle persone e dei minori, e di diritto dell’immigrazione.
Dal 2011 collabora con la rivista giuridica on line Diritto&Giustizia, Editore Giuffrè, su cui pubblica note a sentenza in tema di diritto di famiglia e successioni e dal 2018 pubblica note a sentenza anche sul portale online ilfamiliarista.it, Editore Giuffrè.
È socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori). Svolge docenze nei corsi di formazione e approfondimento per ordini e associazioni professionali ed enti privati, partecipando anche a progetti scolastici su temi sociali e civili.