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TRADIMENTO E DISAFFEZIONE: SCATTA COMUNQUE L’ADDEBITO? 

Con l’ordinanza n. 13858 del 24 maggio 2025, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in materia di addebito affermando che “in tema di separazione dei coniugi, va escluso laddebito in caso di tradimento se nella coppia c’è già disaffezione. Spetta pertanto al richiedente dimostrare la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio.

L’istituto dell’addebito è pensato dal legislatore per l’ipotesi in cui sia possibile far risalire la responsabilità del fallimento della vita comune a comportamenti contrari ai doveri che, ai sensi dell’art. 143 c.c., derivano dal matrimonio. Ai sensi dell’art. 151 c.c., su specifica domanda di parte, il giudice può addebitare la separazione al coniuge che ha posto in essere proprio quel comportamento che ha determinato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza matrimoniale. Si evidenzia, inoltre, che conseguenza di tale pronuncia sono la perdita del diritto all’assegno di mantenimento anche qualora ne ricorrano i presupposti e la perdita dei diritti successori sin dalla fase della separazione personale. 

Tema fondamentale e terreno di ampio dibattito giurisprudenziale è stato quello dell’individuazione delle circostanze che possono fondare l’attribuzione della responsabilità del fallimento matrimoniale e, conseguentemente, la dichiarazione dell’addebito a carico dell’uno o dell’altro coniuge. 

La Corte di Cassazione, dunque, con l’ordinanza oggetto di approfondimento precisa nuovamente che, nel caso in cui la disaffezione e la crisi coniugale siano antecedenti rispetto alla violazione del dovere di fedeltà, non è possibile pronunciare l’addebito della separazione stessa e che la prova che l’intollerabilità della convivenza sia derivata solo ed esclusivamente dal tradimento deve essere fornita dal coniuge che richiede la pronuncia. 

Nel caso di specie, la vicenda traeva origine da una decisione del Tribunale di Ferrara con cui, nel 2021, veniva pronunciata la separazione personale dei coniugi con addebito al marito. La decisione si fondava sulla deposizione di un testimone che riferiva di aver assistito, nel 2018, ad un incontro amoroso tra il marito ed una donna bionda, la quale poi confermava la testimonianza affermando di essere poi divenuta la compagna dell’uomo. Per arrivare a tale decisione, i giudici di primo grado disattendevano la ricostruzione maschile secondo cui la crisi coniugale si era manifesta in modo irreversibile sin dal 2015. 

La Corte di Appello di Bologna, invece, adita dall’uomo, accoglieva parzialmente le doglianze proposte e riformava la decisione di primo grado respingendo la domanda di addebito ma compensava parzialmente le spese legali di entrambi i gradi di giudizio. 

La moglie, dunque, proponeva ricorso per cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 143 comma 2 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in tema di onere della prova ed il marito lamentava invece la decisione della Corte d’Appello in punto spese.  

La donna criticava la decisione dei giudici di secondo grado affermando che la vicenda matrimoniale non era stata valutata nel suo complesso, che non erano state comparate le condotte dei coniugi, che erano stati considerati irrilevanti i comportamenti dei coniugi successivi alla crisi e che era insussistente il nesso causale tra le antecedenti condotte ascritte dal marito alla moglie e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. 

Tale unico motivo di ricorso sull’addebito veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. 

In primo luogo, gli Ermellini ribadivano che, secondo i consolidati principi di legittimità, la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova – da parte di chi la richiede – del fatto che l’irreversibilità della crisi coniugale trova la sua unica fonte nel comportamento, volontario e consapevole, contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o anche di entrambi i coniugi. 

Afferma dunque, la Corte di Cassazione che deve sussistere un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati – in questo caso il tradimento del marito – e l’insorgere della crisi matrimoniale: il comportamento contrario al dovere di fedeltà deve essere la causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza matrimoniale. Qualora, invece, le ragioni della crisi sentimentale siano da individuarsi in una fase antecedente rispetto al tradimento, i giudici di merito non possono pronunciare l’addebito. 

Chiarito questo aspetto di diritto sostanziale, tuttavia, gli Ermellini evidenziavano che, nel caso di specie, la donna lamentava il vizio di violazione degli artt. 143 c.c. e 115 – 116 c.p.c. con il solo e unico scopo di ottenere una differente valutazione delle risultanze probatorie della causa. 

Sul punto la Corte di Cassazione ribadiva che l’interpretazione e valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta di quelle idonee a dimostrare i fatti in discussione e fondare il convincimento del magistrato, sono di competenza esclusiva del giudice di merito. Ciò, dunque, rende insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio”  conferito ad alcune testimonianze rispetto ad altre, purché la decisione sia frutto di un giudizio logicamente motivato. 

I giudici di legittimità affermavano che la Corte di Appello di Bologna aveva esaustivamente motivato il fondamento della propria decisione ritenendo la mancanza di un nesso di causalità tra il tradimento del marito e l’irreversibilità della crisi coniugale: in giudizio erano emersi elementi da cui emergeva la “progressiva manifesta disaffezione dei coniugi che, da tempo, non condividevano più il talamo, palesavano univoci atteggiamenti di indifferenza nei rapporti personale e si erano già rivolti ad un legale pur, inutilmente, intraprendendo un percorso di terapia di coppia”. Proprio sulla base di tali ultime circostanze, temporalmente antecedenti rispetto alla relazione extraconiugale del marito, la Corte di Appello bolognese aveva fondato e motivato il proprio convincimento rendendo conto dell’attenta disamina e dell’oculato raffronto di quanto emerso e dichiarato in corso di causa.   

In conclusione, dunque la Corte di Cassazione rigettava il ricorso principale proposto dalla moglie ed accoglieva, invece, il motivo di ricorso incidentale proposto dal marito in punto liquidazione delle spese di giustizia e per tale ragione cassava la decisione di secondo grado sul punto con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione per le spese dei due giudizi

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