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È valido l’accordo a cui i coniugi giungono in sede di separazione per regolare l’assegno di divorzio?

(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)

In sede di separazione i coniugi possono regolamentare una serie di aspetti, anche economici, dipendenti dallo scioglimento del vincolo coniugale.

Ma è possibile, già in sede di separazione consensuale, inserire un accordo relativo al futuro assegno divorzile?

La Suprema Corte di Cassazione, con una recente Ordinanza del 26 aprile 2021 n. 11012/2021, lo ha escluso, ritenendo gli accordi destinati a regolare l’assegno divorzile invalidi per illiceità della causa, in quanto stipulati in violazione del principio di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale.

Nel caso in esame la Corte d’Appello di Cagliari, in parziale accoglimento dell’appello proposto avverso la Sentenza di primo grado, aveva revocato l’obbligo dell’ex marito di corrispondere all’ex moglie un contributo per il mantenimento del figlio, confermando invece l’assegno divorzile stabilito dal giudice di primo grado a favore della ex moglie. Il giudice di merito aveva ritenuto che l’accordo pattuito dai coniugi in sede di separazione consensuale, teso alla disciplina futura dei rapporti economici delle parti anche per il successivo divorzio, fosse ammissibile e non affetto da nullità per illiceità della causa.

Avverso tale Sentenza l’ex marito ricorreva per Cassazione ritendendo che l’accordo concluso con la coniuge in sede di separazione consensuale, essendo destinato a disciplinare anche i rapporti economici del futuro divorzio, era affetto da nullità per illiceità della causa, dal momento che il diritto all’assegno divorzile, per la sua natura assistenziale, non è posizione soggettiva disponibile. Per tali ragioni il Giudice di merito non avrebbe potuto far riferimento alle statuizioni assunte in sede di separazione ma avrebbe dovuto indagare sull’effettiva sussistenza del presupposto richiesto dall’art 5 L. sul divorzio per la concessione dell’assegno divorzile, ovvero l’inadeguatezza dei mezzi in capo al coniuge beneficiario rispetto al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio. L’ex marito lamentava che in sede di appello non era stato considerato che, per effetto degli accordi della separazione consensuale, alla moglie era già stata assegnata una parte consistente del patrimonio immobiliare in comunione ed era stato trascurato il decremento reddituale subito dal ricorrente negli anni successivi alla separazione.

La Suprema Corte riteneva fondato il motivo di ricorso e confermava l’orientamento consolidato della Corte di sanzionare con la nullità gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio.

In particolare, osservava che già nella Sentenza n. 2224/2017 era stato enunciato il principio di diritto secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art 160 c.c.

A parere degli Ermellini i giudici di merito avevano ritenuto valido a causa della errata interpretazione della sentenza n. 8109/2000 della Cassazione, che in realtà aveva dichiarato valido l’accordo dei coniugi in sede di separazione poiché si trattava di un accordo transattivo, mirato a dirimere una controversia di natura patrimoniale insorta tra essi, senza alcun riferimento al futuro assetto degli aspetti economici derivanti dalla pronuncia di divorzio. Inoltre, in quel caso, l’obbligo del pagamento di una somma “vita natural durante” era stato ritenuto giustificato della complessiva situazione reddituale delle parti, in cui al credito di un coniuge corrispondeva il debito dell’altro.

Nel caso di specie, invece, la pronuncia impugnata non aveva tenuto separato, né precisato, il profilo dei rapporti patrimoniali già pendenti tra le parti e l’eventuale regolamentazione delle ragioni di debito-credito rispetto a quello della spettanza dell’assegno di divorzio secondo i criteri elaborati dalla Corte di Cassazione, ritenendo, pertanto, erroneamente leciti i patti tra i coniugi diretti a disciplinare i loro rapporti economici in vista del futuro divorzio ove fatti valere da quello beneficiario dell’assegno pattuito in sede di separazione.

Alla luce delle suddette motivazioni, la Suprema Corte accoglieva il ricorso e annullava la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari per nuovo esame e statuizione ed enunciava il seguente principio di diritto: “In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile del rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)”.

Author Profile

Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.

Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.