Addebito della separazione a causa della religione scelta dall’altro coniuge
(A cura dell’Avv. Cecilia Gaudenzi)
Come abbiamo già avuto modo di analizzare in un precedente articolo contenuto nel nostro blog, di cui vi lascio il link QUI per un più semplice approfondimento, il legislatore italiano all’articolo 151 comma 2 del codice civile dispone in capo al giudice la possibilità, ove ne ricorrano i presupposti e su sola richiesta di parte, di dichiarare l’addebito della separazione in capo ad uno dei due coniugi.
L’ormai consolidata giurisprudenza afferma che in tema di separazione personale dei coniugi, la dichiarazione di addebito implica che la l’’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza.
La parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge, per l’inosservanza degli obblighi matrimoniali, deve quindi provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre spetta a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità del comportamento a determinare l’intollerabilità della convivenza, fornire la prova delle circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire dell’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione dei doveri matrimoniali.
Nel corso degli ultimi mesi sono molte le sentenze emessa dalla Corte di Cassazione sul tema dell’addebito della separazione e una delle più recenti tratta il tema in relazione al cambio di religione di uno dei coniugi.
L’ordinanza n. 19502/2023 della Corte di Cassazione pubblicata il 10 luglio 2023 trae infatti, origine da una sentenza del Tribunale di Napoli che rigettando le reciproche domande di addebito avanzate da entrambi i coniugi, disponeva la separazione di quest’ultimi nonché stabiliva il contributo al mantenimento che il padre era tenuto a versare nei confronti del figlio e della stessa moglie.
Il marito ricorreva subito avanti la Corte d’Appello di Napoli alla quale nuovamente chiedeva di pronunciare l’addebito della separazione alla moglie visto il comportamento dalla stessa tenuto a seguito del cambio di religione e l’inizio della frequentazione da parte di quest’ultima di nuova congregazione religiosa. La Corte territoriale esaminati gli atti affermava il principio secondo cui la frequentazione di una congregazione religiosa da parte della signora, di per sé non poteva assumere un rilievo tanto determinante da poter pronunciare l’addebito della separazione. Non risultava infatti, dimostrato che un simile comportamento avesse comportato una violazione dei doveri coniugali e assunto il rilievo causale nel provocare l’intollerabilità della convivenza.
L’uomo, letta la sentenza di secondo grado, ricorreva avanti la Corte di Cassazione e, tra le altre cose, lamentava la violazione dell’art. 143 cc in quanto la Corte di merito ai fini dell’accoglimento della domanda di addebito, non aveva valorizzato il fatto che la moglie aveva aderito ad un credo religioso differente da quello da sempre praticato dall’intera famiglia e che a seguito di tale scelta aveva assunto dei comportamenti contrari ai doveri matrimoniali (non si curava più del marito, non provvedeva alla contribuzione alla vita familiare nemmeno con il lavoro casalingo, denigrava il marito al quale continuava a chiedere denaro ecc..). Letta l’argomentazione la Corte di Cassazione, ribadiva il principio già esposto dal giudice di secondo grado secondo cui il solo mutamento della fede religiosa e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configuratosi come esercizio dei diritti garanti dalla Costituzione, non può di per sé considerarsi ragione di addebito della separazione a meno che l’adesione al nuovo credo si traduca in comportamenti incompatibili con i doveri nascenti dal matrimonio determinando quindi una situazione di intollerabilità della convivenza. Gli Ermellini inoltre, ribadivano che il principio a fondamento dell’addebito della separazione è la prova del nesso causale tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza. Nel caso in esame la Corte d’appello al fine di sostenere che la violazione dei doveri coniugali fosse in realtà la conseguenza di una rottura dell’unione matrimoniale già avvenuto e non la causa dell’impossibilità di proseguire la convivenza, valorizzava una situazione di reciproca sostanziale autonomia di vita dimostrata dal fatto che coniugi già dormivano separati, tuttavia, la Corte di Cassazione rilevava che il giudice di secondo grado non aveva spiegato se una simile situazione risalisse ad epoca antecedente il mutamento di credo religioso della moglie ed i conseguenti comportamenti in violazione dei doveri matrimoniali.
Gli Ermellini pertanto, evidenziando come la negazione della sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti lamentati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza era rimasta affidata alla constatazione di una situazione di fatto che tuttavia non aveva una collocazione temporale certa antecedente, cassava la sentenza di secondo grado e rimetteva la causa alla Corte d’Appello di Napoli affinché venissero valutati i comportamenti tenuti dalla moglie nei confronti del marito e stabilita con certezza la collocazione temporale dei fatti così da poter effettivamente valutare la sussistenza del nesso causale richiesto per la pronuncia di addebito della separazione.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2017, con tesi in diritto dell’informatica giuridica, analizzando l’istituto della “Responsabilità dei Portali Web e il fenomeno delle fake news”.
Interessata fin dall’inizio del suo percorso universitario alle materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2017 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel mese di gennaio 2021 è diventata Avvocato, del Foro di Milano.