La “rapina” di ovociti
(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)
La Corte di Cassazione ha pronunciato un’interessante sentenza (n. 37818/20) nei confronti di un noto ginecologo, trattando la questione del prelievo non consensuale di ovociti. Più precisamente l’imputato era accusato di aver anestetizzato una donna senza il suo consenso per prelevarle degli ovuli, poi impiantati nell’utero di altre pazienti, col fine di procurarsi un ingiusto profitto. In primo ed in secondo grado l’imputato veniva condannato per i reati di rapina pluriaggravata. Pertanto, il ginecologo presentava ricorso per Cassazione, sottolineando come la supposta azione violenta fosse stata realizzata quando ancora non esisteva “la cosa mobile oggetto dell’impossessamento”, essendo gli ovociti ancora parte del corpo umano.
La Cassazione formula nella sentenza citata dei principi fondamentali per inquadrare in una specifica e grave fattispecie di reato la condotta di prelievo, sottrazione ed impossessamento di ovociti.
La Suprema Corte innanzitutto rileva come vadano considerate cose mobili non solo quelle in senso stretto, ma anche quelle che possono essere “mobilizzate” mediante enucleazione o avulsione. Inoltre, precisa che agli effetti penali vada considerata mobile qualunque cosa passibile di detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione.
Secondo gli Ermellini è possibile parlare di “reificazione” anche a proposito degli ovociti, che fanno parte del circuito biologico della donna fino a quando sono nel suo corpo, ma divengono “cosa” nel momento in cui vengono distaccati. Trattandosi di distacco da un corpo umano “è a quel momento che viene ricondotta la detenzione degli ovociti, e non a quello precedente in cui gli stessi erano mobilizzabili ma non ancora mobili. La peculiarità dell’intervento di ‘pick up’ (…) non è di ostacolo alla configurabilità in capo alla donna della detenzione dei gameti femminili (…)”.
Gli ovociti, dunque, diventano cosa mobile solo al termine del processo di asportazione dal corpo umano e, una volta distaccati, sono passibili di sottrazione ed impossessamento.
La violenza – che secondo la difesa dell’imputato sarebbe elemento costitutivo del delitto di violenza privata, perché posta in essere per tollerare l’asportazione degli ovociti – è in realtà esercitata sulla persona ed integra il delitto di rapina, dal momento che costituisce la premessa necessaria per l’impossessamento. Ed invero fra la condotta violenta e l’impossessamento degli ovociti (usati poi per la fecondazione di altre donne) sussiste “immediatezza e strumentalità”: l’imputato usò violenza per costringere la donna a subire l’intervento, sedandola per metterla in uno stato di incoscienza, al fine di prelevare gli ovociti, poi fecondati con l’impianto in altre pazienti, conseguendo un ingiusto profitto.
Va, quindi, esclusa la sussistenza della violenza privata, perché sarebbe del tutto “obliterato” l’impossessamento degli ovociti, prelevati senza il consenso della persona offesa. Va, del resto, anche esclusa la configurabilità del concorso tra violenza privata ed un eventuale furto, perché causerebbe un frazionamento ingiustificato di una sequenza materiale in realtà unitaria.
La Cassazione, quindi, non ha dubbi nel definire la condotta del ginecologo come rapina, sottolineandone la gravità, sia per la violenza nei confronti della vittima, sia per l’ingiusto profitto patrimoniale ottenuto, che ha rappresentato sin dall’inizio il movente.
Si tratta indubbiamente di una materia molto delicata e complessa, nella quale non si può prescindere dal consenso della donna a cui vengono prelevati gli ovociti.
Avv. Stefania Crespi
Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.