I diritti del nascituro e la “maternità perduta”
(a cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
Da sempre il diritto ad essere genitori è un tema centrale per lo Studio e molteplici sono gli articoli nei quali ho cercato di analizzare i vari aspetti ed interrogativi che tale diritto suscita: affido condiviso, collocamento alternato o prevalente, procreazione medicalmente assistita, maternità surrogata, adozione ed affido delle coppie omosessuali e del single.
Tutti questi istituti, però, hanno quale presupposto l’evento nascita e la sopravvivenza del nato. Ma cosa prevede la legge a tutela del concepito? La perdita violenta del concepito è risarcita al pari della perdita di un figlio?
Giuridicamente, il termine “concepito” si trova nelle leggi che regolano la fecondazione medicalmente assistita e l’interruzione volontaria di gravidanza e si riferisce all’embrione o al feto dell’essere umano a partire dal momento del concepimento senza introdurre distinzioni tra le fasi dello sviluppo embrionale e fetale senza sottointendere la qualifica di persona o di cosa.
Se sul piano psicologico, la donna inizia a sentirsi madre non appena il test di maternità conferma lo stato di gravidanza, per l’ordinamento giuridico italiano, il concepito (ovvero colui che è stato procreato ma si trova ancora nel ventre materno), non è considerato soggetto giuridico e lo stato giuridico di “madre” si acquisisce con la separazione del feto dall’alveo materno (Cass. n. 2023/1993).
L’art. 1, comma 1, del Codice civile è chiaro: la capacità giuridica – vale a dire l’idoneità ad essere titolare di diritti e di doveri giuridici – si acquista al momento della nascita e la si conserva fino alla morte. Può considerarsi bambino solo quel soggetto che sia nato, svincolato dal corpo materno e indipendente da esso.
Tuttavia, il concepito, pur non avendo capacità giuridica ex lege, è comunque un soggetto di diritto, in quanto titolare di molteplici interessi personali che vengono riconosciuti sia dall’ordinamento nazionale che sovranazionale, prima fra tutti il diritto alla vita, vale a dire il diritto di difendere la propria esistenza fisica a fronte del quale vi è l’obbligo di astenersi dall’attentare alla vita altrui, il diritto alla salute, all’onore e all’identità personale, ad una nascita sana.
Inoltre, sempre l’art. 1 del Codice civile al secondo comma prevede espressamente al concepito la titolarità di una serie di diritti specificamente individuati, tra cui rilevano in particolare l’art. 462, comma 1, c.c., che annovera il “concepito” tra i soggetti capaciti di succedere, e l’art. 784 c.c. che riconosce al concepito la capacità di ricevere per donazione beni immobili, mobili e denaro.
Il testamento, infatti, può prevedere una disposizione di beni o somme di denaro ai concepiti senza il limite della quota disponibile del de cuius. Il concepito, al contrario, può risultare erede legittimo, in base al legame di parentela con il testatore; ne consegue che avrà diritto ad ereditare la sua parte di quota legittima, ovvero quella parte del patrimonio del testatore che spetta per legge al coniuge e ai figli.
Si considera concepito ai fini successori colui che nasce non più di 300 giorni dopo la morte del padre, mentre qualora fosse il nipote entro 300 giorni dalla morte del nonno o della nonna.
Circa il diritto ad essere beneficiario di donazione, la legge prevede che si possa donare un bene mobile o immobile anche nei confronti di chi non è ancora nato ma concepito al momento dell’atto. Nello specifico, l’art. 784 del Codice civile prevede che “La donazione può essere fatta anche a favore di chi è soltanto concepito, ovvero a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della donazione, benché non ancora concepiti.”
In ogni caso, tutti i diritti di cui sopra, sono diritti in un certo senso in “standby” perché condizionati all’evento nascita che conferiscono, secondo una parte della dottrina, una sorta di capacità giuridica “provvisoria” o ad “acquisto progressivo” al concepito, inteso quale portatore di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento (cfr., in dottrina, a favore Bianca; contra Gazzoni).
Ma cosa succede se il concepito non vede la luce?
La Cassazione con la recentissima ordinanza n. 22859 del 20 ottobre 2020 ha sancito che la morte di un feto non può essere equiparata alla morte di un figlio nato vivo ma, in linea con la precedente pronuncia n. 12717 del 2015 ha riconfermato il diritto al risarcimento del danno per la “perdita del potenziale rapporto parentale con il nascituro” a dei genitori che a causa di un errore medico avevano visto frantumarsi il loro progetto di genitorialità. Su tale considerazione ha ritenuta corretta l’applicazione operata dalla Corte d’Appello di Firenze delle tabelle di Milano e l’importo riconosciuto pari alla metà del minimo in considerazione del fatto che mancava l’instaurazione di un oggettivo rapporto tra figlio e genitori.
Nella passata giurisprudenza era sempre stato riconosciuto solo il danno fisico. Il primo spiraglio si era appunto aperto nel 2015, con la sentenza n. 12717 della Suprema Corte che aveva affermato per la prima volta che per il figlio nato morto è risarcibile il danno per il venir meno di una relazione affettiva potenziale: una relazione, cioè, “che avrebbe certamente potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita”.
È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).