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Il marito mette le mani al collo della moglie: lesioni o tentato omicidio in assenza di gravi ferite?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione ha recentemente pronunciato una interessante sentenza, con riferimento ad un marito che aveva messo le mani al collo della propria moglie in occasione di un litigio (sent. n.48845/23).Più precisamente un uomo aveva afferrato la propria moglie per il collo, l’aveva spinta contro il muro e, esercitando una pressione crescente, l’aveva sollevata da terra, provocandone l’offuscamento della vista e una momentanea perdita di conoscenza. L’azione era stata interrotta dall’intervento del figlio che aveva impugnato le braccia del padre e lo aveva indotto a lasciare la presa. Dal referto del pronto soccorso risultavano in regione laterocervicale quattro aree ecchimotiche di circa 5 cm x 1 cm.

Il Tribunale di Brescia e successivamente la Corte d’Appello condannavano l’imputato alla pena di dieci anni di reclusione, oltre al risarcimento del danno, per il delitto di tentato omicidio della moglie (e di maltrattamenti in famiglia).

Fondamentali erano state le testimonianze della donna e del figlio, che avevano messo in luce il quadro di maltrattamenti a cui la parte offesa era stata sottoposta per anni, oltretutto sostanzialmente confermate dalle spontanee dichiarazioni dell’imputato.

Quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte Territoriale avrebbe attribuito poca rilevanza ad alcuni elementi di prova a discarico del ricorrente, che avrebbero consentito una lettura diversa degli eventi, con specifico riguardo alla inidoneità dell’azione a cagionare la morte della persona offesa.

In particolare, sosteneva che le lesioni non avessero interessato la regione cervicale, né quella carotidea e laringea, ma unicamente quella laterocervicale destra: esse non avrebbero potuto provocare la morte.

Inoltre, non era stato considerato che la presa del collo era avvenuta con la mano sinistra da parte di un soggetto destrorso non dotato di particolare muscolatura. Era, quindi, evidente la scarsa carica lesiva dell’azione, nonché la volontà dell’imputato di ledere. Infine, mancherebbero segni clinici premonitori dell’evento morte, non essendo l’annebbiamento della vista della persona offesa, valorizzato dai giudici di merito, un parametro tecnico-scientifico.

La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, innanzitutto definendo le censure mosse alla sentenza impugnata aspecifiche, meramente reiterative di quelle proposte con i motivi di appello, nonché esclusivamente in fatto.

Inoltre – ed è ciò che maggiormente conta – secondo gli Ermellini la Corte Territoriale ha tenuto puntualmente in conto degli elementi che per il ricorrente avrebbero escluso l’idoneità dell’azione a cagionare la morte della persona offesa e la sussistenza dell’animus necandi.

Ed infatti, nella sentenza viene spiegato che il collo è sede di organi vitali la cui compromissione può determinare gravi conseguenze, compresa la morte. Anche le modalità dell’azione, ed in particolare le caratteristiche del mezzo utilizzato, confermavano l’idoneità dell’azione a cagionare la morte della vittima: l’intensità della presa esercitata sul collo era stata tale da cagionare le quattro ecchimosi riscontrate al pronto soccorso, l’annebbiamento della vista e la temporanea perdita della conoscenza.

La Cassazione sottolinea come per i Giudici di secondo grado questi elementi fossero essenziali e tali da rendere irrilevante l’assenza di disfonia, disfagia, scialorrea o dispnea, definiti importanti dal consulente della difesa.

La Suprema Corte ricorda, poi, l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale ”l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto … in tema di delitti contro la persona, per distinguere il reato di lesione personale da quello di tentato omicidio, occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente sia alla differente potenzialità dell’azione lesiva, desumibili dalla sede corporea attinta, dall’idoneità dell’arma impiegata nonché dalle modalità dell’atto lesivo”.

E nel caso di specie la Corte di Appello ben aveva rilevato – sia per l’idoneità della condotta a cagionare la morte della moglie, sia per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio – le modalità dell’azione, la veemenza della condotta, la forza esercitata sulla vittima, nonché la circostanza che l’aggressione era stata interrotta solo dall’intervento del figlio, sopraggiunto in aiuto della madre.

Pertanto “la scarsa entità o l’inesistenza delle lesioni alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa, ovvero, come nella specie, all’intervento di un terzo”.

La Cassazione, nel confermare la condanna a 10 anni di reclusione, sottolinea come il grado di pericolosità del gesto compiuto vada stabilito prima che sia messo in atto, senza tenere conto delle conseguenze in concreto prodotte e senza dar peso all’assenza o alla scarsità delle lesioni provocate.

Dunque, uno strangolamento può essere considerato come un tentato omicidio anche se la vittima non riporta danni permanenti e si riprende in tempi rapidi. In buona sostanza, la gravità delle lesioni non può essere l’unico fattore da considerare per la valutazione del tentato omicidio, poiché va tenuto in debito conto anche l’intenzione dell’agente e la situazione di pericolo reale creata.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.