Risarcito l’uomo che è padre a sua insaputa. Esiste un diritto ad essere genitori?
(A cura dell’Avv. Alice Di Lallo)
“L’utero è mio e lo gestisco io”.
La frase urlata nelle piazze dal movimento femminista negli anni Settanta era volta ad affermare il diritto della donna alla autodeterminazione, la sua libertà sessuale e di scelta della maternità, in un mondo e un’epoca in cui l’essere madre era un dovere morale.
Per tutte le donne, questa, una conquista importante che ha aperto la strada al Legislatore per il riconoscimento e l’affermazione dei diritti delle donne: il divorzio (Legge 898/1970), l’aborto (Legge 194/1978).
Se, però, introduciamo il tema della genitorialità, del diritto contrapposto dell’uomo alla autodeterminazione, sorge spontaneo chiedersi fino a che punto può spingersi il diritto della donna ad essere madre a scapito del dissenso del futuro padre o a fronte della inconsapevolezza dell’uomo di aver partecipato al concepimento del figlio. Esiste un diritto ad essere genitori?
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario è concorde nell’affermare che “la scelta di formare una famiglia che abbia anche figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi”.
Ma entriamo meglio nel dettaglio del caso sottoposto alla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8459 del 5 maggio 2020 nella quale i giudici – a fronte del ricorso di un uomo che lamentava una lesione del suo diritto alla paternità, chiedendo il risarcimento del danno alla possibilità di instaurare un rapporto affettivo con il figlio causato dall’illecito occultamento della gravidanza – hanno affermato che l’omessa comunicazione dell’avvenuto concepimento all’altro genitore da parte della madre, consapevole della paternità, può configurare una forma di responsabilità civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. per lesione del diritto alla identità personale.
Questo il principio di diritto affermato: “L’omessa comunicazione all’altro genitore, da parte della madre, consapevole della paternità, dell’avvenuto concepimento di un figlio si traduce, ove non giustificata da un oggettivo apprezzabile interesse del nascituro e nonostante tale comunicazione non sia imposta da alcuna norma, in una condotta “non iure” che, se posta in essere con dolo o colpa, può integrare gli estremi di una responsabilità civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. poiché suscettibile di arrecare un pregiudizio, qualificabile come danno ingiusto, al diritto del padre naturale di affermare la propria identità genitoriale, ossia di ristabilire la verità inerente il rapporto di filiazione”.
Non esiste una norma formale che imponga alla madre di rendere noto al futuro padre dell’avvenuto concepimento.
Tuttavia, secondo la Corte, l’omessa informazione dell’avvenuto concepimento da parte della donna consapevole della paternità può costituire una condotta antigiuridica, perché in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all’interesse del padre ad affermare la propria identità genitoriale, qualificabile come “danno ingiusto”, e che potrebbe integrare la fattispecie della responsabilità civile ex art. 2043 c.c. qualora si provato l’elemento soggettivo (della colpa o del dolo) e il nesso causale tra tale condotta omissiva e l’evento. Circa l’onere della prova, grava sul genitore che ritiene di aver subito una lesione del diritto alla genitorialità la prova del danno subito non essendo sufficiente la mera allegazione dello stesso.
Secondo i giudici, l’uomo, tenuto dalla donna all’oscuro di essere padre, viene leso nel suo diritto alla identità personale, tutelata dagli articoli 2, 30, quarto comma, Cost., posto che certamente l’identità personale comprende anche l’essere genitore, trasmettere al figlio il proprio patrimonio genetico, scegliere di occuparsi del figlio dal momento della nascita, istaurando un rapporto di affetto.
In particolare, la Corte di Cassazione ha specificato la responsabilità extracontrattuale quale responsabilità da perdita di chance, con ciò intendendosi perdita di una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene della vita, configurando la perdita di chance un’autonoma voce di danno patrimoniale attuale, essendo una posta attiva già presente nel patrimonio del soggetto al verificarsi dell’illecito e che va commisurato non alla perdita del risultato stesso ma alla perdita della possibilità di conseguirlo (tra le altre Cass. 29 nov 2012 n. 21245).
Nel caso dell’uomo tenuto all’oscuro della propria paternità, questi viene privato dell’aspirazione alla genitorialità e alla conseguente facoltà di instaurare con il figlio un rapporto personale ed affettivo.
Da sempre interessata alla tematica dei diritti umani e delle persone, dopo un’esperienza presso la Prefettura di Milano – Sportello Unico dell’Immigrazione, ha iniziato la pratica forense nello Studio Legale Di Nella dove, nell’ottobre 2014, è diventata Avvocato, del Foro di Milano. Si occupa di diritto civile, in prevalenza di diritto di famiglia, italiano e transnazionale, delle persone e dei minori, e di diritto dell’immigrazione.
Dal 2011 collabora con la rivista giuridica on line Diritto&Giustizia, Editore Giuffrè, su cui pubblica note a sentenza in tema di diritto di famiglia e successioni e dal 2018 pubblica note a sentenza anche sul portale online ilfamiliarista.it, Editore Giuffrè.
È socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori). Svolge docenze nei corsi di formazione e approfondimento per ordini e associazioni professionali ed enti privati, partecipando anche a progetti scolastici su temi sociali e civili.