La gelosia è come la pazzia: ma è veramente così?
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
I Dirotta su Cuba così cantavano “Gelosia, è come la pazzia. Vive di fantasia. Non ti fa più dormire… Cresce come un’idea…”.
Ma gelosia è veramente come la pazzia?
La giurisprudenza sulla gelosia si è espressa in modo molto vario, qualificandola come reato, attenuante, aggravante e causa di vizio totale di mente (e quindi di non imputabilità).
Secondo la Cassazione la gelosia può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., quando ha i connotati di “ossessività” e vi è l’assoggettamento della vittima: la gelosia morbosa deve sfociare in comportamenti ossessivi, maniacali, in limitazioni e condizionamenti della vita del partner (sent n. 32781/2019).
Vi sono altri reati astrattamente configurabili con comportamenti gelosi ossessivi, come lo stalking (attuato per gelosia con pedinamenti, messaggi o mail continui, tali da comportare ansia e/o variazione delle proprie abitudini di vita), le molestie (se non vi è abitualità della condotta e non si crea uno stato d’ansia) o la minaccia (se si prospetta un male ingiusto).
Inoltre, per gli Ermellini la gelosia può integrare l’aggravante dei motivi abietti o futili, prevista dall’articolo 61 n. 1 c.p.. E’ abietto il motivo turpe, spregevole, che rileva nell’agente un tale grado di perversità da suscitare un senso di ripugnanza nella persona di media moralità; mentre è futile il motivo che è del tutto sproporzionato alla entità del reato commesso.
In particolare, la gelosia costituisce motivo futile o abietto quando è connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima o un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di “spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione” (Cass., n.49673/2019, n. 44319/2019).
Potrebbe, invece, essere esclusa la sussistenza di tale aggravante qualora la gelosia, collegata ad un abnorme desiderio di vita in comune da parte dell’imputato, abbia indotto quest’ultimo a gesti del tutto inaspettati e illogici.
Al contrario, la gelosia è stata presa in considerazione dai Giudici ai fini della concessione delle attenuanti generiche, in presenza di situazioni di “natura ambientale e sociale che abbiano influito negativamente sullo sviluppo della personalità del reo”.
Giova ricordare, sul punto, una pronuncia di assoluzione della Corte di Assise di Brescia nei confronti di un uomo, imputato per aver cagionato la morte della moglie, in quanto al momento del fatto non era imputabile per vizio totale di mente determinato da un “delirio di gelosia”.
La vicenda secondo la Corte “presenta profili inquietanti proprio perché l’impulso omicida si è infiltrato nella mente dell’imputato in modo silente, ma con insistenza ossessiva, fino a deflagrare il mattino del fatto in una “spinta irrefrenabile”, ricalcando lo schema tipico della sindrome delirante, ove il disturbo non interferisce di norma con la quotidianità”.
Secondo la Corte di Assise va distinta “la gelosia delirante, quale sintomo di una patologia psichiatrica, dalla gelosia come stato d’animo passionale, tale da determinare impulsi violenti improvvisi e incontrollati all’esito di acuti stati di tensione”.
Ha, quindi, ritenuto di non poter condannare l’imputato perché incapace di intendere e di volere: “non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento”.
Recentemente la Cassazione (sent. n. 28561/2022) si è espressa con riguardo ad un caso di omicidio di una donna da parte del marito, alquanto geloso.
L’uomo aveva confidato a più persone di voler uccidere la moglie e il 23 dicembre 2018 la minacciava con un coltello per ottenere la confessione sui tradimenti, tentando di strangolarla: poi prendeva un laccio, lo posizionava sul collo della vittima e lo stringeva fino a cagionarne la morte.
In primo luogo la Cassazione ha ritenuto la sentenza impugnata ben motivata nel punto in cui ha spiegato le ragioni per le quali condivideva le argomentazioni del Consulente del Pubblico Ministero; il CT aveva ritenuto l’imputato “non affetto da malattie mentali o disturbi della personalità di rilevante gravità, ma con personalità caratterizzata da stile antisociale”.
In particolare era stato diagnosticato in capo all’imputato un disturbo della personalità limitato e come tale inidoneo ad una compromissione significativa delle capacità intellettive e volitive dello stesso.
Secondo gli Ermellini “lo sconvolgimento emotivo provocato da tali eventi negativi (decisione della moglie di separarsi) peraltro già vissute in passato e superate, è assimilabile, una volta esclusa l’infermità, agli stati emotivi e passionali, che, ai sensi dell’articolo 90 cod. pen., non escludono né diminuiscono la personalità”.
Inoltre la Suprema Corte non ha alcun dubbio sulla sussistenza della premeditazione: è trascorso un consistente lasso di tempo tra il momento in cui è sorto il proposito criminoso – oltretutto confidato a più persone – e la sua attuazione, realizzatosi esattamente come lo stesso aveva anticipato. In buona sostanza, egli aveva potuto ben riflettere.
L’imputato non merita neppure le attenuanti generiche, anche in considerazione dell’assenza di un pentimento: lungi dall’aver agito in preda ad una incontrollabile sofferenza interiore, era stato spinto da un “deprecabile sentimento possessivo, concependo l’uccisione della moglie come un intervento punitivo reso ineluttabile dal comportamento riprovevole della vittima, rea di averlo tradito e di volersi separare”.
La gelosia “se collocata nell’ambito di un ingiustificato autoritarismo derivante dalla personalità violenta dell’imputato, da di per sé ragione del diniego delle attenuanti generiche”.
E ancora “Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la gelosia costituisce uno stato passionale di per sé inidoneo a diminuire o ad escludere la capacità di intendere o volere dell’autore di un reato, a meno che la stessa non derivi da un vero e proprio squilibrio psichico tale da incidere sui processi di determinazione e di auto inibizione: il che però postula uno stato delirante, che nell’incidere sul processo di determinazione o di inibizione, travolge l’agente in una condotta abnorme ed automatica.”
In base ai rilievi svolti, la gelosia non scrimina la condotta se non rientra in un disturbo della personalità ed è soltanto un “deprecabile sentimento possessivo”: pare, quindi, che i Dirotta su Cuba abbiamo commesso un errore qualificando la gelosia come la “pazzia”!
Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.