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violenza economica

Il maltrattamento economico nei rapporti familiari

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La forma più utilizzata di violenza nei rapporti familiari è quella fisica. Esistono, tuttavia, altre manifestazioni di violenze, in particolare quella psicologica e quella economica.

Quest’ultima sussiste quando il “capo famiglia” – ossia colui o colei che si trova in una posizione di “superiorità economica” – minaccia di negare o nega costantemente ai membri della famiglia le risorse; oppure scoraggia o impedisce tutto ciò che potrebbe portare ad un’autonomia, come scelte di studio, di vita o di attività professionali.

Generalmente le vittime di questo tipo di maltrattamento non hanno fonti di guadagno, un conto corrente o carte di credito. Devono utilizzare i beni del capo famiglia, chiedendo un’apposita autorizzazione, che viene solitamente negata. Il permesso viene chiesto anche per sostenere le spese quotidiane, necessarie per il menage familiare. Qualora venga concesso, scatta la fase del controllo delle spese, esame quasi maniacale: le vittime devono sempre fornire spiegazioni con riguardo a qualunque spesa effettuata.

Come nel caso della violenza fisica e psicologica, anche in quella economica si assiste ad un peggioramento dei comportamenti e, conseguentemente, dello stato delle vittime.

Per violenza economica si intende, quindi, ogni atto che tende a privare la vittima della propria indipendenza economica o della partecipazione alla gestione delle finanze domestiche familiari.

Rappresenta uno strumento di controllo e manipolazione, che giunge a livelli molto gravi, motivo per il quale difficilmente le vittime riescono a staccarsi dall’ambiente violento. Ed invero, la mancanza di indipendenza economica, di denaro, ma anche di forza psicologica non consente di poter far fronte al proprio mantenimento e a quello dei figli.

Secondo il rapporto annuale dell’associazione  D.i.Re – Donne in rete, una donna su tre che vi si rivolge è a reddito zero (32,9%) e meno del 40% può contare su un reddito sicuro. La forma più frequente di abusi subìta è quella psicologica (77,3%), inoltre almeno 1 donna su 3 (33,4%) subisce violenza economica.

Si tratta di un fenomeno subdolo del quale si parla meno rispetto alla violenza fisica, ma piuttosto rilevante, visto che in base a recenti dati colpisce il 26,4% delle donne in Italia. E tale percentuale potrebbe non essere esatta, in quanto le donne si rivolgono ai centri antiviolenza solo a causa di maltrattamento fisico.

Lo sportello Mia Economia di Fondazione Pangea ha rilevato come si verifichi  in tutti i livelli socio-economici, poiché sono vissuti da donne di ogni classe e livello di reddito; inoltre, riguarda principalmente donne tra i 40 e i 60 anni.

Secondo una ricerca di Episteme dal titolo “Le donne e la gestione famigliare”, nel 2019 meno del 40% – quindi tre donne su dieci – non avevano un conto corrente personale  e dipendevano da quello del marito o compagno;  la situazione era peggiore al Sud , nelle isole e tra coloro che avevano un basso livello di istruzione.

La Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, all’art. 3 cita la violenza economica. Ed infatti così recita a proposito della violenza nei confronti delle donne “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata” e la violenza domestica come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

L’art. 12 della Convenzione prevede il dovere di “adottare le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini”.

Ai casi di violenza economica si possono applicare gli ordini di protezione contro gli abusi familiari previsti dagli art. 342 bis e 342 ter cc; inoltre, è possibile chiedere l’ammonimento ai sensi dell’art.  3 del Decreto 93/2013 convertito dalla Legge 119/2013 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere.

Va anche sottolineato come nell’ambito del nostro ordinamento non esista una norma specifica per la violenza economica. Tuttavia i comportamenti ad essa sottesi possono integrare diversi reati, come i maltrattamenti in famiglia previsti dall’art. art. 572 c.p..

La Cassazione in passato precisò che “le scelte economiche ed organizzative in seno alla famiglia, per quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, non possono di per sé integrare gli estremi dei maltrattamenti, salvo non sia provato che esse costituiscano frutto di comprovati atti di violenza fisica o di prevaricazione psicologica” (Cass. n. 43960/2015).

Le Sezioni Unite della Cassazione rilevarono come “l’espressione delitti commessi con violenza alla persona, adoperata dal legislatore in sede di conversione del d.l. n.93 del 2013, rinvia ad una fattispecie molto più ampia rispetto a quella del reato di maltrattamenti in famiglia originariamente previsto, e deve pertanto essere intesa in senso estensivo, comprensiva di tutte le violenze di genere e quindi anche di quella che non si estrinsechi in atti di violenza fisica ma riguardi anche la violenza psicologica, emotiva o che si realizzi soltanto con le minacce … quella commessa da una persona che è l’attuale o l’ex partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere se l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico mentale o emotivo, o perdite economiche” (Cass. Sez. Un. n.10959/2016).

Altri reati che potrebbero ritenersi astrattamente configurabili a fronte di una violenza economica sono la violenza privata  ex art. 610 c.p., la riduzione e mantenimento in schiavitù previsto dall’art. 600 c.p., nonché la violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. art. 570 c.p..

Sarebbe, tuttavia, necessario che il legislatore intervenisse, inserendo un’apposita norma per punire adeguatamente il maltrattamento economico.

Author Profile
Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.