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La ‘sottomissione violenta’ è necessaria per il reato di maltrattamenti in famiglia?

(A cura dell’Avv. Stefania Crespi)

La Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso di maltrattamenti in famiglia (oltre che di violenza sessuale, lesioni e la violazione dell’art. 570 c.p. per avere fatto mancare alle figlie minori i mezzi materiali per potersi mantenere in vita) a fronte di un ricorso presentato da un uomo condannato a 3 anni di reclusione dalla Corte di Appello di Caltanissetta (Cass, sent. n. 36170/23).

La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Enna.

Il ricorso per cassazione contestava la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia, non essendo stata adeguatamente verificata la necessaria abitualità della condotta maltrattante. Inoltre, si sosteneva la mancanza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 572 c.p., per non essere riscontrabile lo stato di soggezione della persona offesa.

In buona sostanza, la doglianza del ricorrente riguardava la ritenuta insussistenza sia della reiterazione delle condotte, sia della “penosa condizione di vita della persona offesa, che dello stato di sottomissione di questa rispetto all’imputato”.

Secondo la Cassazione tali doglianze non possono essere accolte.

Innanzitutto gli Ermellini ricordano che il delitto di maltrattamenti in famiglia è un reato abituale: è necessario che le singole condotte siano caratterizzate da una “sistematica iterazione tanto da avere fatto dire che deve trattarsi di un ‘sistema di vita di relazione abitualmente doloroso ed avvilente’ per il soggetto passivo”.

Su tale abitualità non vi può essere alcun dubbio in considerazione delle plurime dichiarazioni delle figlie che riportano “una desolante situazione di ripetute ed umilianti vessazioni” fra cui l’avvenuta abdicazione di ogni funzione educativa verso la prole e la mancanza di rispetto (come l’assunzione abituale di sostanze stupefacenti all’interno dell’abitazione familiare ed alla presenza delle figlie).

Ciò, secondo la Suprema Corte, integra “l’avvilente sistema di vita rilevante ai fini della integrazione del reato”.

Non rileva l’assenza di condotte minatorie, poiché il delitto in esame non postula ineluttabilmente l’esistenza di minacce o, comunque, di atti volti a ledere o porre in pericolo l’integrità fisica, essendo necessaria (e sufficiente) una condotta di tipo maltrattante.

Tale condotta può estrinsecarsi con atti sistematici rivolti a svilire gravemente la dignità, compromettendo la serenità familiare.

Quanto alla pretesa carenza della “sottomissione morale di un coniuge nei confronti dell’altro” – dal momento che il clima familiare era caratterizzato da una situazione di reciproca tensione – la Cassazione definisce tale argomento “errato in diritto”: ed invero a fronte di condotte abitualmente vessatorie concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso “per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa”.

In buona sostanza, la “riduzione della vittima a succube dell’agente” non è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice in esame.

La Cassazione aveva già affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (Cass., sent. n. 12206/20).

I principi espressi dalla recente sentenza sono rilevanti e rappresentano un avvertimento a rispettare il/la coniuge: sussiste il reato anche senza una vera e propria sottomissione, anche senza l’uso della violenza e, al contrario, con reazioni della parte offesa, quando l’agente pone in essere abitualmente condotte vessatorie che sviliscono notevolmente, causando sofferenze, privazioni e umiliazioni.

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Avv. Stefania Crespi

Svolge la sua attività dal 1996 presso lo Studio Legale Ravaglia, dove ha maturato una consolidata esperienza e specifica competenza nel Diritto penale d’impresa, seguendo processi in tema di reati societari, finanziari, fallimentari, reati contro la pubblica amministrazione, responsabilità penale in ambito sanitario, nonché per violazioni del codice stradale.
Collabora da anni con lo Studio Legale Di Nella per i procedimenti penali concernenti i reati contro la famiglia.