La moglie deve lasciare la casa familiare avuta in comodato dai suoceri, se durante la separazione la figlia si trasferisce dal padre
(A cura dell’Avv. Angela Brancati)
Il Tribunale di Enna in composizione monocratica con la sentenza pubblicata lo scorso 6 novembre 2024 ha statuito che – morti i suoceri che avevano concesso la casa familiare in comodato – la moglie deve lasciare entro un termine non superiore a 30 giorni l’immobile, se la figlia nel corso del giudizio di separazione ha deciso di andare a vivere con il padre che nel frattempo aveva lasciato la casa familiare.
Secondo il Tribunale, infatti, non sussistevano nel caso di specie i presupposti per l’assegnazione della casa familiare alla madre essendo venute meno esigenze di crescita e sviluppo della figlia all’interno delle mura domestiche stante il trasferimento della prole e morti i suoceri, la donna non aveva un titolo legittimante per rimanere in casa.
Al tempo stesso, tuttavia, il Tribunale di Enna ha chiarito che la donna non avrebbe dovuto corrispondere al marito e al cognato che nel frattempo avevano ereditato dai genitori l’abitazione nella misura del 50% ciascuno, alcuna somma a titolo di risarcimento del danno per aver occupato sine titulo l’immobile.
La vicenda traeva origine dalla richiesta di restituzione dell’abitazione avanzata dal marito, divenuto erede insieme al fratello dell’abitazione familiare, nelle more di un giudizio di separazione.
A sostegno della domanda di rilascio, infatti, l’uomo riferiva che i propri genitori erano mancati, il contratto di comodato si era quindi risolto, l’affectio coniugalis era venuta meno, lui si era allontanato da tale abitazione insieme alla figlia. A conferma della mancanza di un titolo legittimante l’attore riferiva che anche che in seno al giudizio di separazione, il Presidente all’esito dell’Udienza Presidenziale nulla aveva statuito in ordine all’assegnazione di quella che doveva essere considerata quale casa familiare, non essendoci motivo di decidere, dal momento che la figlia che avrebbe dovuto giustificare l’eventuale assegnazione alla madre, dopo poco tempo dal suo allontanamento dalla casa, si era trasferita da lui in modo permanente. Costituitasi nel procedimento di rilascio, la donna adduceva che nel giudizio separatizio, il Tribunale nulla avesse disposto nè in ordine al rilascio nè in ordine all’assegnazione, poiché l’occupazione avrebbe dovuto considerarsi legittima in quanto componente dell’assegno di mantenimento a carico del marito a favore della moglie. In altre parole, secondo quest’ultima il silenzio del Giudice della separazione era motivato in ragione di una compiuta e tacita compensazione tra le squilibrate posizioni reddituali dei coniugi, essendo la stessa priva di occupazione e di reddito. Il Tribunale della separazione, pertanto, sempre a parere della donna nulla aveva statuito in ordine alla casa coniugale abitata unicamente dalla stessa, proprio per riequilibrare lo squilibrio economico esistente tra i coniugi. La donna, inoltre, aggiungeva che essendo ancora in corso il procedimento di separazione, ben avrebbe potuto il Collegio assumere decisioni differenti a seguito dell’istruzione della causa, ove la stessa avrebbe dimostrato l’impossibilità di reperire una soluzione differente rispetto a quella allora in essere essendo totalmente priva di redditi.
Concessi i termini per il deposito delle memorie degli attori e della convenuta, il Tribunale di Enna chiamato a decidere sul rilascio ritenuta la causa matura per la decisione si riservava.
Sciolta la riserva, il Giudice monocratico se da un lato riteneva fondata la domanda di restituzione formulata dagli eredi-attori, dall’altro rigettava la loro richiesta di risarcimento del danno per addotta occupazione sine titulo.
In particolare, l’organo giudicante riteneva che l’interpretazione fornita dalla convenuta dell’Ordinanza Presidenziale che nulla statuiva in ordine all’assegnazione della casa familiare, fosse del tutto priva di fondamento dal momento che nessuna addotta compensazione economica tra le posizioni economiche delle parti era stata presa in considerazione nel giudizio separatizio.
In nessun passaggio si leggeva, infatti, che il Presidente avesse voluto anche solo temporaneamente e in attesa della definizione del giudizio assegnare la casa alla donna. Ciò perché la funzione stessa dell’assegnazione era proprio quella di garantire alla prole una continuità abitativa goduta fino al momento dell’intervenuta separazione genitoriale. Nel caso di specie, la figlia minorenne aveva preferito trasferirsi con il padre in un immobile della defunta nonna lasciando così quella che fino ad allora era stata la propria abitazione nella quale fino a quel momento aveva vissuto con entrambi i genitori.
Per tale motivo, essendo venuto meno ogni presupposto che avrebbe legittimato la donna a continuare ad abitare l’immobile, occupato di fatto sine titulo a far data dalla separazione, alla stessa veniva ordinato il rilascio nei successivi 30 giorni.
Tuttavia, il Giudice non riteneva di dover accogliere anche la richiesta di risarcimento formulata dal marito e dal di lui fratello sulla scorta dell’illegittima addotta detenzione dal momento che gli stessi nulla avevano dimostrato in ordine all’effettivo danno subito, limitandosi a richiedere in maniera equitativa al giudice la quantificazione. La domanda secondo il Tribunale di Enna appariva del tutto generica e priva di fondamento: le Sezioni Unite con la sentenza 33645/2022 a proposito di ritardata restituzione di un immobile detenuto senza titolo non ammettevano alcuna automatica risarcibilità del danno dovendosi sempre dimostrare il pregiudizio connesso all’occupazione abusiva. In altre parole, il proprietario avrebbero dovuto provare che in assenza di occupazione illegittima l’immobile sarebbe stato oggetto di locazione, di compravendita, ovvero destinato ad un uso diretto dello stesso che lo avrebbe elevato ad abitazione personale.
Nel caso di specie, riteneva il Tribunale di Enna che nessuna di tali circostanze veniva tuttavia provata in giudizio dai richiedenti, i quali si erano limitati ad identificare il pregiudizio subito con la mera possibilità di godere del bene in modo diretto e in prima persona, senza null’altro allegare.
Per tutti i motivi di cui il Giudice in composizione monocratica condannava la donna a restituire l’immobile ai proprietari nel termine di 30 giorni e rigettava la domanda di risarcimento del danno formulata dai proprietari per occupazione sine titulo, compensando infine le spese processuali tra le parti.
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Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi di Parma nel 2016, con tesi in diritto diritto amministrativo.
Successivamente ha svolto il tirocinio ex art. 73 DL 79/2013 presso il Tribunale per i Minorenni di Milano dove ha coltivato il proprio interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia. Dal maggio 2018 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio.
Dal novembre 2019 ha conseguito il titolo di Avvocato e ad oggi appartiene al Foro di Milano.