La persecuzione dell’ex per ottenere il mantenimento stabilito dal Giudice civile.
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
La Cassazione è recentemente intervenuta con una breve, ma incisiva sentenza che rappresenta un considerevole precedente per i casi in cui si cerca in tutti i modi di ottenere dall’ex il mantenimento stabilito dal Giudice civile (sent. n. 9878 del 7 marzo 2024).
In particolare, una donna, per conseguire il mantenimento, poneva in essere una serie di azioni, tra cui pedinamenti, insulti, minacce, offese anche tramite post sui social network, telefonate ripetute, nonché danneggiamenti.
La donna veniva condannata in primo e in secondo grado per stalking, diffamazione e danneggiamento alla pena di anni uno di reclusione e al risarcimento del danno.
Aveva realizzato molestie e minacce con ossessive chiamate nel corso delle quali pronunciava frasi offensive, che avevano ad oggetto la richiesta delle somme dovute a titolo di sostentamento, determinate nel giudizio di separazione. Perseguitava anche la ex cognata con telefonate, suonando ripetutamente il citofono, stazionando fuori dall’abitazione, imbrattando con della vernice spray la saracinesca della parafarmacia di proprietà della stessa e scrivendo sulla saracinesca frasi offensive che ledevano la reputazione dell’uomo. Tali atteggiamenti determinavano in quest’ultimo un perdurante e grave stato di paura per la propria incolumità, nonché un cambiamento delle sue abitudini di vita (come non uscire da casa da solo e non recarsi a prendere la figlia a scuola).
L’imputata presentava ricorso per cassazione, contestando la sussistenza dello stalking e richiedendo la riqualificazione nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e sulle persone. Contestava anche la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l’avvenuto ravvedimento.
Secondo la Cassazione la Corte d’Appello ha adeguatamente esposto le ragioni del proprio convincimento sia con riguardo alla ritenuta sussistenza dello stalking, sia per ciò che riguarda la mancata riqualificazione di questo delitto in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La Suprema Corte svolge una dettagliata analisi del delitto di atti persecutori, sottolineandone la natura di reato abituale: è l’atteggiamento persecutorio reiterato ad assumere una specifica ed autonoma offensività ed è la condotta nel suo complesso che deve essere considerata per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento.
Secondo gli Ermellini la Corte territoriale ha valutato tutti gli atti posti in essere, che ben possono essere considerati persecutori. Rilevanti sono state non solo le dichiarazioni dei testimoni escussi, ma anche quelle dell’imputata stessa, la quale si era giustificata, citando problematiche economiche.
Con incensurabile motivazione la Corte d’Appello ha chiarito che le condotte dell’imputata (proseguite per anni) hanno indotto uno stato di perenne ansia nella persona offesa, al punto da costringerla a cambiare le proprie abitudini di vita.
La Cassazione ricorda che, ai fini dell’individuazione del “cambiamento delle abitudini di vita”, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione su tali abitudini.
Per quanto concerne la riqualificazione del reato in esercizio delle proprie ragioni, dopo aver ricordato le differenze tra tali fattispecie (oggetto e bene giuridico tutelato), la Suprema Corte osserva come le pretese economiche rivendicate dalla ricorrente fossero solo un mero pretesto per umiliare e perseguitare l’ex marito. Quindi, le condotte tenute hanno di gran lunga travalicato le mere rivendicazioni economiche.
Con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche la Cassazione sottolinea come la ricorrente abbia tentato di spiegare – e non di negare – i fatti alla luce delle problematiche economiche esistenti con l’ex marito. Tale particolare è stato inutilmente utilizzato dalla difesa per valorizzare e contestare il vizio di motivazione della sentenza d’appello. Tuttavia, la Corte territoriale ha disatteso questo argomento, escludendo che le condotte dell’imputata potessero essere ridotte a meri tentativi per riscuotere i crediti; ha, altresì, escluso un sincero ravvedimento della stessa.
In buona sostanza, non vi erano elementi valorizzabili ai fini della concessione delle attenuanti generiche. Del resto, ormai da tempo per la giurisprudenza di legittimità è sufficiente fare riferimento soltanto ad alcuni elementi, ritenuti decisivi o comunque rilevanti, superando ciò che non viene valutato essenziale.
La sentenza analizzata, oltre a fornire una completa spiegazione sui vari aspetti del delitto di stalking, chiarisce come occorra evitare persecuzioni per il mantenimento, che può essere ottenuto con lecite modalità.
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Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.