Riconosciuto il diritto della moglie ad essere mantenuta se vive in un contesto regionale con alto tasso di disoccupazione
(A cura dell’Avv. Maria Grazia Di Nella)
In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita’ di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilita’ di svolgimento di un’attivita’ lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche
Con l’ordinanza n.18820/2022 del 10-06-2022 la Corte di Cassazione conferma di diritto all’assegno di mantenimento a favore di una donna di 48 anni, priva di titoli di studi e senza alcuna esperienza lavorativa alle spalle riconoscendo la correttezza della decisione presa dalla Corte d’Appello di Catanzaro. Il Tribunale di Crotone, infatti, nel negare alla donna – priva di una qualsiasi attività lavorativa – il richiesto contributo al mantenimento, non aveva accertato in concreto la di lei possibilità di un’effettiva capacità lavorativa né la difficile situazione del mercato del lavoro nel meridione.
Ancora una volta gli Ermellini – ribadendo il principio di diritto che in tema di separazione personale dei coniugi individua nella funzione assistenziale e perequativa la funzione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge al quale non è addebitabile la separazione – sono intervenuti specificando che l’attitudine al lavoro, intesa come potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura del mantenimento ma deve, però, essere verificata la effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l’accertamento al solo mancato svolgimento di un’attività lavorativa.
Il giudice della separazione, infatti, ai sensi dell’art. 156 c.c. su richiesta del coniuge economicamente più debole, deve stabilire un contributo mensile a suo favore allorquando verifica l’assenza di redditi propri o una significativa sproporzione reddituale e patrimoniale tra i coniugi, tenuto conto della durata del matrimonio, l’età del richiedente e le potenzialità reddituali del richiedente sulla base della sua qualifica professionale e del contesto in cui vive.
Il solo fatto che il richiedente non abbia un impiego non garantisce in automatico la corresponsione di un assegno perché sono escluse le mere valutazioni astratte ed ipotetiche, a favore di una valutazione della situazione nel concreto, volta anche ad accertare l’esistenza di eventuali attività lavorative in nero o di stabili relazioni sentimentali del richiedente.
Il Giudice della separazione, infatti, è tenuto a prendere in considerazione non soltanto i redditi in denaro ma anche tutte le “utilità” o capacità del coniuge suscettibili di valutazione economica: dovrà pertanto, essere indagata l’esistenza di un’attività lavorativa in nero o la stabilità della nuova relazione sentimentale del richiedente.
La giurisprudenza è ormai costante nell’affermare che anche eventuali redditi non dichiarati, ad esempio redditi di lavoro in nero, devono concorrere alla qualificazione dell’assegno, e una relazione sentimentale con carattere di stabilità può essere motivo per escludere il diritto del coniuge al mantenimento.
Con l’ordinanza n. 18862/22 la Cassazione ha infatti specificato che l’assistenza del nuovo partner può assumere rilievo ai fini della valutazione delle condizioni economiche del richiedente l’assegno, quando la nuova relazione abbia carattere di stabilità e continuatività anche in assenza di coabitazione, e sia accertata l’elaborazione di un diverso progetto di vita, caratterizzato dalla condivisione di nuovi bisogni, interessi, abitudini, attività e relazioni sociali, tali da comportare il superamento del modello familiare cui era improntata la pregressa esperienza coniugale, e con esso del tenore di vita precedentemente goduto.
Alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, la Corte d’Appello di Catanzaro aveva posto a carico del marito l’assegno di mantenimento osservando che la condizione economica complessiva dell’appellato era migliore, che non era stato provato che la donna lavorasse in nero né che convivesse con un altro uomo. Non solo, il magistrato aveva rilevato che non c’era la possibilità di un’effettiva capacità lavorativa dell’appellante che non aveva mai lavorato e non aveva un titolo di studio, anche a causa del contesto territoriale regionale, caratterizzato da una forte disoccupazione e da una larga diffusione del precariato.
Il ricorrente ricorreva in Cassazione lamentando che il giudice aveva ritenuto sussistere il diritto dell’ex di ricevere il mantenimento senza una prova della sua impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati per vivere autonomamente, escludendo la di lei capacità lavorativa solo sulla base dell’età e della mancanza di un titolo di studio. Inoltre il marito accusava la moglie di lavorare in nero, di aver chiesto il reddito di cittadinanza e di avere una stabile relazione sentimentale.
Per il Palazzaccio, però il ricorso dell’uomo è infondato e legittima la di lui condanna alle spese: il giudice di merito aveva correttamente valutato nel concreto la situazione, il ricorrente non aveva fornito valida prova né dell’esistenza di redditi in nero né dell’esistenza di una relazione sentimentale stabile e con un progetto di vita condiviso. Inoltre, la donna non aveva rifiutato proposte di lavoro ovvero la possibilità di acquisire professionalità necessarie per entrare nel mondo del lavoro. Palesi secondo gli Ermellini, le difficoltà della donna per reperire un’attività lavorativa nel territorio calabro.
È Avvocato Collaborativo del Foro di Milano, componente del Comitato Scientifico della SOS Villaggi dei Bambini Onlus, membro attivo dell’Associazione Camera Minorile di Milano, socia dell’AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori), socia dell’AIADC ( Associazione Italiana degli Avvocati di Diritto Collaborativo) nonché delle IACP ( International Academy of Collaborative Professionals), socia dell’Associazione ICALI (International Child Abducion Lawyers Italy) ed iscritta nell’elenco avvocati specializzati all’assistenza legale delle donne vittime di violenza (BURL – Serie ordinaria n.46 17.11.2016).