Responsabilità aggravata per il padre che dissimula le proprie condizioni economiche per ridurre il mantenimento al figlio.
(A cura dell’Avv. Maria Zaccara)
La Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza 11475/2021 del 30 aprile 2021 ha chiarito che il genitore che dissimula le proprie reali capacità economiche per ottenere una riduzione del contributo al mantenimento dei figli rischia una condanna al risarcimento ex art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata.
Ai sensi di tale norma se risulta che la parte soccombente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.
Il caso in esame trae origine dalla richiesta di un padre di riduzione del contributo al mantenimento per il figlio e versamento diretto al ragazzo. In primo grado tali domande erano state respinte e il padre era stato condannato al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di responsabilità ex art. 96 c.p.c. in favore della madre del ragazzo. Il padre, allora, proponeva reclamo che veniva anch’esso rigettato dalla Corte D’Appello di Roma. Avverso tale ultima decisione l’uomo decideva di ricorrere per Cassazione.
Tra i vari motivi il ricorrente contestava e chiedeva la revoca, della condanna subita ex art. 96 c.p.c.: in particolare, egli riteneva che la motivazione addotta dalla Corte d’Appello di Roma di confermare la condanna ai sensi dell’art 96 c.p.c., in considerazione del comportamento processuale dello stesso “per aver dissimulato le sue reali capacità economiche” fosse apparente e rappresentasse una mera clausola di stile. Infatti, il ricorrente riteneva che la Corte distrettuale non avesse precisato quali atteggiamenti dissimulatori egli avrebbe posto in essere, appiattendosi sulla statuizione di primo grado, senza indicare le ragioni del rigetto del motivo di appello.
La Suprema Corte, al contrario, riteneva tale motivo infondato in quanto, la lettura della decisione impugnata, pur essendo sinteticamente motivata, andava integrata con quanto accertato in merito alle condizioni economiche dell’uomo e alla valutazione della sua condotta ostativa a un accertamento reddituale e patrimoniale completo. La decisione, secondo gli Ermellini è apparsa, pertanto, conforme al principio secondo il quale “in materia di responsabilità processuale aggravata, condotte sintomatiche dell’elemento soggettivo della mala fede o della colpa grave non si ravvisano soltanto nella consapevolezza della infondatezza in jure della domanda, ma anche nella omessa deduzione di circostanze fattuali dirimenti ai fini della corretta ricostruzione della vicenda controversa” (cfr. Cas. n. 4136/2018)
La Suprema Corte aggiunge, altresì, che in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 19298/2016).
Il ricorrente lamentava, invero, che prima il Tribunale e poi la Corte d’Appello non avessero tenuto in considerazione le vicende relative all’attività agricola non andata a buon fine. Al contrario gli Ermellini ritenevano che la Corte capitolina ne avesse tenuto conto e avesse, altresì, valutato i pignoramenti che ne avevano aggredito il patrimonio immobiliare, privandolo dell’eredità immobiliare familiare.
Tuttavia, la Corte aveva ritenuto di confermare la mancata dimostrazione del peggioramento delle condizioni economiche dell’uomo, procedendo a una valutazione complessiva degli esiti dell’attività istruttoria e valorizzando una serie di elementi ossia l’omessa documentazione richiesta in merito ad altre due società di cui l’obbligato possedeva delle quote, l’assenza di chiarezza e spiegazioni in merito a cospicui introiti confluiti in un determinato periodo sul suo conto, per ridursi improvvisamente, la mancata dimostrazione di eventi modificativi capaci di determinare un peggioramento delle sue condizioni economiche che giustificassero la chiusura dei conti, senza contare che l’uomo aveva dichiarato redditi eseguiti anche quando movimentava somme liquide di importo elevato sui suoi conti bancari e che la persona rinvenuta dal custode giudiziario dell’immobile allo stesso pignorato aveva affermato di essere sua affittuaria senza contratto di locazione e che questi non aveva dimostrato che il custode giudiziario aveva provveduto ad incamerare i proventi della locazione degli immobili.
Alla luce delle sovraesposte motivazioni la Suprema Corte di Cassazione riteneva la decisione della Corte d’Appello conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, ne gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prove acquisite nel processo essendo sufficiente che esponga, in maniera concisa ma logicamente adeguata, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della decisione e le prove ritenute idonee a confortarla.
In conclusione, pertanto, la Suprema Corte rigettava il ricorso.
Dopo essersi diplomata al Liceo Classico Salvatore Quasimodo di Magenta, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza a pieni voti presso l’Università degli Studi di Milano nel 2014, con tesi in diritto dell’esecuzione penale e del procedimento penale minorile, analizzando l’istituto del “Perdono Giudiziale”.
Coltivando l’interesse per le materie di diritto della persona, dei minori e della famiglia, dall’aprile 2014 ha iniziato il percorso di pratica forense presso questo Studio, dove nel settembre de 2018, è diventata Avvocato, del Foro di Milano.