fbpx

Blog

Home  /  DIRITTO DELLE SUCCESSIONI E DONAZIONI   /  Criteri di ripartizione del TFR tra coniuge divorziato e coniuge superstite
trattamento fine rapporto

Criteri di ripartizione del TFR tra coniuge divorziato e coniuge superstite

(A cura dell’Avv. Angela Brancati)

Al pari della pensione di reversibilità, la legge sul divorzio all’art. 12-bis prevede il diritto per l’ex coniuge ad una percentuale del T.F.R. dell’altro se:

1. sia titolare di un assegno divorzile con cadenza periodica;

2. non sia convolato a nuove nozze.

Accanto alla suddetta norma, l’articolo 2122 del codice civile detta, poi, la regola sull’indennità in caso di morte del prestatore di lavoro da corrispondersi a favore del coniuge, dei figli e dei parenti entro il terzo grado e degli affini entro il secondo grado, laddove viventi a carico del primo. 

Quanto alla determinazione delle quote da attribuirsi in capo ai legittimati eventualmente in concorso con il coniuge divorziato ex art 12 bis della legge 898/70, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi di recente con la pronuncia n. 21247/2021, dettando i criteri per l’esatta ripartizione, avuto riguardo non solo a quelli legali ma anche a quelli di matrice giurisprudenziale con il tempo mutati e successivamente consolidatisi.

Il tema ha riguardato in particolar modo, il concorso tra il coniuge superstite e il coniuge divorziato, rispetto al quale originariamente la Corte di Cassazione con una pronuncia risalente al 2008 n. 23880 aveva sostenuto come in caso di scioglimento del rapporto di lavoro a causa di morte da parte del lavoratore, laddove concorressero l’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile unitamente al coniuge superstite entrambi avrebbero potuto beneficiare dell’indennità per la cui ripartizione doveva aversi riguardo alla durata dei rispettivi matrimoni.

Sebbene la Corte di Cassazione avesse enunciato tali criteri rifacendosi in particolar modo a quello di matrice legale, di recente i giudici di legittimità sono tornati sul tema enunciandone degli altri, tra cui quello della convivenza. In particolare, i giudici sono stati investiti della questione a seguito di una pronuncia della Corte d’Appello di Potenza la quale non avendo fatto esatta applicazione dei criteri enunciati precedentemente dalla Suprema Corte di Cassazione, aveva previsto l’assegnazione della somma pari al 40% dell’intera indennità a favore del coniuge divorziato già beneficiario dell’assegno divorzile, sulla base dei soli anni di matrimonio coincisi con con il rapporto di lavoro, e limitandosi poi a suddividere la restante somma tra il coniuge superstite e i figli secondo lo stato di bisogno di ciascuno di essi. Ai fini, inoltre, della determinazione a favore del coniuge superstite, ricorrente per Cassazione, la Corte territoriale aveva tenuto conto dei soli anni di matrimonio trascorsi senza tuttavia tenere in considerazione anche la durata della convivenza. Si riteneva, invero, che la convivenza prima del matrimonio non avesse fatto venire meno la comunione di vita tra gli ex coniugi.

La Corte di Cassazione, prendendo le distanze dall’appena esposta ripartizione nell’ordinanza 21247/2021 detta i principi secondo cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto determinare la quota spettante a ciascun coniuge. Si legge come il giudice di merito avrebbe dovuto quantificare le quote dapprima tra il coniuge superstite e gli altri aventi diritto ai sensi dell’articolo 2122 comma 1 c.c. e solo successivamente determinare la quota spettante al coniuge divorziato in ragione del criterio rappresentato dalla durata del matrimonio così come previsto dall’articolo 9 comma 3 della legge sul divorzio unitamente agli altri criteri giurisprudenziali tra cui anche la convivenza stabile ed effettiva. La quota del coniuge divorziato, in altre parole, avrebbe dovuto insistere ed incidere eventualmente sulla quota del coniuge superstite, senza che questa venisse calcolata autonomamente sulla sola base del 40% così come previsto dalla legge.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione il trattamento di fine rapporto deve essere dapprima suddiviso in parti uguali tra il coniuge superstite e i figli del lavoratore deceduto laddove tutti gli aventi diritto versino in un medesimo stato di bisogno,  e solo successivamente sulla quota così come determinata a favore del coniuge superstite deve essere calcolata quella a favore del coniuge divorziato, tenuto conto della durata del matrimonio e laddove esistente della durata della convivenza laddove stabile ed effettiva.

La Corte di Cassazione, pertanto, cassando con rinvio alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione ha enucleato il seguente principio di diritto cui la stessa Corte territoriale sarà chiamata ad attenersi nella corretta determinazione dell’indennità: “in tema di regolazione della crisi coniugale, mentre l’articolo 12 bis della legge 898/70 si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l’ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge e tale percentuale è pari al quaranta per centro dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; l’art. 9, comma 3, della legge 898/70 regola il caso del concorso con il coniuge superstite, aventi i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell’assegno divorzile”. La determinazione va effettuata non solo alla luce degli anni di matrimonio ma anche in virtù della convivenza laddove il coniuge interessato provi la stabilità e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il lavoratore deceduto. Viene in essere, così, un nuovo ed importante criterio giurisprudenziale nella determinazione della quota spettante ai coniugi, consistente nella durata stabile ed effettiva della convivenza.

Author Profile

Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.

Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.

Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.