SONO VALIDI GLI ACCORDI SULLE SPESE PRESI DAI CONIUGI DURANTE IL MATRIMONIO
(A cura della Dottoressa Elisa Cazzaniga)
L’approfondimento di oggi si concentra sugli accordi di ripartizione delle spese presi dai coniugi anche prima della separazione.
Con l’ordinanza n. 13366 del 15 maggio 2024, la Corte di Cassazione in tema di suddivisione delle spese del nucleo famigliare ha affermato che “gli accordi presi dai coniugi via mail, anche prima della separazione, sono validi a tutti gli effetti”.
La vicenda trae origine dalla decisone di due coniugi i quali in costanza di matrimonio di accordarsi via mail sulla suddivisione delle spese dell’abitazione e del mantenimento del figlio minore nelle proporzioni del 60% a carico del marito e del 40% a carico della moglie.
Una volta pervenuti alla separazione, l’uomo pretendeva dalla moglie il rimborso di alcune spese dallo stesso affrontate in costanza di matrimonio nella percentuale stabilita tra loro. A fronte del diniego della moglie, l’uomo proponeva ricorso al Giudice di Pace di Roma per ottenere il pagamento da parte della donna della somma di € 2.500,00 a titolo di rimborso della quota delle spese sostenute nell’interesse della famiglia. La difesa del ricorrente partiva dal presupposto che dovesse essere riconosciuta piena validità giuridica all’accordo di ripartizione delle spese concluso tra i coniugi in costanza di matrimonio.
Il Giudice di Pace, in primo grado, ed il Tribunale Ordinario di Roma, adito in sede di impugnazione, tuttavia, rigettavano la domanda ritenendo che le spese di cui ciascun coniuge si era fatto carico durante la convivenza matrimoniale dovessero rientrare tra quelle effettuate per i bisogni della famiglia e che, di conseguenza, ex art. 143 c.c., non potessero essere ripartibili pro-quota e ripetibili in quanto espressione della solidarietà familiare in adempimento dell’obbligo di contribuzione. Il citato articolo, infatti, prevede che con il matrimonio i coniugi acquistano i medesimi diritti ed assumono i medesimi doveri, ivi incluso quello di contribuire ai bisogni della famiglia.
L’uomo, insoddisfatto, proponeva ricorso per Cassazione lamentando che il Tribunale di Roma aveva ritenuto lo scambio di mail in cui i coniugi avevano ripartito la suddivisione delle spese nella misura del 60% a carico dell’uno e del 40% a carico dell’altra quale meramente funzionale all’organizzazione delle spese quotidiane e quale accordo vincolante sulla suddivisione delle spese, come in realtà desumibile dal tenore delle dichiarazioni dei coniugi. La donna infatti, sulla base di tali accordi presi via mail era gravata del 40% delle spese relative all’abitazione ma aveva ricevuto la disponibilità della casa coniugale e dell’auto di famiglia di proprietà del ricorrente.
Gli Ermellini dichiaravano la fondatezza del ricorso dell’uomo precisando che, in caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto, la sentenza incide sul vincolo e realizza un mero controllo esterno sull’accordo raggiunto che ha natura negoziale. Essendo superato l’orientamento che ritiene sussistente un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto a quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, i coniugi possono concordare sia gli aspetti patrimoniali che quelli personali della vita familiare, quali l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori.
La Corte di Cassazione ha confermato il generale principio secondo cui durante il matrimonio ciascun coniuge deve contribuire alle esigenze della famiglia senza aver il diritto, in caso di separazione, di chiedere il rimborso per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio. Tuttavia, gli Ermellini hanno precisato che tale principio può essere derogato tramite un accordo negoziale dei coniugi che meglio rispecchi le capacità economiche di ciascuno e che sia comunque finalizzato al soddisfacimento delle esigenze primarie della famiglia e dei figli, sempre nel rispetto di doveri solidaristici caratteristici del matrimonio.
Per tali motivi dunque, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso dell’uomo cassando la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma e riconoscendogli il diritto a vedersi rimborsati gli oltre € 2.500,00 per cui aveva originariamente adito il Giudice di Pace.
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